Fra i quattro noti fondatori del progetto Champions’ International Camps, nato dall’idea di mettere in contatto campioni mondiali del calcio con ragazzi e ragazze americani che condividono la passione per questo sport, c’è Alessandro “Billy” Costacurta, noto ex-calciatore italiano e grande bandiera per venti anni del Milan, oltre che della nazionale azzurra.
Lo scorso 30 Aprile, Alessandro è intervenuto in persona a Baltimora per presiedere la conferenza stampa di presentazione dei vari International Camps, che inizieranno dalla prossima fine di giugno in differenti città degli Stati Uniti, in concomitanza della campagna Red Card Cancer della Johns Hopkins Children’s Center.
Alessandro ci ha cordialmente rilasciato un’intervista prima del suo ritorno in Italia, dove è attualmente impegnato come commentatore sportivo con Sky Italy.
Quando nasce l’idea di creare un progetto così ambizioso come quello dei Champions’ International Camps?
L’idea è nata nell’agosto del 2012, durante una cena tra amici in cui erano con me il manager Paolo Taveggia e il giornalista Luca Serafini, che conosco fin dai tempi del Milan di Sacchi nell’89. Stavamo pensando a qualcosa di bello da organizzare, in un bel posto, che ci potesse anche fare divertire. Ho parlato con loro della mia esperienza nel Milan Camp dell’anno scorso, a San Benedetto e Sirolo, la quale mi aveva dato delle sensazioni e degli stimoli nuovi.
Abbiamo poi deciso fare qualcosa di simile negli Stati Uniti, perchè non volevamo legarci a una squadra italiana in particolare. Ho dunque parlato con tre calciatori che considero amici, Massimo Ambrosini, Fabio Cannavaro e Massimo Oddo, i quali hanno subito accettato insieme anche a Giovanni Branchini ( manager che ha portato Guardiola al Barcellona).
Abbiamo fondato questa società per creare qualcosa di differente da altri Camps che esistono già. Infatti, oltre a noi quattro calciatori, parteciperanno tanti altri ex-campioni del calcio come Stefano Eranio, Marco Negri, Ibrahim Ba.
Il punto di forza è che noi saremo in persona sul campo ad allenare questi giovani ragazzi, dagli 8 ai 15 anni, i quali avranno la possibilità di apprendere lo scambio di palla, il tiro, il colpo di testa e altri fondamentali direttamente con noi.
Come sarà organizzata la vostra partecipazione diretta nei vari Camps americani?
Noi quattro fondatori ci divideremo fra i cinque campus, organizzati sia nella costa est a Miami, Baltimora, Long Island, sia ad ovest a Seattle e Los Angeles.
Essendo questo il primo anno, nonostante le tante richieste ricevute da altre città, non potevamo assicurare lo staff necessario per lo sviluppo di ulteriori Camps, quindi abbiamo preferito limitarci a questi cinque. Il primo inizierà l’ultima settimana di giugno a Miami, poi via via tutti gli altri fino all’ultimo che si terrà a inizio agosto a Seattle.
Segui la Major League Soccer e come vedi gli italiani presenti in questo campionato?
Nel mio lavoro con Sky Italy seguiamo anche la MLS, anche se fanno vedere di più il Galaxy dove gioca Cudicini che il Montreal dei cinque italiani.
Ho parlato poco tempo fa con Alessandro Nesta, il quale mi ha detto che è molto contento dell’esperienza e che non si aspettava che il campionato fosse così fisico e attrezzato. È comunque molto entusiasta, nonostante dica che alcune volte va in difficoltà con gli attaccanti, soprattutto perché qui non c’è la stessa pressione che si ha nei campionati europei.
Se non sbaglio, anche tu avevi avuto una breve esperienza nella MLS a New York.
Ricordi benissimo. All’eta di 36 anni mi ero infortunato al ginocchio e il Milan non mi aveva rinnovato il contratto subito. Quindi avevo deciso di fare questa esperienza stimolante nei New York Metrostars (ora NY Red Bulls), ma Adriano Galliani quell’estate mi richiamò per farmi tornare, e al Milan non si può dire di no. Ancora non so se presi la decisione giusta, perché vivere in America mi avrebbe sicuramente arricchito come persona.
Ti vediamo oggi come commentatore su Sky, ma hai avuto un’esperienza come allenatore del Mantova. Ti piacerebbe tornare a sederti in una panchina, magari quella del Milan?
Sicuramente questo è il mio obiettivo per il futuro, perchè mi sento un allenatore. Negli ultimi quattro anni ho fatto il papà perché, dato che mia moglie è molto impegnata, non volevo che mio figlio Achille crescesse con la tata.
Mantova è stata una bella esperienza, ma all’epoca forse non sono stato né un buon allenatore né un buon padre, comunque nei prossimi anni mi vedo sicuramente in panchina.
Sono nato, cresciuto e diciamo anche morto nel Milan, quindi spero in futuro di poter ritornare ancora lì.