Un piccolo borgo del sud Italia, i vicoli densi dei colori e dei profumi della quotidianità, l’amore impresso sui muri e la curiosità paesana nascosta dietro ai vetri di un vecchio condominio. Mentre la folla esultante saluta una coppia di sposi, motociclette, bimbi, coriandoli e canti popolari animano rumorosamente la piazza.
Giocolieri e maschere avanzano preannunciando l’arrivo del circo: un carro illuminato guidato da festosi saltimbanchi che si preparano ad allestire lo spettacolo dell’anno, il fulcro della vita sociale del Paese. Canio, il primo attore, sospetta che Tonio insidi sua moglie Nedda e lo ammonisce duramente ricordandogli che la realtà è ben differente dalla finzione che sono soliti rappresentare e un tradimento avrebbe delle conseguenze assai più gravi. L’annuncio amaro dell’inevitabile epilogo di sangue, la gelosia che addolora e uccide gli amanti – Nedda e Silvio – mentre progettano segretamente la fuga dopo la commedia.
La verità dei sentimenti umani, espressi in tutta la loro debolezza, si inserisce crudamente nella performance metateatrale di Pagliacci di Leoncavallo. Il nostalgico dipinto neorealista di Franco Zeffirelli che appassiona e scuote gli animi, immergendo il dramma all’interno della chiassosa e indiscreta vita di una piccola comunità italiana. Un’esecuzione di straordinaria unicità che si accompagna ad un’altra gemma del repertorio operistico italiano, Gianni Schicchi di G. Puccini, la cui regia è affidata invece alla comicità geniale di Woody Allen. Nella stessa sera, Placido Domingo interpreta il ruolo principale del capolavoro Pucciniano e con un guizzo disinvolto e sapiente dirige Pagliacci – l’opera che più volte in passato lo aveva visto protagonista. Il ruolo di Canio è affidato a Marco Berti, tenore lirico di grande spessore e sensibilità, struggente e impetuoso nei panni dell’uxoricida; Anna María Martinez, interpreta la commovente e ribelle Nedda; Liam Bonner, il giovane Silvio e George Gagnidze, Tonio.
Unico italiano presente nel cast, Marco Berti da sempre appassionato d’opera, studia al conservatorio di Milano. Dopo pochissimi anni entra a far parte del prestigioso coro dei Pomeriggi Musicali e successivamente del coro del Teatro alla Scala. Comincia la sua carriera da solista nel 1990 debuttando a Cosenza Butterfly di Puccini, quale premio di un concorso vinto nella stessa città. A seguire, Don Carlos a Torino, Don Giovanni a Macerata, Clemenza di Tito a Praga e numerose altre performance nei teatri più importanti del mondo.
25 anni di carriera ad oggi e un’infinità di ruoli drammatici di successo alle spalle. Ha mai desiderato cantare Rossini e interpretare un repertorio per così dire “leggero”?
In verità ho iniziato a cantare proprio perché innamorato di un’ esecuzione del Barbiere di Siviglia diretta da Abbado con Luigi Alva ed Hermann Prey. Tentavo in maniera grossolana di cantare l’aria Ecco ridente in cielo, ma mi strozzavo inevitabilmente in prossimità degli acuti. Per questo motivo sono ricorso all’aiuto di un maestro e ho iniziato a studiare professionalmente. Anche se ho dovuto accantonare Rossini per evidenti incompatibilità vocali, nei primi anni della mia carriera ho interpretato ruoli da lirico/leggero che mi hanno permesso di conservare una certa freschezza vocale e preservato da un affaticamento precoce delle corde.
Che effetto fa essere diretti da Placido Domingo a Los Angeles, nella stessa opera che lo ha visto protagonista nell’ edizione del 1996?
Domingo è un artista di ineguagliabile talento, un pezzo vivente della storia dell’Opera. È stato il mio idolo fin da ragazzo e ora che mi ritrovo a cantare dinanzi a lui è sempre un’emozione indescrivibile. Ha un approccio alla partitura molto diverso da un cantante, più ricercato e direttoriale. É un profondo conoscitore dell’opera, ci si sente aiutati e supportati sia in fase di allestimento che durante la rappresentazione stessa. Con lui ho lavorato in diverse produzioni di rilievo: Aida, Carmen e Butterfly al Metropolitan di NY e Tosca e Carmen all’Arena di Verona.
Che cosa pensa dell’opera contemporanea?
In molti ambienti si ritiene che l’opera si sia fermata ai primi del ‘900. Credo non ci sia continuità di sorta da quando i musicisti hanno cominciato a fare gli intellettuali e non più a scrivere per la gente. Se la melodia diventa poi troppo orecchiabile viene etichettata oggi come musical e il confine è veramente risibile.
E che mi dice del Teatro alla Scala di Milano e del Metropolitan di NY?
È più facile cantare al Met perché c’è l’aspettativa dello spettacolo e non del cantante, il pubblico va a teatro essenzialmente per divertirsi. Alla Scala spesso ci si sente il dito puntato contro ancora prima di iniziare e pesa molto il confronto con i grandi interpreti del passato.
Marco Berti interpreterà a gennaio 2016 Turandot di Puccini al Metropolitan, a Febbraio La forza del destino di Verdi a Genova e prossimamente La cena delle beffe di Giordano al Teatro alla Scala.