Ogni libro è per me un ineffabile campo di battaglia: lo leggo con matita e risme di evidenziatori, lo riempio di post-it, lo umilio di orecchiette, lo chioso di una simbologia personale e altri folli codici crittografati di mia invenzione. Disegno 1 corona accanto a un concetto che mi garba, 2 corone se la trovata è notevole, 3 corone se la devo metabolizzare. Non sottolineo mai. Per questo, quando offerto, preferisco non prendere nessun libro in prestito, poiché non potendolo polverizzare secondo il “protocollo de Teffé”, sarei davvero incapace di leggerlo.
Per questo (insert romantico estemporaneo), quando vidi quelle 3 corone gialle sul biglietto da visita di una bionda ragazza tedesca di Colonia, fu un inequivocabile invito a nozze.
Una menzione d’onore spetta ai libri del mestiere, i libri che esulano dal campo della narrativa ma narrano esperienze di uomini e donne che hanno abbracciato il nostro stesso campo di azione. Nel mio caso, lo spettacolo.
Ai tempi dell’Accademia di Belle Arti, ricordo l’estremo squallore dei pomeriggi passati alla Feltrinelli al reparto cinetelevisivo. Di mese in mese cercavo tra i nuovi arrivi opere sul mestiere cinematografico che mi potessero illuminare e guidare, ma vi trovavo solo tomi insulsi e depistanti. I libri americani erano tecnici, belli, cristallini, “to the gist”; gli italiani menavano il can per l’aia analizzando le esperienze altrui con asfittica prosopopea semiotica.
Qualcosa aveva traviato lo spettacolo italiano che, snobbando il puro entertainment per assurgere a demiurgo della coscienza politica nazionale, non riusciva più a processare il sentimento semplice.
I libri italiani sul cinema furono dunque per 50 anni una conseguenza di questo atteggiamento altezzoso, finendo con l’istillare nell’animo degli artisti nostrani un potente complesso di inferiorità nei confronti dell’intrattenimento per l’intrattenimento.
Fino all’arrivo di Amazon.
Quando il colosso statunitense scese in campo, la mia sete di esperienze diede giri di pista alle frustrazioni accumulate nel tempo: comprai tutto. Dove tutto, significa tutto.
Alla prima possibilità comprai 50 libri, da manuali di sceneggiatura, a quelli sulla direzione della fotografia, dalle tecniche di montaggio cinematografico a giganteschi manuali di produzione. La crema della crema della crema: ero troppo curioso di prendere parte alle vite artistiche dei miei colleghi oltreoceano. Mi arrivarono tre pacchi enormi e una telefonata. I pacchi enormi mi diedero noiosi problemi di dogana. La telefonata mi diede la morte civile per un mese.
“Pronto signor de Teffé? Buongiorno è la Visa. Abbiamo visto che qualcuno ha fatto a suo nome un’ordinazione di numerosi, troppi articoli su Amazon, cosa che in Italia non è mai accaduta. Abbiamo pensato di cautelarla bloccandole la carta.”
Mi inquietai a dovere con le basse sfere della Visa, ma in cuor mio fui felice di essere bloccato nelle mie logistiche, la morte civile dei trenta giorni che passarono fino al rilascio della nuova carta, mi consentì di andare all’assalto dei tre pacchi con spettacolare determinazione.
Quest’hobby si fortificò poi nel tempo fino a temprarmi nella presunzione di aver letto tutto, e nella triste consapevolezza che libri italiani di fattura simile a quella americana fossero pressoché inesistenti.
Fino all’arrivo di “Creatività al potere”.
Due settimane fa, leggendo il libro di Armando Fumagalli, docente di storia del cinema presso l’Università Cattolica, con mia somma gioia noto che:
1 Un italiano ha scritto il miglior libro esistente sul funzionamento dell’industria cinematografica.
2 Questo libro è una fucina di esperienze, psicologie, strategie e tattiche di mercato che nessun altro libro del genere esemplifica con simile autorevolezza.
3 “Creatività al potere”, se studiato bene, contiene i prodromi per la rinascita di un’intera industria italiana cinematografica.
E dal momento che in Italia ancora non abbiamo un’industria che si comporti da industria ma solo spavalde logiche ottuse autoreferenziali, qualsiasi persona abbia a che fare con i media o che desideri avere una radiografia perfetta dello stato delle cose nel campo cine-televisivo internazionale e peninsulare, dovrebbe leggere questo libro.
Dopo aver dissertato su tutto, dove tutto significa ancora una volta tutto, Armando Fumagalli ci spiega perchè dopo 100 anni di storia del cinema la più grande lezione sullo spettacolo provenga da una fabbrica di cartoni animati il cui unico vero Chief Executive Officer è la creatività: why Pixar docet and rules.
Edito dalla Lindau: a mani basse, è senza dubbio il miglior libro italiano sull’industria dello spettacolo. Visa permettendo, compratelo, regalatelo e soprattutto “Applicatelo”. Potere alla creatività.