Da San Giovanni in Persiceto con furore. Marco Belinelli si è lanciato alla conquista degli Usa osando svettare dove mai nessuno era riuscito. Il cestista bolognese 27enne è riuscito a trionfare nella gara del tiro da tre punti nell’All Star Weekend di New Orleans, diventando il primo italiano a conquistare un titolo individuale nella tre giorni di massima vetrina del basket a stelle e strisce.
Una “baracconata” penserà qualcuno, che però sa di investitura ufficiale per il cecchino azzurro che nella stagione di grazia 2013/2014 ha forse raggiunto l’apice della sua parabola evolutiva. Alla quinta esperienza in Nba, Marco Belinelli, con la maglia dei San Antonio Spurs, una delle franchigie più vincenti della recente storia dello sport professionistico americano, sta recitando un ruolo da assoluto protagonista al fianco di Tim Duncan, Manu Ginobili e Tony Parker.
Una sorpresa per qualcuno, una certezza per chi, come coach Greg Popovich aveva intravisto, la scorsa offseason, in Belinelli il predestinato adatto a completare il già stellare roster texano.
Infallibile da dietro l’arco (46% e nella top3 della classifica generale), chirurgico uscendo dalla panchina (12 punti di media) e con una sorprendente capacità di adattamento al rigido sistema di gioco dei San Antonio Spurs, Belinelli ha scalzato Bargnani (prima scelta assoluta del draft 2006 caduta in disgrazia), naufragato a New York, e Gallinari (il grande talento del basket italiano), ancora out per altri quattro mesi, nell’immaginario collettivo italiano del pioniere della pallacanestro. E proprio a differenza dei due sopraccitati connazionali, Belinelli incarna pienamente, il concetto del ragazzo cresciuto a pane e basket con il sogno americano.
Con 194 cm, meccanica di tiro complicata (all’inizio), atletismo moderato, ma con una voglia matta di emergere, ha saputo, attraverso il duro lavoro e un’irrefrenabile fiducia nei propri mezzi, imporsi laddove nessuno avrebbe mai detto che sarebbe emerso. Lì tra i giganti della Nba letteralmente caduta ai suoi piedi nel giorno della gara del tiro da 3 punti.
Trenta minuti circa di show che hanno ricordato, in piccolo, la vita cestistica oltreoceano di Belinelli. Gli anni di apprendistato con i Golden State Warriors, la parentesi a Toronto con Bargnani, la crescita al fianco di Chris Paul a New Orleans, e i primi guizzi vincenti di Chicago con la canotta che fu di Michael Jordan, sono passati rapidi nella mente di un ragazzo per nulla intimorito dal fatto di partire sfavorito nel confronto con Curry, Lillard e Beal.
Belinelli, nel giorno in cui sapeva di poter aumentare la propria reputazione con colleghi, stampa e tifosi, si è fatto largo a suon di “splash” (onomatopea che riproduce su carta il suono del canestro pulito, con la palla che si accomoda nella retina quasi squarciandola senza nemmeno sfiorare il ferro) sino alla finale dove ha dovuto fare i conti anche con un turno extra per via del pareggio (19-19) strappato da Beal al fotofinish. “Che problema c’è” si sarà detto Belinelli, “dopo tutto quello che ho passato per essere qui”, si sarà ripetuto prima di quegli ultimi 60 epici secondi.
“Splash” dopo “Splash” il pubblico di New Orleans è caduto ai suoi piedi acclamandolo ed applaudendolo al 24esimo canestro messo a segno.
Risposta da grande di un grande uomo che da San Giovanni in Persiceto sogna di vincere un titolo Nba. Sempre controcorrente, sempre a voce bassa, sempre per accontentare quei sogni che ancora oggi, a 27 anni e con la maglia dei San Antonio Spurs, fa ad occhi aperti.
Benvenuti nel mondo di Marco Belinelli, orgoglio di un’Italia dei canestri che ha finalmente trovato il suo protagonista.