Giocava a basket nell’oratorio di San Giovanni Persiceto, vicino Bologna, e a chi gli diceva quanto fosse bravo confessava che il suo sogno era di sbarcare in America e vincere il titolo NBA. Erano gli anni in cui il grande Barnum del basket americano era portato nella case degli italiani dalle Tv private e commerciali, con l’inconfondibile ‘slang’ di Dan Peterson, da Chattanooga, Tenessee, l’allenatore che condusse alla gloria prima Bologna e poi Milano.
Cinque squadre in sette stagioni: Marco Belinelli, uno dei tanti re dei San Antonio Spurs, nuovi campioni NBA, pareva un uomo con la valigia. Prima Oakland, il Golden Gate sullo sfondo, poi Toronto, New Orleans, infine Chicago. Pareva che la sua avventura nell’emozionante mondo del basket Usa dovesse essere contraddistinta dal suo eterno vagabondare, alla ricerca della terra promessa. Era, invece, il lontano Texas il regno che lo attendeva.
In vetrina, eccome, era già salito lo scorso febbraio, quando vinse, nell’ambito dell’All Stars Game, la famigerata gara da tre punti, messa in bacheca, anni fa, pure da un certo Larry Bird, una delle icone dell’NBA.
Ha sfondato, Marco, con caparbietà, carattere, voglia di non arrendersi mai. Tanto da essere citato – poche ore dopo il trionfo colto contro Miami, in finale – pure dal Premier Renzi. Il Primo Ministro ha lodato la consacrazione del suo personalissimo, bello e luccicante american-dream, esternato ancora col grembiule addosso, con la tipica genuinità di chi in Emilia e dintorni nasce e vive.
Tra gli italiani sbarcati in USA pareva quello che, con estrema difficoltà, avrebbe potuto toccare la gloria. Perché Bargnani era stato prima scelta nel ‘draft’, perché Gallinari aveva doti tecniche da predestinato. Perché, per mentalità, pure Gigi Datome sembrava un vincente. Invece, dopo aver a lungo peregrinato, accettato critiche anche feroci, Belinelli non mai ha mollato. Aspettando tempi migliori per raccogliere quanto aveva seminato.
Il prodigio l’ha materializzato in Texas, in quello scioglilingua che è il ‘roster’ dei San Antonio, capace di mettere assieme – oltre a soli quattro giocatori americani – otto atleti provenienti da tre continenti diversi. Un piccolo atlante viaggiante che, da novembre a pochi giorni fa, ha sognato l’anello dell’NBA, quinto titolo della sua storia.
Ecco perché – in questa Italia che insegue disperatamente il suo riscatto agli occhi del mondo, riguadagnando prestigio e credibilità – Matteo Renzi ha voluto raccontare, a chi se lo fosse perso, il suo prodigio. ‘Oggi voglio parlarvi di un ragazzo italiano che ha coronato il sogno, che sembrava impossibile, di vincere il campionato di basket più importante del mondo’.
Quando, tornato a casa ebbro di felicità, Marco Belinelli, sprofondato sul salotto, ha ascoltato le parole del Presidente del Consiglio ha capito di aver lasciato un’impronta, finendo nella storia. Al suo paese, la notte del titolo, in pochi hanno dormito. I bar sono rimasti aperti, collegati via satellite con gli Stati Uniti. Idem i circoli ricreativi.
Perché – come è giusto che fosse, soprattutto in questi piccoli paesi italiani – c’era un loro figlio che cercava di scalare il successo. C’è riuscito Belinelli, non più irrequieto ragazzo con la valigia, ma orgoglioso uomo con l’anello.