Tutti voi conoscete il gioco delle tre carte. Scelta la carta da puntare, le tre carte, capovolte, vengono adagiate sul tavolo lasciando al centro la carta designata. Il giocatore, con abile movimento delle mani, le sposta velocemente cambiandole di posto. Ma, mentre la persona che conduce il gioco ripete più volte questa operazione, chi guarda è convinto di seguirle, e crede di non perder di vista la carta vincente, cioè quella che è stata indicata e che dovrà essere riconosciuta al momento in cui il giocatore lascia cadere, di nuovo immobili, le tre carte sul tavolo, sempre capovolte. A questo punto tutti credono, convinti come sono di non averla mai perduta di vista, di poterla indicare con sicurezza. Ma, sorpresa generale!, la quasi totalità delle volte nessuno la indovina. 
 
Potrebbe indicarla solo chi, puntando a casaccio una delle tre carte, in maniera aleatoria e per puro caso, avesse la sorte di individuarla; ma la posta in gioco – a parte la somma di denaro, cioè la puntata della scommessa, soprattutto il fatto di mettere in discussione la propria sicurezza di fronte ad una apparente certezza – è alta e nessuno vuole rischiare quello che crede il certo in cambio di ciò che ritiene fortuito. 
 
Così, per la stragrande quantità dei casi, nessuno indovina e nessuno degli avventori vince. Ma solo chi tiene il banco. 
Evidentemente il giocatore di mestiere, alla sua abilità manuale di prestidigitazione, aggiunge la sua capacità di manipolatore delle coscienze attraverso questo meccanismo psicologico che guida la scelta degli avventori.
 
Prontezza di mani ed astuzia sono le sue armi per turlupinare i poveri gonzi che si fermano a giocare con lui.
Fin qui, se volete, è tutta abilità; anche se cattiveria ed inganno stanno alla base delle intenzioni di chi pratica questa attività, facendola diventare criminale. Ciò, spesso, ha fatto sentenziare alla giurisprudenza che nella fattispecie non sono ipotizzabili l’inganno e la truffa. Al massimo, la circonvenzione di incapace, se dal gioco, specialmente quando diviene coatto, dovesse venire un rilevante danno economico al malcapitato.
 
Sta di fatto però che di fronte all’ingenuo malcapitato si trova il pervertito malintenzionato. E, cosa più grave, in assenza di un regolamento condiviso ed, eventualmente, della possibilità di un arbitrato. 
 
Allora tutto diviene possibile al giocatore delle tre carte: trucchi e inganni fino alla prevaricazione e alla violenza, specialmente, come sempre capita, quando è spalleggiato da complici sodali. Talché possiamo parlare, in ogni caso, di vere bande di malintenzionati, e di conseguenza, anche di associazione a delinquere.
 
Un anno mi toccò di accompagnare a Napoli, in gita scolastica, un gruppo di studenti di una città del Nord dove insegnavo. 
Il collega me li presentò come ragazzi affidabili. Solo mi segnalò che aveva sentito che i ragazzi avevano intenzione di fermarsi a giocare al banchetto delle tre carte, nella sosta a Roma, dove l’anno precedente alcuni di essi erano stati “spennati”, oppure a Napoli, per rifarsi delle perdite “incassate” l’anno prima.
“Bene! – dissi  al collega – Hai fatto bene a dirmelo”.
 
Questa fu l’essenza del discorso che feci agli studenti:
“Cari studenti, a Roma, oppure quando saremo arrivati a Napoli, andremo a giocare al gioco delle tre carte. Mi raccomando, non portate molti soldi. Perché dovremo vincerli giocando. 
Infatti, la mattina presto, quei signori che intrattengono i viaggiatori col gioco delle tre carte, prima di partire da casa si fanno consegnare dalle rispettive mogli una borsa piena di soldi, allo scopo di poter trascorrere la giornata al loro “posto di lavoro” e soddisfare tutte le vincite che i viaggiatori dovessero fare.
 
Anzi, se qualcuno di loro se ne dimentica è la moglie stessa che lo richiama ricordandogli di prendere il denaro: “Genna’, non ti dimenticare di prendere i soldi, perché se vengono gli studenti dal Nord Italia, e vincono al gioco delle tre carte, come fai a pagargli la vincita? Ecco. Portati questi tre o quattro milioni, sperando che ti bastino. Poi domani, ci penseremo”.
E così tutti i giorni.
Vedete come sono diverse dalle altre mogli, le mogli dei napoletani?! Invece di chiedere soldi ai mariti, glieli offrono per il gioco delle tre carte”.
I ragazzi cominciavano a guardarsi l’un l’altro. E io dovetti chiedergli: “Perché? Non mi credete?”.
 
Credo che adesso voi vi stiate domandando: “Ma come? questi vanno a lavorare e devono portarsi da casa tre o quattro milioni di lire (all’epoca contavano ancora le lire) per darle ai vincitori? E le mogli glielo permettono e gli danno pure i soldi? E fino a quando potranno resistere?”  Questi erano, all’incirca, i pensieri di quei studenti. 
 
Ma quando mi resi conto che erano maturi abbastanza, ben cotti nel loro brodo, gli chiesi: “Ma perché, voi che cosa credevate?”. 
Detto altrimenti, se in futuro avessero voluto tentare la fortuna in questo modo, che stessero bene attenti alla loro incolumità, perché quelle delle tre carte sono bande di delinquenti.
 

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