Fluidi lineamenti biancastri. Occhi socchiusi. Una caorlina intenta a “navigar”. Conchiglie fossili-forme. Astri in visita sul pianeta Terra. Pesci in perpetuo stato di avvicinamento. Pagine forgiate nella pietra. Una sirena in posa. Alligatori, tartarughe, rane e delfini. Sono solo alcune delle sculture presenti sul lungomare di Caorle. Dal cuore alla materia. Assolo lapideo scandito nelle forme più variegate.
Fondata più di duemila anni fa nel 40 avanti Cristo, numerosi reperti testimoniano le antiche origini romane di Caorle, detta anche Caprulae, Petronia, Insula Capritana o ancora Caule. Quasi cinque secoli dopo, in parallelo alla caduta dell’Impero e le invasioni barbariche, le popolazioni limitrofe in fuga trovarono rifugio in questa zona e nel 480 dopo Cristo venne istituito il primo governo cittadino.
Un salto di qualche altro secolo ed eccoci nel terzo millennio. Se da una parte i numerosi turisti se la spassano negli ordinati stabilimenti balneari, chi si volesse godere il sole, ma allo stesso tempo desiderasse navigar in un mare d’arte, non potrebbe essere capitato in un posto migliore.
A partire dal 1993, il lungomare di Caorle (provincia di Venezia) è diventato teatro del progetto “Scogliera viva”, simposio di scultura biennale. Da allora i blocchi in trachite euganea lì collocati per difendere il comune dalle “aggressioni” di Nettuno, ogni due anni diventano un laboratorio a cielo aperto dove gli scultori provenienti da tutto il mondo danno libero sfogo a forme e sostanze.
Caorle, lungomare. Superato il Santuario della Madonna dell’Angelo ha inizio il mio viaggio. Muovo i primi passi in questa Tolkeniana terra di mezzo. Né battigia né città. Mare da una parte, centro storico dall’altra. Lì sospeso. Non basta uno sguardo. Ho bisogno di toccare. La pietra è liscia. La pietra è ruvida.
Appoggio l’orecchio per cercare qualcosa che batte. È proprio così. Labirinti. Parole incise. Sguardi pensierosi. Movimenti imperituri.
Ammutoliscono anche le onde dinnanzi all’opera Umanità (1994, di Franco Maschio) dove un adulto si sporge dalla parte superiore del masso verso terra, dalla quale emerge la mano di un bambino che cerca di afferrarla. Lui ha il corpo come dilaniato, non omogeneo. Del più piccolo c’è solo l’avambraccio fino alle cinque dita. Il resto è nulla. Come fosse sommerso. Invisibile. Inghiottito.
Nell’anno della realizzazione di quest’opera venne perpetuato il genocidio in Ruanda, ignorato dalla Comunità Internazionale, dove morirono quasi un milione di persone. Sempre nello stesso anno era ancora in corso la fratricida guerra dei Balcani. Vent’anni dopo, nel 2014, il sangue d’altri conflitti continua a impregnare il mondo, e di umanità in giro ce n’è sempre di meno.
Passo dopo passo l’estraniazione dagli esseri umani mi avvolge sempre di più. Ognuna di queste opere ha una propria confidenza alla quale prestare orecchio. Parole uniche che cambierebbero se vi ritornassi già domani.
C’è una sorta di trono. Senza troppi inviti vi prendo posto passando dalla parte delle sculture. Mettendomi a fissare gli ormai ex-colleghi bipedi. Statico come un’ombra solidificata ma piena di vita. Esattamente come loro. Il vento intanto si alza. Qualche flutto sbatte fragoroso poco distante dai miei capelli libertini.
Alla ripresa del cammino vengo come ipnotizzato dinnanzi a un terzetto di spicchi lunari dalle diverse dimensioni.
Dalle immagini del film “Viaggio sulla Luna” di George Méliés al videoclicp di “Tonight Tonight”, canzone della rock band americana The Smashing Pumpkins che riprese in parte l’ambientazione del cineasta francese, è un susseguirsi di reminiscenze e nuove ispirazioni salmastre.
L’insieme cine-musical-scultoreo mi culla fragoroso.
Senza troppo indugiare rimango lì, ad aspettare che le luci si spengano in favore dei risolutivi bagliori aranciato-crepuscolari. Rimango qua, parte integrante della scogliera viva di Caorle.