George Hilton, al secolo Jorge Hill Acosta y Lara, è nato e vissuto in Uruguay, dove ha iniziato a lavorare giovanissimo come attore di teatro, sino a quando si è trasferito in Argentina, a Buenos Aires, per sviluppare la sua carriera artistica.
L’esordio nel cinema italiano risale al 1965 con “Due mafiosi contro Goldfinger” e “I due figli di Ringo”, due parodie con protagonisti Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, ma sarà con il successivo “Le colt cantarono la morte e fu… tempo di massacro”, di Lucio Fulci, che George Hilton inizierà a diventare uno dei protagonisti della fortunata stagione del cinema italiano, conosciuta come “Spaghetti-Western”.
 
Si è trattato di un filone cinematografico molto in voga nel periodo tra il 1964 e il 1978, un genere che rompeva la visione mitica ed epica del western classico, introducendo una struttura narrativa più dinamica, esasperando la violenza e lo spargimento di sangue al servizio dell’antieroe, quasi sempre privo di ideali e solitamente spinto da interessi personali o vendicativi. 
Basti pensare ai personaggi interpretati da Clint Eastwood nella trilogia del dollaro e da Franco Nero in Django, in contrapposizione agli “eroi” americani: John Wayne, Glenn Ford o a Gary Cooper di “Mezzogiorno di fuoco”. Il risultato di quest’operazione fu che i western made in Usa, improvvisamente sapevano di muffa.
Caratterizzati da budget ridotti all’osso, gli “spaghetti” venivano spesso girati in Spagna, nel deserto di Tabarnas in Almería, altri invece furono ambientati ai confini tra Lazio e Abruzzo. 
 
Questo genere, negli ultimi anni, è stato celebrato anche in California grazie al Festival “The first Los Angeles Spaghetti Western”.
Tra le varianti più significate del genere ci furono il gotico, dove gli scenari cupi e cimiteriali sostituivano la tipica solarità degli scenari western (I quattro dell’apocalisse di Lucio Fulci), sino ad arrivare a peplum, brillante, thriller e al weir western, in cui potevano convivere cowboy e dinosauri.
Al genere è stato reso omaggio, nel corso della 64ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 2007, con una retrospettiva di 32 titoli. Il padrino dell’operazione è stato il regista statunitense Quentin Tarantino.
 
Nel 1967 George Hilton partecipa a sette produzioni del filone Western, tra cui “Il tempo degli avvoltoi” e “Professionisti per un massacro” di Nando Cicero, assumendo spesso il ruolo di protagonista e iniziando ad avere successo anche fuori dai confini nazionali.
In quel periodo diventa una delle maggiori star del cinema italiano, lavorando al fianco di Franco Nero, Klaus Kinski e Van Heflin. Il suo personaggio più noto è quello di Alleluja, creato dalla penna di Tito Carpi e dal regista pugliese Giuliano Carnimeo (si firmava con il nome di Anthony Ascott), protagonista di: “Testa t’ammazzo, croce… sei morto, mi chiamano Alleluja” e “Il west ti va stretto, amico … è arrivato Alleluja”.
“Testa t’ammazzo …” segna una svolta nel western di Carnimeo, che comporta anche un cambiamento nella contestualizzazione storico-geografica; non sarà il West degli anni ottanta del XIX secolo, ma il Messico della seconda metà degli anni sessanta. George Hilton è l’interprete ideale di questo nuovo sottogenere, grazie al suo fare brillante e scanzonato.
 
Il regista pugliese confezionerà su misura per lui il personaggio di Tresette: “Lo chiamavano Tresette… giocava sempre con il morto” del 1973 e “Di Tresette ce n’è uno, tutti gli altri son nessuno” del 1974. Nel primo film incuriosisce l’enorme carillon che il protagonista porta con sé, chiaro riferimento al duello finale di “Per qualche dollaro in più” di Sergio Leone, dove si sfidano Clint Eastwood, Lee Van Cleef e Gian Maria Volontè.
“Alleluja” e “Tresette” rappresentano l’evoluzione del western ironico di Enzo Barboni e dei personaggi di “Trinità”. Si tratta di film divertenti, senza pretese, ma dinamici e privi dei tempi morti, di cui gli emuli di Sergio Leone abbondavano nelle loro pellicole, per riempire evidenti vuoti di sceneggiatura.
Per L’Italo-Americano abbiamo rivolto qualche domanda a George Hilton:
 
Quali sono stati i registi più importanti con cui ha lavorato in Italia?
A Lucio Fulci devo il mio primo successo nel cinema con “… Tempo di massacro” e a Enzo G. Castellari l’incremento di questo successo! Sergio Martino Martino mi ha dato la possibilità di “cambiare pelle”, perché non si poteva vivere di solo western, soprattutto per un attore come me che veniva dal teatro.
 
Michelangelo Antonioni e Vittorio De Sica. Cosa la lega a questi due grandi registi?
Ero tra i candidati per la parte di protagonista di “Professione reporter” di Antonioni, ma non ho potuto farlo perché la distribuzione americana impose Jack Nicholson. Per quanto riguarda il maestro De Sica, all’epoca mi convocò per interpretare una parte ne “Il giardino dei Finzi Contini” ma alla fine fu preferito Fabio Testi, perché ritenuto più adatto in quel ruolo.
 
Che ricordo ha di Franchi e Ingrassia, con cui ha lavorato agli inizi della carriera in Italia?
Conservo un grande ricordo, sia come attori sia come amici.
 
Ha sempre avuto un buon rapporto con il suo pubblico, ieri le lettere e oggi Facebook.
Ho sempre avuto un grande feeling con i miei fan, ma oggi grazie a Facebook i contatti sono cresciuti ancora di più, fino al punto di ricevere ogni giorno un’infinità di attestati di stima, che mi fanno enorme piacere e di cui ringrazio tutti di cuore.
Oggi dopo 60 film da protagonista, girati in tutto il mondo, mi sento un uomo appagato e fortunato. Ringrazio il destino che mi ha fatto venire in Italia, che è la mia patria di adozione.
 

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