Dieci anni fa moriva Gianni Agnelli, figura leggendaria della vita italiana ed amico intimo dell’America di Kissinger
ROMA – ”Io e l’Avvocato? Fu l’America a farci incontrare, la prima volta. Lo ricordo benissimo. E da allora è nato un rapporto di curiosità, di simpatia e di dialogo che è andato avanti negli anni. Anni e ricordi nei quali sono entrati, in varie circostanze, personaggi internazionali come Henry Kissinger, Katharine Graham e Margaret Thatcher”.
A dieci anni dalla morte dell’Avvocato, è il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricordare il primo incontro con Gianni Agnelli, a New York nell’aprile del 1978.
”Agnelli non era un uomo dogmatico, né chiuso nel suo ruolo, semmai il contrario. Aveva una varietà di interessi e di orizzonti abbastanza rara. E soprattutto a me è sempre sembrato un uomo assolutamente libero, mai frenato da vincoli o pregiudizi. Aveva un interesse autentico per le persone, per la conoscenza diretta delle persone’‘, afferma Napolitano.
”Quello che aveva con gli USA era un rapporto straordinario, di conoscenza e di intimità, e lo ha usato a favore dell’Italia in più occasioni”, sottolinea il Presidente. È stato, per gli americani che contano, il volto di un’Italia moderna, non provinciale”.
Ufficiale gentiluomo e grande viveur con cultura cosmopolita, Gianni Agnelli è stato un emblema di stile, vero e proprio ambasciatore dell’eleganza nel mondo per mezzo secolo. E più usciva dai canoni e più veniva considerato elegante. Un mito, celebrato persino da un quadro di Andy Warhol, che in tanti hanno cercato di imitare.
Oltre ad essere il più importante uomo d’affari della storia italiana, grande estimatore dell’arte (nel 2002 lasciò alla città di Torino un patrimonio inestimabile di quadri, devolvendo la sua pinacoteca privata) e, appunto, figura di spicco del Jet-set internazionale, Gianni Agnelli è stato protagonista per oltre mezzo secolo anche nello sport.
Una passione innata, che lo portava ad essere super-tifoso così come straordinario interprete del fair play, tanto da diventare membro d’onore del Cio, che l’aveva chiamato tra i grandi saggi per la riscrittura della Carta olimpica.
In particolare due furono le sue passioni, al di là dello sci e della vela, la Juventus e la Ferrari. Quando una volta gli chiesero se avrebbe rinunciato a uno scudetto della Juve per un mondiale vinto dalla Ferrari, il senatore a vita rispose con una di quelle sue frasi che hanno fatto la storia: “No, non rinuncerei a nessuno scudetto della Juve, l’una cosa non esclude l’altra”.
Impossibile del resto, per l’Avvocato, scegliere tra la Vecchia Signora e le rosse di Maranello, entrate di prepotenza nella sua vita grazie all’incontro – negli anni ’50 – con Enzo Ferrari. ”Un uomo semplice, con il quale era facile trattare”, diceva Agnelli del Drake. “Con lui era sufficiente una stretta di mano per concludere un accordo”.
I due divennero subito grandi amici. E, grazie alla collaborazione tra Ferrari e Fiat, arrivarono le vittorie in Formula 1.
Ma cosa penserebbe l’Avvocato dell’Italia e del mondo in generale di oggi? ”Credo si troverebbe molto male in questa Italia. Si sentirebbe spaesato, un principe rinascimentale privato del Rinascimento”, afferma Carlo De Benedetti, uno degli industriali italiani più noti e già amministratore delegato della FIAT nel 1976.
”Nel ’76, prima di andar via, misi sul tavolo dell’Avvocato una scelta drastica: bisogna tagliare subito 25mila persone. Ci pensò due giorni, poi mi rispose: non si può fare”, ricorda.
”In quella risposta c’erano l’eredità morale del nonno, il senso di un impegno preso nei confronti del paese e di Torino e anche il rispetto dell’onore operaio. Dal punto di vista dell’impresa avevo ragione io, da un punto di vista più ampio, direi storico e sociale, ha avuto ragione lui”.
Parlando della FIAT, ”credo sarebbe stato affascinato da Marchionne e, in particolare, il ritorno in America della Fiat lo avrebbe eccitato”, dice De Benedetti.