Quello che lega Francesco De Pinedo agli Stati Uniti è un anno, il 1927, e un lago, il lago Roosevelt in Arizona. In quello specchio d’acqua, il 16 aprile, l’idrovolante Santa Maria andò in fiamme, a causa di una banale disattenzione di uno spettatore, mandando in fumo l’epica impresa che aveva visto volare l’italiano dall’Europa in America per poi tentare il volo di ritorno. 
 
L’episodio del lago Roosevelt scompaginò i piani del terzetto volante (con De Pinedo c’erano il secondo pilota Del Prete e il motorista Vitale Zucchetti) ma non modificò la linea propagandistica del regime fascista che dell’impresa aviatoria fece una vera e propria cassa di risonanza scatenando l’ira degli italo-americani di New York. 
 
Quello che è successo nello specchio d’acqua dell’Arizona è cronaca di storia attuale ma i settanta anni e più di distanza avvolgono i fatti  nelle nebulose dei ricordi togliendo a un uomo, Francesco De Pinedo, il giusto spessore storico.
 Francesco De Pinedo nacque a Napoli nel 1890 da un’antica famiglia patrizia

 Francesco De Pinedo nacque a Napoli nel 1890 da un’antica famiglia patrizia

Nato a Napoli nel 1890 da un’antica famiglia patrizia, il trasvolatore atlantico fu educato alla pratica sportiva e manifestò presto una particolare passione per il mare e la navigazione. Ed è proprio la sua passione per il mare a spingerlo a tentare il concorso di ammissione all’Accademia navale di Livorno. La prova andò bene (arrivò secondo) e sancì l’ingresso di Francesco nel mondo della navigazione. Il giovane De Pinedo uscì dall’accademia con il grado di aspirante guardiamarina e fu imbarcato sulla nave ammiraglia “Vittorio Emanuele”. Allo scoppio della prima guerra italo-turca, egli fece parte delle prime compagnie di sbarco in Libia guadagnandosi una medaglia di bronzo al valore militare.
 
Promosso sottotenente di vascello nel 1914 e tenente nel 1916, De Pinedo visse tutte le fasi della guerra in prima linea, occupandosi soprattutto del salvataggio dell’esercito serbo. Ma nel destino del giovane c’era già un nuovo mezzo: l’aeroplano. 
 
In quegli anni le macchine volanti fecero il grande balzo tecnologico trasformandosi da giocattoli giganti in veri e propri mezzi sofisticati. Francesco De Pinedo abbracciò con entusia-smo le nuove possibilità di locomozione e frequentò il corso di pilotaggio presso la scuola Idrovolanti di Taranto, conseguendo in brevissimo tempo il brevetto.
 
Nell’ottobre del 1917 fu trasferito alla squadriglia di Otranto per poi terminare il conflitto nella base aeronavale di Brindisi. In quest’arco di tempo il giovane napoletano ebbe modo di guadagnarsi tre medaglie d’argento e una croce di guerra al valor militare. Fu inoltre insignito della croce di guerra francese e inglese. 
 
Terminate le ostilità De Pinedo non abbandonò la sua amata aviazione e continuò nella carriera volante divenendo nel 1924 capo di stato maggiore del comando generale dell’aeronautica. Nello stesso anno iniziò le sue leggendarie crociere volanti partendo da Brindisi per raggiungere Istanbul e fare ritorno, partendo da Sesto Calende alla volta dell’Olanda per fare ritorno a Roma.
 
Il suo nome però si sarebbe legato alle due grandi imprese del 1925 e del 1927, consacrandosi vero e proprio cavaliere del cielo.
 
A bordo di un Savoia Marchetti S 16, il pilota decollò dall’Italia e raggiunse l’Australia, facendo tappa in Giappone, percorrendo 55600 chilometri di volo. Ritornato in Italia venne accolto con entusiasmo dagli italiani e dallo stesso Duce che nelle sue imprese volle vedere il trionfo della tecnologia fascista. De Pinedo, divenuto colonnello e ottenuta la croce di cavaliere dell’Ordine militare di Savoia, non considerò però nella luce fascista le proprie gesta. 
 
All’orizzonte si era già stagliata la sagoma di Italo Balbo, altro grandissimo cavaliere dei cieli, che stava già concretizzando l’idea di una “Ala littoria” e pro-gettando le trasvolate in squadriglia. De Pinedo invece rimase legato all’aspetto avventuroso del volo e nel 1927 ripartì alla volta dell’America per tentare la doppia trasvolata Europa-America e America-Europa. 
 
L’idrovolante scelto per l’impresa fu battezzato Santa Maria, in onore di una delle mitiche caravelle di Cristoforo Colombo, e durante l’impresa dovette superare una lunga serie di ostacoli. Mentre tentò l’ancoraggio nella baia di San Antonio in Brasile, l’idrovolante entrò in collisione con un incrociatore, riportando danni seri che dovettero essere riparati alla bell’e meglio. Ripartito alla volta degli Stati Uniti De Pinedo raggiunse la costa meridionale e di qui, arrivò a New Orleans per proseguire fino a Galveston, San Antonio del Texas e Albuquerque del New Mexico e Lago Roosevelt in Arizona. Un’impresa così audace non era stata tentata a quell’epoca e lo stesso Lindhberg avrebbe compiuto le sue trasvolate soltanto qualche anno dopo la pionieristica volata di De Pinedo. 
 
L’incidente occorso all’idrovolante (uno spettatore incauto gettò un mozzicone di sigaretta nell’acqua cosparsa di benzina, e quest’ultima divorò l’aeroplano) distrusse in pratica il sogno del pilota italiano ma non oscurò la sua fama. Anzi. 
 
In una fiammata di solidarietà nazionale nei riguardi di De Pinedo e del suo equipaggio, gli italiani residenti in Arizona si prodigarono per rendere meno amaro il ritorno in Italia e per far giungere in brevissimo tempo un nuovo idrovolante negli Stati Uniti. Francesco De Pinedo fu anche oggetto di manifestazioni di simpatia alla Casa Bianca, dove il presidente Coolidge lo ricevette, e altrettanto calore ricevette al ritorno a Roma, dove tutta la cittadinanza lo accolse da trionfatore. 
 
De Pinedo fu promosso generale di brigata aerea e comandante della terza zona aerea italiana. Risalgono a questi anni i contrasti con l’altro asso volante italiano, quell’Italo Balbo che tanta gloria avrebbe raccolto in tempo di pace e di guerra.
 
Nello scontro politico l’ufficiale napoletano ebbe la peggio e preferì lasciare l’Italia per raggiungere Buenos Aires con l’incarico di addetto aeronautico presso l’ambasciata italiana. Nel 1932 concluse il suo servizio in divisa e abbandonò l’aviazione per dedicarsi agli studi e alle applicazioni civili del nuovo mezzo di trasporto. 
 
Ma nel grande aviatore batteva ancora un cuore da pioniere e la voglia di superare nuovi limiti. Nel 1933 De Pinedo ritornò così  a New York per preparare con meticolosità il suo tentativo di record mondiale di distanza. Affidò i suoi sogni di gloria a un aeroplano Bellanca, che aveva battezzato “Santa Lucia” e si apprestò a partire dall’aeroporto di Long Island. De Pinedo però non sarebbe mai decollato per quel suo ultimo tentativo di record. 
 
Sovraccarico di carburante, l’aereo non riuscì a staccarsi da terra e il comandante italiano, per evitare di investire gli spettatori diresse il suo mezzo contro una cancellata schiantandosi contro di essa. Il grande cavaliere solitario del cielo morì tra le fiamme trasmettendo alla storia le sue grandi imprese. I funerali si svolsero a New York l’8 settembre del 1933, nella cattedrale di San Patrick, alla presenza di una folla numerosa, accorsa per rendere l’ultimo omaggio ad un uomo che anche nella morte ha saputo trovare il gesto da eroe.

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