Trionfano le nuove generazioni della settima arte. Piange il cinema impegnato. La 60° edizione dei David di Donatello, i premi cinematografici italiani, ha emesso i suoi verdetti. Miglior regista esordiente, attore protagonista, non protagonista, attrice protagonista, non protagonista, produttore e montatore, tutti conferiti a “Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti (classe ‘76).
Senza dubbio il film è un prodotto differente dal classico panorama nazionale. A ben guardare però, seguire il trend del momento (cinecomic) e abilmente miscelarlo con l’ennesima storia di malavita romano-partenopea che tanto piace al pubblico nostrano, non è poi tutta questa originalità. A lasciare un po’ perplessi è stata la vittoria nelle rispettive categorie attoriali di tutti e quattro i protagonisti principali.
Luca Marinelli ha vinto a furor di popolo il David come Miglior attore non protagonista, senza che il “cinico” Giuseppe Battiston di “La felicità è un sistema complesso” potesse far nulla per mutare un destino già segnato. Analogo discorso per l’antagonista (buono) nella pellicola, Claudio Santamaria, contro il quale il “Perfetto sconosciuto” (e molto più intenso) Valerio Mastrandrea avrebbe meritato un esito diverso.
Discorso ancor più netto sul fronte femminile. Antonia Truppo non se lo sarebbe mai aspettato di vincere come Attrice non protagonista, e si è vista la sorpresa sul volto. Idem la prima protagonista “JeegRobottiana” Ilenia Pastorelli, capace di superare la concorrenza, tra le altre, di Valeria Golino (coppa Volpi a Venezia 72 con Amor vostro), la giovane catalana Astrid Berges-Frisbey, più convincente che mai nell’originale “Alaska”, e soprattutto Paola Cortellesi, superba e drammatica donna licenziata causa gravidanza nel toccante “Gli ultimi saranno gli ultimi”.
Esattamente come agli Oscar 2016, la pellicola scelta come Miglior film si è anche aggiudicata il premio per la Miglior sceneggiatura. Se oltreoceano a trionfare fu il giornalismo impegnato de “Il caso Spotlight” (di Tom McCarthy), sul gradino più alto del podio tricolore è salito “Perfetti sconosciuti” (di Paolo Genovese), brillante istantanea del fittizio mondo parallelo che scorre sui social network. Un tema interessante, ben narrato e con un cast corale di valore ma non a livello per intensità di “Fuocoammare” (di Gianfranco Rosi), già trionfatore al Festival di Berlino. Un documentario questo, incentrato sugli sbarchi dei migranti sull’isola di Lampedusa. Un’opera che parla di una tragedia che continuerà chissà per quanto tempo ancora.
Grande sconfitto della serata, “Non essere cattivo”, opera ultima di Claudio Caligari. Un solo premio ottenuto (Miglior sonoro) su 16 nomination. È andata appena meglio a “Youth – La giovinezza” (di Paolo Sorrentino): due David su 14 nomination per la Miglior colonna sonora e canzone originale, entrambe curate dal compositore statunitense David Lang.
Di altro umore Matteo Garrone, anch’esso in gara con un film internazionale, “Il racconto dei racconti – Tale of Tales”. Delle 12 nomination ricevute, si è portato a casa il David per il Miglior regista, autore della fotografia (Peter Suschitzki), scenografia, costumi, trucco, acconciatore ed effetti speciali, questi ultimi realizzati dalla giovane società Makinarium.
Desta curiosità poi la scelta del pubblico delle scuole superiori che ha assegnato il Premio David Giovani al modesto “La corrispondenza” di Giuseppe Tornatore, lasciando al palo “Alaska”, “Gli ultimi saranno gli ultimi”, “Non essere cattivo” e il campione d’incassi “Quo vado?”. Dopo aver già raccolto il Grand Prix Speciale della Giuria (Cannes), Golden Globe e Premio Oscar come Miglio film straniero, l’ungherese “Il figlio di Saul” (di Laszlo Nemes), storia ambientata nei campi di sterminio, si è aggiudicato anche il David di Donatello come Miglior film dell’Unione Europea.
Il premio per il Miglior film straniero è andato a “Il ponte delle spie” (di Steven Spielberg), tra Guerra Fredda e muro di Berlino.
Il cinema non può cambiare il mondo, ma di sicuro lo può ispirare. La 60° edizione dei David di Donatello è stata un’occasione persa per riportare al centro del grande schermo (e davanti al pubblico) alcuni drammi che toccano nel profondo l’Italia.