(Ph © Olena Korol | Dreamstime.com)

L’arte, la cultura, la creatività, la determinazione delle donne del profondo Sud, soprattutto negli anni difficili della prima metà del Novecento, meritano di essere conosciute a fondo e studiate nelle scuole. Perché hanno effettivamente contribuito a porre con molto coraggio la questione della parità uomo-donna. Una questione che, ancora oggi, non ha trovato la soluzione giusta e definitiva. Ci sono stati notevoli passi in avanti. Le distanze da colmare sono tuttora rilevanti. Ma alle donne del primo Novecento va riconosciuto il merito di avere cominciato a demolire muri molto alti e resistenti. Tanto alti e resistenti che dopo oltre un secolo di lotte non sono stati abbattuti completamente. Le forti donne dell’inizio Novecento hanno dato le prime “picconate”.

Provvidenziali picconate contro umilianti sottomissioni e contro i pesanti e ingiusti condizionamenti psicologici. Il secolare predominio del “troppo maschile”, favorito soprattutto dall’arretratezza culturale, veniva messo in discussione con le azioni positive, usando le formidabili armi dell’arte e della cultura, grazie alla intraprendenza di donne illuminate che hanno inciso sulla crescita civile, sociale e culturale. L’emancipazione femminile, da sogno impossibile cominciava ad essere possibile realtà. Hanno trovato la forza di andare avanti dopo le prime “sfide” vinte nonostante i mille ostacoli. Quando l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro era sbarrato. E l’accesso a certi mestieri e professioni era consentito solo agli uomini.

Storie esemplari. Da raccontare ed impedire che finiscano per scivolare nell’oblio, come purtroppo avviene in questa Italia senza memoria. Facciamo un tuffo nel lontano passato. Gioiosa Jonica, Calabria, 1902. Il “Diario” di donna Gemma Incorpora Murizzi, grande artista della creta e apprezzata fotografa del Novecento, racconta una delle storie che hanno segnato il cambiamento. L’inizio della svolta. “Tu figlia mia sei femminuccia, non puoi fare quello che fa Nicolino”, rispose il padre alla piccola Gemma che aveva 6 anni e gli aveva chiesto di lavorare la creta come il fratello. Non ne poteva più di vedere il padre scultore che insegnava l’arte al figlio maschio, mentre lei era invece “con la calza in mano perché mia mamma me la dava per lavorare”. Pianse, chiese insistentemente di essere messa alla prova. Il padre finì con l’accontentarla: “Prendi questo pezzo di creta e fai…”.

Per Gemma l’occasione buona, da non sprecare. “Io mi sono sentita piena di forza e di arte sicura con quel pezzo di creta…”. E fece bene e stupì il padre. Gemma si era messa in gioco. Ed aveva vinto. Ci sapeva fare, aveva doti creative straordinarie. Il padre andò di corsa a mostrare il lavoro di Gemma alla moglie: “Guarda che bell’opera ha fatto. E’ brava. Le farò lavorare la creta come il fratello”. Differenza di genere superata. Parità conquistata dalla piccola con la forza della volontà e la bravura. Iniziava così il meraviglioso cammino di donna Gemma nel mondo artistico. Niente più lavori con la calza in mano. Mani invece impegnate a modellare magistralmente la creta. Una vita per il lavoro. Alcuni mesi prima della morte, avvenuta il 17 novembre 1966, aveva ottenuto l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica.

“Il lavoro mi dava forza, coraggio e orgoglio”, scriveva nel “Diario” pubblicato postumo nel 2002 dal comune di Gioiosa Jonica. Il percorso descrittivo era stato curato del figlio Gaudio, mentre il prologo e l’epilogo erano stati curati dal nipote Giovanni Incorpora. Un “Diario” da ristampare, diffondere nelle scuole e spiegarlo ai giovani d’oggi. Che devono conoscere le persone che hanno agito per il bene della comunità locale. E non solo. Era un’artista che guardava davvero molto lontano. Come conferma il nipote Giovanni “in quegli anni di oscurantismo bellico, Gemma è luce non solo per la sua Gioiosa”. Donna Gemma aveva tutto il diritto di sentirsi orgogliosa per quello che aveva fatto. Era molto apprezzata dal mondo dell’arte e della cultura italiana. A partire da Corrado Alvaro, al quale aveva fatto pervenire alcune opere che lo scrittore di San Luca aveva tanto gradito ed elogiato. “Quanta festa abbiamo fatto al Suo presepe”, scrisse all’artista nel 1946. Festa fatta con i figli di donna Gemma che erano saliti dalla Calabria a Roma per consegnare la preziosa opera nelle mani di Alvaro. “La cura e l’amore che Ella ha messo fanno parte della Sua e nostra poesia della vita”, sottolineò Alvaro.

I doni di Donna Gemma li metteva bene in vista nel suo studio. Come evidenziava nel 1960 lo scrittore calabrese Domenico Zappone in un articolo pubblicato sul Giornale d’Italia. Descriveva la sala dedicata ad Alvaro nella Biblioteca di Reggio Calabria, con la ricostruzione dello studio “dove egli lavorava nella romantica casa, in via del Bottino, a Roma, presso Trinità dei Monti”. Sul tavolo di Alvaro notava “quella piccola testa in creta, raffigurante lo scrittore, di donna Gemma Incorpora da Gioiosa, colei che un giorno gli inviò a Roma pastori e maddamme perché gli parlassero della sua terra”. Donna Gemma, sì, è vero, faceva parlare le sue opere. Ed era per questo molto ammirata.

Francesco Messina scrisse al figlio Salvatore Incopora qualche tempo dopo la morte: “Donna Gemma rappresenta un personaggio storico, tipico della Magna Grecia nella direzione Tanagra Gioiosa Ionica”. Ricordo molto significativo ed illuminante del critico d’arte Alfonso Frangipane: “Piccola, solitaria, nel segreto della sua vita, donna Gemma ebbe come i Grandi, una fede costante ed una dedizione d’amore per l’Idealità artistica. E sia benedetta – aggiungeva – per le sue ansie, per le sue opere raggiunte o non realizzate, ma sognate sempre nella luminosità della terra Jonica”. E sulla lapide posta dal comune di Gioiosa Jonica nella casa dell’artista nel centenario della nascita, si evidenzia la capacità che ha dimostrato di avere nell’ “eternare con la creta gli squarci luminosi della bellezza della vita”.

Grandissima e celebrata artista della creta, si era distinta anche come fotografa. Immagini che realizzava nell’ “Artistico Studio Fotografico al Magnesio”, come si legge sul retro delle foto -“Cartoline Postali“ dell’epoca. Ricorda il nipote Giovanni Incorpora: “Con cinque figli da allevare, Gemma in aiuto economico al marito, impiegato delle poste, si mette anche a fare la fotografa. L’attrezzatura nella sua casa atelier è quella dei nostri più antichi ricordi di macchine a soffietto e il laboratorio di sviluppo e stampa con acidi per fissaggio delle lastre. Dai paesi vicini venivano a farsi fotografare”. Donna Gemma e il marito Giovanni erano molto legati. Sentendo che le forze le stavano venendo meno, qualche ora prima di morire predisse che un mese dopo la sua morte il marito l’avrebbe seguita. Così fu. Il cuore dell’amato Giovanni cessò di battere esattamente trenta giorni dopo. 51 anni fa abbiamo raccontato la loro storia d’amore sul quotidiano “La Tribuna del Mezzogiorno” di Messina. Una storia che appassionò i lettori del quotidiano, dopo avere commosso l’intera comunità di Gioiosa Jonica che aveva sempre voluto tanto bene alla magnifica coppia.

Abbiamo avuto la possibilità di ammirare alcune foto fatte in epoche diverse da donna Gemma. L’anno scorso l’amica Maria Casamassima di Gioiosa Jonica ci ha fatto vedere l’album di famiglia, che abbiamo sfogliato con la nuora Antonella Negri ed il simpaticissimo nipote Matteo. E tra le vecchie foto, c’era anche una realizzata da donna Gemma in occasione del Carnevale del 1929. Una testimonianza significativa di quando bastava poco per essere felici. E far felici anche gli altri. Che sia benedetta questa donna di grande fede, per la ricchezza dei valori storici, umani e culturali che ci ha lasciato in eredità. Sempre e ovunque ci metteva un tocco della sua creatività. Foto preziose, condivise con le persone care, per ricordare il giorno di gioia. “Al mio compare Antonio Alì, come ricordo della domenica di Carnevale dell’anno 1929”.

Il papà dei bambini, Salvatore Murdocca, è stato un grande sarto di Gioiosa Jonica. I figli mascherati di Carnevale erano Tito e Francesco. Quest’ultimo è stato un luminare del foro di Messina. Questa estate un’altra cara amica, Edera Saggiorato, ci ha fatto conoscere altre significative foto realizzate da donna Gemma all’inizio degli Anni Quaranta. Amava tutto il bello che c’era. Amava la semplicità. E con estremo garbo costruiva le immagini. Sempre belle immagini. Se le mamme le chiedevano di fotografare le bambine senza vestitini, lei utilizzava una delle sue creazioni di creta “per non far vedere le parti intime”. Come nel caso della nostra amica, simpatica bimbetta di un anno e mezzo “coperta” da un gattino colorato. Giocattoli fai-da-te anche per mantenere …calme le bambine e realizzare ottimi scatti. La bimbetta è oggi una bella signora. Amica d’infanzia, la ricordiamo come una brillante e corteggiatissima ragazza. Edera, dopo il diploma di ragioniera, si è trasferita con i suoi a Torino. Ha perso il marito alcuni anni fa. Ora vive con il figlio in Sardegna. In estate ritorna in Calabria, a Gioiosa Jonica. E in occasione della sua ultima vacanza ci siamo visti più volte e abbiamo parlato a lungo del tempo passato. Abbiamo sfogliato i suoi album fotografici. Tanti bei ricordi. Ci siamo soffermati particolarmente sulle foto di donna Gemma.

“La prima foto che mi ha fatto, con il gattino che mi…copre. L’altra bella immagine della mia infanzia è quella con mia madre vestita da “maddamma”. Io avevo due anni e mezzo. Mia madre ci portava sempre da donna Gemma. Diceva che era molto brava, la migliore”. Erano rarissime le fotografe, ma bravissime. Ricordiamo donna Rosa Gallucci, fotografa di Mammola, un paese poco distante da Gioiosa Jonica. Presentando il catalogo di una mostra della Gallucci a L’Aquila nel 2004, Dacia Maraini scriveva: “Per una che ama la microstoria come me, queste fotografie sono davvero appassionanti. Mettono voglia di camminare per quei paesi. Di entrare in quelle case, conoscere meglio quelle famiglie, prendere dimestichezza con le storie di ciascuno di loro. E’ il miracolo che compie la migliore fotografia, mimando l’arte della pittura: introdurci, attraverso la combinazione delle luci e dei volumi, dentro mondi e storie lontane che ci seducono per via ottica. Siamo sorpresi e felici che l’archivio fotografico Gallucci si sia conservato, nonostante le guerre, le emigrazioni, i terremoti, per la gioia dei nostri occhi. Ringraziamo i fratelli fotografi, Nicodemo e Piero, ormai trasferitisi in un mondo migliore e poi Rosa, la coraggiosa professionista in epoche davvero ostili alle donne, per averci voluto dare questo ritratto complesso e intelligente di un piccolo paese della Calabria, Mammola. Il loro sguardo mai sentimentale né agiografico, ma anzi teso nell’ironia e nell’asciuttezza, ci suggerisce una grande tenerezza storica”. Donna Gemma aveva belle e forti radici artistiche, ereditate dal padre Rocco Murizzi, “scultore di statue realizzate in legno per le chiese del sud”. Con determinazione, intelligenza e fantasia aveva costruito il suo futuro. Sognava e realizzava. E ai figli Salvatore e Gaudio aveva trasmesso l’eredità artistica e culturale. Passione, studio e straordinarie capacità. Apprezzatissimi. Hanno ricevuto tanti e prestigiosi riconoscimenti. Con la mamma hanno dato lustro al Mezzogiorno, onorando le belle radici della Magna Grecia.


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