Domanda: Leggendo le tue interviste, hai detto che sei un uomo che riesce a stare bene anche da solo. Oggi come oggi molti non sanno ne vogliono essere soli. Ecco perché c’è sempre il computer accesso, il rumore e la possibilità di essere sempre in contatto con gli altri servono per non restare mai soli. Secondo te, la tua capacità di restare da solo è una dote innata o hai imparato ad esserlo? Pensi che la cosa ti abbia aiutato nella tua infanzia, ad esempio ad usare di più la tua fantasia? Magari ti è risultata utile anche per intraprendere il tuo lavoro di attore?
Risposta: Sì, è una dote innata, ossia è una sensibilità con la quale veniamo al mondo. Questa sensibilità, in alcuni attori, è più sviluppata e in gioventù per me fu causa di estrema timidezza e disagio nell’esprimere i miei sentimenti.Certamente la capacità, ma direi soprattutto il piacere, di stare in compagnia di sé stessi, come con un segreto compagno di giochi, ha sviluppato molto la mia immaginazione e la mia creatività: disegnavo, inventavo giochi, costruivo teatrini, marionette, lavoravo il legno. Giocavo molto da solo.Forse, questa sensibilità che mi portavo dentro, inespressa per troppa timidezza, ha trovato poi nel lavoro dell’attore il mezzo più naturale e adatto per esprimersi.
D: A che età hai cominciato a studiare danza? Hai studiato anche con Lorella Cuccarini se non sbaglio. Ho visto che hai studiato non solo danza classica ma anche moderna. Ovviamente, la danza ti hai aiutato ad esprimerti con il corpo, ad avere più controllo fisico, ad avere una presenza forte. Vero? Ma come mai hai voluto studiare la danza mentre magari tanti bambini volevano giocare a calcio?
R:Io giocavo a calcio anche io ma nello stesso tempo coltivavo i miei sogni, che poi furono ispirati da due famosi film americani: “Fame” – Saranno Famosi – di Alan Parker e “All that jazz” – Lo spettacolo continua – di Bob Fosse, film On Broadway che parlavano del talento artistico. Cioè del bisogno e della necessità espressiva individuale che in alcuni ragazzi è talmente forte da ricordare l’esperienza di uno spirito “vocato”, cioè chiamato da forze divine ad essere artista. Tramite questi film, mi sono innamorato del piacere di assumermi la fatica e la responsabilità di percorrere la via dello spettacolo e dell’attore. Inoltre, come in “Fame”, sognavo anche io di diventare famoso. Sognavo di diventare un grande attore.
“All that jazz”, a 17 anni, mi spinse a studiare danza e questa a fare la mia prima esperienza in palcoscenico. Sono grato alla danza perché mi ha insegnato la consapevolezza e la padronanza del mio corpo, che è sempre in relazione con le proprie emozioni, gli altri individui e uno spazio circostante. Cose importantissime per un attore.
D: Come è accaduto che tu abbia fatto questo salto dai tuoi jetè, il barre e le piroette verso il teatro invece di restare nella danza?
R: Quando iniziai a studiare danza, ero troppo grande per pensare seriamente alla carriera di ballerino. Di solito si inizia studiare dopo l’infanzia. La danza era una parte del mio percorso, non l’obiettivo. A diciotto anni ottenni il mio primo contratto come attore grazie alla danza: fui scritturato dalla tv italiana per lavorare in un musical dove bisognava anche recitare. Dopo questa esperienza, e spinto dal regista che intuì il mio talento, iniziai a studiare seriamente la recitazione.
D: Adesso ho una domanda molto difficile, Michele. Purtroppo a soli 17 anni hai perso tuo padre, un’età molto delicata. Mi dispiace tanto. Penso sia stato un bruttissimo periodo per voi. Come lo avete superato? Eri solo con tua madre?
R: La perdita di mio padre fu il momento più tragico della mia vita. Fu strappata da me con violenza la spensieratezza dell’adolescenza. La mia famiglia superò questo grande dolore restando unita e cercando di ricominciare a vivere su nuove basi. Ero con mia madre e il mio fratellino. Dopo quell’evento luttuoso, fui costretto a sostenere e guidare la mia famiglia sconvolta, e anche a prendere in mano le redini della mia vita. Seguii il mio istinto e il mio destino d’attore ebbe la libertà di iniziare a prendere forma. Così, iniziai a studiare danza e poi teatro.
D: Un figlio senza padre… immagino sia stato un momento difficile. Un anno dopo però hai cominciato a fare l’attore seriamente. Intraprendere la carriera di attore ti ha aiutato ad andare avanti?
R:: Sì, un figlio senza padre è un giovane che deve cercare da solo, dentro di sé, i propri punti di riferimento capaci di infondergli coraggio, sicurezza, forza e senso di responsabilità. Non è stato facile. Di sicuro, intraprendere la carriera di attore mi ha aiutato molto, ero concentrato a dirigere le mie energie verso il mio sogno.Recitare, fare teatro, aiuta parecchio a liberare le proprie energie, anche quelle negative. Il teatro è catartico. Ti purifica. Trasforma le nostre emozioni in altro, in un prodotto creativo. In una rappresentazione.
D: Tuo padre avrebbe voluto che tu intraprendessi la carriera militare? Ammiro il tuo coraggio nel seguire il tuo cuore. Molti genitori spingono i loro figli a fare carriere come imprenditore, medico o manager, spingendoli a non seguire il loro istinto. E uno sbaglio?
R: Sì, mio padre era un militare e voleva che io frequentassi l’Accademia Militare. La mia passione mi portò invece a frequentare l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, la scuola di stato italiana per attori di teatro. Spingere i figli a non seguire il loro istinto è un grandissimo errore, di cui in futuro pagheranno le conseguenze proprio i figli. Non è vero che i genitori sanno meglio di chiunque altro a cosa è destinato il proprio figlio. Solo un qualcosa che è nel figlio lo sa. Questo qualcosa viene chiamato daimon, spirito creativo, genio, angelo, cuore e in tanti altri modi. Se il giovane non segue i suoi impulsi, le sue naturali inclinazioni, rischia l’errore, la falsa strada e anche la malattia. Il mio daimon mi ha dato indubbiamente tanta forza e coraggio, doti necessarie per intraprendere una strada difficile e dove sapevo che avrei potuto contare solo sull’aiuto di me stesso e del mio talento.
D:: Hai partecipato a numerosi laboratori teatrali, tv e cinema, insomma hai un curriculum enorme, come immagino tanti tuoi colleghi attori di Centovetrine… Certo, se la gente pensa che solo gli attori belli ma senza esperienza o talento fanno soap, si sbagliano di grosso se si parla di te. Qui in America, le soap hanno passato un momento difficile a causa dei reality shows, adesso però stanno riprendendo terreno. In Asia, il KDRAMA (le serie fiction) e’ fortissimo… Come è lo stato delle soap in Italia?
R: Sì, posso dire di avere un curriculum nutrito e di tutto rispetto ed è vero che nella nostra soap recitano e hanno recitato attori con eccellenti curriculum nel campo della televisione, del teatro e del cinema.Se la gente pensa che “attori belli ma senza esperienza o talento fanno soap”, lo pensa perché purtroppo è vero che nelle soap italiane recitano o hanno recitato tanti attori senza esperienza e privi di talento. Spesso si crede, erroneamente, che un ingrediente necessario per il successo di un personaggio sia la sola bellezza, anche se l’interprete non è un vero attore o è scadente. Come se la bellezza di uno possa magicamente mescolarsi con la bravura di un altro e così formare un unico polpettone appetibile per il telespettatore. Se un attore è bravo non sarà mai brutto, e negli USA avete grandi esempi: Dustin Hoffman, De Niro, Al Pacino. Al contrario, se un attore è bello ma non bravo, non sembrerà nemmeno tanto bello.
Le soap in Italia si difendono ancora dignitosamente, nonostante la crisi economica abbia imposto tagli notevoli ai budget di produzione e nonostante il calo di pubblico, dovuto alla frammentazione dei telespettatori in migliaia di canali tv. Le soap italiane più longeve come “Centovetrine” e “Un posto al sole”, sono ancora attive e seguite.
D: Sei entrato nel mondo di Centovetrine con il ruolo di Sebastian Castelli, come ci sei riuscito? Pensi di interpretare un ruolo distante da te? Oppure, alla fine, non siete cosi diversi?
R: Sono arrivato a Centovetrine vincendo un provino su richiesta della produzione della soap Endemol Italia, con la quale avevo già lavorato in due fiction tv di prima serata.
Sebastian Castelli è quanto di più diverso ci possa essere da me (boss, trafficante d’armi, uomo senza scrupoli, padre di famiglia, patriarca) eppure, nello stesso tempo posso dire che Sebastian sono totalmente io nella sua dignità di uomo, nella sua intensità di provare emozioni, di desiderare l’amore di una donna, di proteggere i propri cari, nell’avere il coraggio di riflettere su se stesso, e soprattutto il coraggio di intraprendere battaglie per ciò in cui crede.Queste domande non possono avere una risposta soddisfacente per il nostro intelletto perché l’Arte dell’attore è il frutto di un paradosso irrazionale, è il prodotto di due contrari: verità/finzione, attore/personaggio, essere/non essere…
D: Io ricordo i giorni di Beautiful. Il mio ex aveva una madre, che ti giuro, anche se non poteva camminare bene, ad un certo punto correva per fare la spesa alla COOP pur di arrivare in tempo per vedere questa soap. Il successo di Centovetrine è notevole. Stupendo anche il fatto che sia una produzione italiana e con attori italiani. Ricordo che prima c’erano tanti telefilm dall’America come Beverly Hills, Melrose Place… Adesso cosa è cambiato?
R: Il nostro pubblico è davvero straordinario. Ho conosciuto commercianti che chiudono il loro negozio pur di poter vedere la nostra soap.Ancora oggi la tv italiana offre al pubblico tante produzioni americane come “Beautifull”, “Revenge”, “The good wife”, “Breaking bad”. E ultimamente sono tornate di moda le serie tv in lingua spagnola come “Il segreto”.
Credo che uno dei nostri punti di forza, e che ci permetta ancora di avere successo, sia proprio il fatto che Centovetrine è un prodotto interamente Made in Italy e che identifica in maniera forte un importante network del nostro paese.
D: Parlami un po’ di te. Ho visto che come hobby pratichi arti marziali e segui il tuo sito che è bellissimo. Hai detto una volta che non hai hobby ma solo delle passioni. Cioè fai tutto al massimo o nulla? Dimmi una cosa: essendo così, tenere un livello alto di eccellenza, come il tuo, è un tuo dono o ci sei arrivato faticando?
R: Sono un passionale per natura, se amo una cosa mi ci dedico totalmente perché mi piace farla bene. Così è stato per le arti marziali, per il web, per la passione per il volo e, attualmente, per la fotografia.Diciamo che sono arrivato, faticando e lavorando molto, a far sì che il dono che mi è stato dato si potesse sviluppare ed esprimere, e rendere reale.
D: Ho visto che hai letto Anais Nin, sono una sua fan da anni. Cosa ti ha colpito nel suo libro, Il Delta di Venere? Se ho capito bene scrivi anche tu. Hai mai pensato di scrivere un libro come i suoi?
R: Mi piace l’arte e la letteratura erotica in generale, e un’autrice come la Nin è da considerare un grande esempio di questo genere di romanzi. Di lei, mi interessa il punto di vista femminile, l’ardire provocatorio della sua fantasia erotica che, quando è espressa da una donna, regala sempre sfumature ed emozioni davvero inaspettate ed intense. Sì, amo scrivere anche io e spero di finire, un giorno, il romanzo al quale stavo lavorando instancabilmente prima di iniziare le riprese di Centovetrine, quasi cinque anni fa. Purtroppo la soap ha assorbito tutto il mio tempo e le mie energie creative, e per il romanzo è rimasto ben poco. Non è del genere erotico, anche se alcuni capitoli del mio scritto parlano della donna e dell’eros. Penso che sarebbe molto stimolante, se arrivasse l’ispirazione, poter scrivere un romanzo prettamente erotico.
D: Una curiosità: fai tante ore allo studio di Centovetrine… gli altri attori, il lavoro, la nebbia di Torino (in inverno), i fans. Alla fine sei sempre circondato da persone e poco tempo libero. Come fai a rilassarti, a ritrovare te stesso?
R: Lavorare in una soap come Centovetrine, con i ritmi frenetici che abbiamo, è molto faticoso e stressante. C’è davvero bisogno di tanto relax dopo una giornata di lavoro o un periodo intenso sul set. Mi rilasso staccando completamente la spina dal lavoro, oziando, in compagnia delle persone che amo, prendendomi cura della mia casa o viaggiando.
D: Hai parlato delle scuole di recitazione. “La scuola Americana, la scelta interpretativa….migliore a quella più drammatica… Secondo i russi…e quella che porta amore e bellezza”. Hai studiato anche con il metodo Italiano? Come definisci la scuola di recitazione italiana?
R: A differenza del Metodo Stanislavskij o del Sistema americano di Lee Stasberg, per citare i più noti, l’Italia non ha mai avuto un vero è proprio metodo di studio sul lavoro dell’attore su sé stesso e sul personaggio. E non ha mai avuto una poetica artistica ispirata a questi metodi di recitazione, come invece è accaduto in Russia, nei paesi dell’est, o negli Stati Uniti. C’è stato qualche insegnante e regista che si è lasciato ispirare dal Metodo Stanislavskij ed ha cercato, a suo modo, di insegnarlo in Italia, però un metodo puramente italiano non esiste.
Solo il regista teatrale Orazio Costa Giovangigli, propose ai nostri attori un suo metodo di lavoro: il Metodo Mimico. Conosco bene la sua filosofia ma poco l’applicazione pratica, benché abbia lavorato in teatro con assistenti di Costa e abbia avuto il piacere di essere stato allievo di Costa in persona durante un laboratorio teatrale. In ogni caso, non l’ho trovato un metodo utile. In realtà il suo lavoro mimico, più che una tecnica in grado di aiutare realmente un attore nel suo lavoro, cercava di esplorare il campo antropologico e simbolico del fare teatro e dell’essere attore.
Io mi ritengo un allievo della Scuola Realistica di John Strasberg, figlio del fondatore dell’Actor’s Studio di New York. Ho seguito i suoi insegnamenti illuminanti in diversi workshops.Come definisco la scuola di recitazione italiana? Dal punto di vista di un metodo è inesistente.
Penso alla nostra tradizione teatrale, alla “Commedia dell’Arte” che dal 1500 al 1700 insegnò a fare teatro a mezza Europa. Penso a Eleonora Duse, grandissima attrice nostrana, che col suo talento ed estremo realismo riuscì a ispirare i più grandi pedagoghi teatrali del mondo, e mi dico che in Italia, da questa grande tradizione, non abbiamo saputo trarre nessun insegnamento da tramandare a un giovane attore.
La scuola italiana non ha un metodo perché non ci sono registi in Italia che amano veramente e seriamente indagare a fondo il lavoro di attore. Anzi, credo che ai registi italiani del lavoro dell’attore non importi proprio nulla. Se questi hanno un bravo attore sottomano è solo questione di fortuna.
La scuola di recitazione italiana, intesa come istituto di formazione, ossia l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, dove io mi sono laureato, è una scuola di teorici, di studiosi, di primi attori, e di singoli registi che modellano su sé stessi i loro insegnamenti, ma senza una pedagogia, una poetica e un pensiero comune.
D: Progetti per il futuro? Ho letto che vuoi venire negli states per l’inglese. R: In futuro, credo che sarò impegnato ancora con Centovetrine. Poi, sto lavorando a una mia produzione di una serie di sketch-show umoristici da proporre in tv. Per quanto riguarda l’inglese, se un attore vuole fare seriamente dovrebbe vivere all’estero ma di attori italiani che lavorano all’estero ce ne sono pochissimi e, in genere, lavorano negli States su richiesta.
R: Credo che solo un grande successo in Italia possa far diventare un attore internazionale, e permettergli di lavorare in produzioni straniere, come fu per Anna Magnani.
D: Un saluto per i tuoi fans e i lettori d’Italoamericano?
R: Tanti cari saluti ai miei fan italoamericani, alcuni dei quali, siciliani, sono anche miei lontani parenti. Nei miei sogni, a volte, anche io sarei voluto essere un italoamericano come voi. Sono sicuro che il vostro paese, che premia il merito e il talento, avrebbe potuto offrirmi buone occasioni di lavoro e alta professionalità, cose che in Italia scarseggiano ed è raro trovare.
D: Grazie mio caro… sei davvero bravo, bello e alto (185 cm)! Hai avuto la gioia di fare un mestiere che ami veramente, si vede la tua passione quando reciti sullo schermo.
R: Grazie a te per i complimenti e per avermi dato modo di rispondere a domande interessanti.
Ti aspetto qui a Hollywood. Gaya
Tante grazie a Press Manager, Katya Marletta
Per informazioni : www.micheledanca.it