Quo Vadis, Ballando sotto la pioggia, Bellezze al bagno, Ombre Rosse ed il Far West, sono i film del sogno americano degli anni ’50 del secolo scorso, gli anni in cui in Italia uscivano i film del neorealismo. Gli americani allora ci mandavano film sulla gloriosa romanità classica fatta di cartapesta, Fred Astaire vestito di bianco con le scarpe di vernice nere e le claquettes, Esther Williams che sorrideva nell’acqua immobile di una piscina muovendosi come una sirena, cow boys a cavallo fra le mitiche rocce rosse dei deserti o in infinite praterie, e indiani coperti di perline e armati di frecce.
Per questi film si faceva la fila al Massimo, al Rex, all’Imperiale o all’Olimpia. Ci piacevano tanto, veramente, e credevamo fiduciosamente a quel mondo di cartapesta che ci portava una lingua incomprensibile ed una cultura lontana, percepite come benessere, libertà ed indipendenza, mondo verso cui allora partivano da Genova o da Napoli navi cariche di italiani.
Devo ai fratelli Ethan e Joel Coen, e al loro “Ave, Cesare!”, il ricordo ed il piacere di rivedere scene piene di colori e movimento ispirate da quei film, in una sorta di antologia rivissuta e collegata dal personaggio di Eddie Mannix, Josh Brolin, un uomo di mezza età assai bigotto, che va al confessionale tutti i giorni per essere assolto dal peccato di aver fumato qualche sigaretta, così ingannando la moglie che credeva che avesse smesso di fumare. Eddie è il manager dei Capitol Studios, e, aiutato da solerti segretarie, riesce a mandare avanti le produzioni della fabbrica dei sogni. “Dirigi un circo equestre”, gli dice un tale che vuole destinare i profitti enormi della fabbrica dei sogni a imprese più solide.
Secondo protagonista del film, l’attore con il ruolo principale in “Ave, Cesare!”, è George Clooney, che viene addirittura sequestrato dai comunisti, e trascinato in un locale dove gli sceneggiatori del cinema ed un famoso filosofo discutono di economia e società. Ahimè, tutti assai poco retribuiti per le loro indispensabili prestazioni di idee e testi. I soldi del riscatto, che dovevano andare alla lontana Russia per mezzo di un sottomarino emerso nelle acque di Los Angeles, finiscono miseramente nell’oceano. Esilarante e dissacrante la scena in cui i rappresentanti delle varie religioni sono chiamati a dare un giudizio sul modo in cui sono rappresentate nel film “Ave, Cesare!” vita, morte e resurrezione di Gesù Cristo. Il produttore non vuole offendere nessuno! Vediamo anche delle ampie panoramiche di Hollywood, una serie ben ordinata di capannoni, sullo sfondo delle colline verdi della California.
Questo film della famosa coppia di registi e sceneggiatori del Minnesota che negli anni ha diretto Il Grinta, A proposito di Davis, Fargo (Oscar per la miglior sceneggiatura originale), Il Grande Lebowski e Non è un paese per vecchi (Oscar per miglior film, regia e sceneggiatura non originale), è una satira del mondo del cinema americano anni ’50. Satira acuta, perspicace ed intrisa di affettuosa nostalgia.
Mi rendo conto che è adatto a tutti, per i dialoghi brillanti, lo spirito critico e divertente, mai volgare, ma piacerà di più al pubblico di età matura, a gente che in gioventù ha veramente creduto e amato quelle produzioni. In conclusione mi pare giusto ricordare che questa rappresentazione del mondo di Hollywood, formale ed ipocrita, fu resa nota al pubblico italiano dagli articoli e dalle interviste che la giornalista e scrittrice fiorentina Oriana Fallaci, allora giovanissima, scrisse e riunì poi nel libro “I sette peccati di Hollywood”, pubblicato nel 1958.