Festival di Roma: cala il sipario sulla settima edizione tra risultati, note dolenti e fischi al film italiano premiato due volte

Per un secondo tratteniamo il respiro e in apnea planiamo dalle “alte” vette delle torrette che incorniciano l’Auditorium Parco della Musica e atterriamo dolcemente sul red carpet romano.

 
Il Festival si è concluso è l’idea generale è quella di un’occasione di incontro e scambio di idee e informazioni tra addetti ai lavori e solo tra loro. Il contorno invece è da rivedere, specie considerando la pericolosa affinità con la più rinomata Venezia. 
 
Ma lo stesso direttore generale della Fondazione Cinema per Roma, Lamberto Mancini, parla di calo degli incassi del pubblico del 15%, a fronte di una cifra pari guadagnata dagli accreditati. A ulteriore sottolineatura di come questa “festa per il pubblico” poi tale non è, seppur sulla bocca di tutti, la settima edizione verrà ricordata per le forzature, la fretta e l’astrazione cinefila adatta a palati ben predisposti.
 
Per carità questa non ne fa assolutamente una colpa, anzi questo Festival romano ha il merito di catalizzare l’attenzione su di sé, pur involontaria, pur talvolta negativa, per merito del suo direttore artistico Marco Muller, che ha avuto il merito di proporre una kermesse quantomeno credibile a fronte della sua estrema competenza e dei pochi mesi a disposizione. Che poi il risultato sia rivedibile sotto tanti punti di vista è un dato di fatto, ma non intacca la professionalità dell’intera struttura organizzativa.
 
Al tramonto del Festival il Mercato dei film e New Cinema Network sono state le note liete, insieme alla sezione indipendente Alice nella Città e Prospettive Italia. Andamento negativo invece per il concorso, raffazzonato, deludente, con solo un vero picco portato dalla delegazione americana di Romain Coppola. Poi francesi, cinesi, tedeschi e italiani a dividersi le briciole e ad autocelebrarsi come giusto sia in un’occasione del genere.
 
Quello che ci si augura per l’anno venturo è una maggiore attenzione alla selezione delle opere in gara, perché sono il fiore all’occhiello di ogni ma-nifestazione internazionale e come tali necessitano maggior rispetto cinematografico. 
  l fischiato ma premiato film italiano

  l fischiato ma premiato film italiano

 
I PREMI – La Giuria Internazionale presieduta da Jeff Nichols e composta da Timur Bekmambetov, Valentina Cervi, Edgardo Cozarinsky, Chris Fujiwara, Leila Hatami e P.J. Hogan, ha così votato:
Al controverso “Marfa Girl” del regista Larry Clarck, il premio Marc’Aurelio d’oro per la migliore pellicola e la migliore sceneggiatura. 
 
La vera sorpresa, tanto che non sono mancati i fischi, è arrivata dal cinema italiano: “E la Chiamano Estate”, si è aggiudicato due premi. A Isabella Ferrari il premio come miglior attrice protagonista mentre al regista Paolo Franchi la Miglior Regia. 
 
Nella pellicola, Dino e Anna sono due quarantenni: va in scena il loro amore “non convenzionale” e trasgressivo. Lei resta sempre innamorata ma Dino si estranea dai rapporti fisici con la donna: preferisce incontri con prostitute e scambisti. Poi va a cercare gli ex fidanzati di Anna e, per scoprire che tipo di rapporto avevano con sua moglie, li invita a prendere il suo posto accanto a lei, a letto. Tutto il film è stato girato in Puglia fra Bari, Monopoli, Ostuni e Fasano.
 
Altro premio tutto italiano è andato ad “Alì ha gli occhi azzurri” di Claudio Giovannesi che ottiene il premio speciale della Giuria. 
Poi, migliore interpretazione maschile per Jérémie Elkaïm nel film “Main dans la main”, il premio giovane attore/attrice emergente a Marilyne Fontaine per “Un enfant de toi”.
 
Il premio del pubblico è andato a “The Motel Life” di Gabriel e Alan Polsky. “Cosimo e Nicole” di Francesco Amato vince Prospettive Italia nella sezione lungometraggi. “Pezzi” di Luca Ferrari è il miglior documentario, “Il gatto del Maine” di Antonello Schioppa vince per il miglior cortometraggio. Menzione speciale ad Alessandro Gassmann per “Razzabastarda”.
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