La mattina del 30 gennaio di dodici anni fa, le agenzie di stampa dettarono il loro primo ‘flash’. Agghiacciante il testo: bambino trovato morto a Cogne, si pensa a un omicidio’.
 
Cogne, Valle d’Aosta, terra di montagna, vallate. Qui Annamaria Franzoni, ultima di undici fratelli, aveva seguito il marito, Stefano, salito dagli Appennini in uno degli ultimi lembi d’Italia. Dopo giorni di indagini, riscontri, approfondimenti, Annamaria Franzoni venne arrestata con l’accusa infamante di aver ucciso, in modo barbaro, suo figlio Samuele.
 
I tre gradi di giudizio furono duri, zeppi di momenti di angoscia: per colei che, alla sbarra, dovette ripercorrerli, con il cuore in tumulto, e per coloro, i sopravvissuti familiari di quell’eccidio, che portò via un bambino in tenerissima età. Annamaria Franzoni venne condannata, in Cassazione, a sedici anni di carcere.
 
Oggi, dopo sei anni di detenzione, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna, al termine di una lunga istruttoria, condita dagli ovvii interventi di professori universitari e di medici, le ha accordato i domiciliari. Semplificando: la Franzoni sconterà il resto della pena a casa, in un paesino sugli Appennini, al confine tra Toscana ed Emilia. Non, ovviamente, a Cogne, la terra di un delitto efferrato. ‘Non sbaglierà più: anni fa, quando successe l’evento, l’imputata era allo stesso tempo carnefice e vittima’. Le parole dell’ex-Procuratore di Aosta, Bonaudo, fotografano al meglio la decisione assunta dal Tribunale di Sorveglianza, che ha nuovamente consegnato alla propria famiglia – composta dal marito, Stefano, e da due figli, uno dei quali nato dopo la morte di Samuele – Annamaria Franzoni, la donna che uccise un suo bambino.
 
Come si svilupperà adesso – fuori dal carcere – il percorso di redenzione di Annamaria? Con sedute di psicoterapia, con l’affetto dei propri cari. Nella perizia definitiva – quella che ha accolto il ricorso dei difensori della Franzoni – si sostiene, senza remore, che ‘non vi sia più il rischio che si ripeta quanto accaduto a Cogne nel 2002’. Soprattutto viene escluso che Annamaria Franzoni possa diabolicamente ripetere quanto messo in pratica, all’alba del 30 gennaio 2002, sul povero corpicino di Samuele. Nella relazione conclusiva viene esaltato il ruolo della famiglia: quella del marito, Stefano, che si è accollato l’onere di pesantissime spese legali.
 
E quella della famiglia di Annamaria, una sorta di tribù, affezionatissima al suo patriarca e a sua moglie. Undici fratelli, quattro imprese edili e due agriturismo costruiti e consolidati partendo praticamente dal nulla, col peso dei calli delle mani e col sudore. All’epoca, nel 2002, hanno confermato perizie e approfondimenti clinici, Annamaria era affetta da una depressione profonda: nulla di tutto ciò ad oggi, hanno ripetuto i baroni della medicina. E il loro orientamento è stato confermato dai giudici del Tribunale di Sorveglianza di Bologna.
 
Da una settimana Anammaria Franzoni è tornata a casa: resta, al di là di ciò che è accaduto, l’amore del marito che mai l’ha abbandonata, pur avendo dovuto seppellire, per l’omicidio perpetrato dalla moglie, un figlio in tenera età. Resta l’affetto delle rispettive famiglie: mai un dubbio su ciò che pareva giusto fare, riportare ovvero Annamaria a casa. Una storia triste, forse irripetibile, sulla quale, da pochi giorni, è calato l’oblio.
 
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