La parola “auguri” rientra nel sistema di etimi, tutti riconducibili ad una radice indeuropea. Ma, la modesta portata del nostro lavoro a carattere divulgativo, mi dispensa dal documentare tutte le possibili soluzioni che la linguistica comparata ci mette a disposizione.
Ci accontenteremo, perciò, di collegare la parola ad un verbo greco e a tutta la famiglia di parole latine che trovano riscontro anche nelle antiche lingue italiche. E su queste porteremo le nostre considerazioni.
Il verbo greco è αυ̉ξάνω [auxàno] = “aumentare”, che trova riscontro nel verbo latino augeo / auxi / auctum / augère, dallo stesso significato; anche se con altre diverse sfaccettature (accezioni).
I vocaboli latini, molti dei quali ancora vivi nella lingua italiana, sono :
1) Augeo – auctum – augmen – augmentum;
2) Auctor – auctoritas – auctorare – exauctorare;
3) Augur – augurium – augurare;
4) Augustus – augustalis – augusteum;
5) Auxilium – auxiliari – auxiliaris;
Solo per suggerire delle linee guida, ho preferito associarli per affinità di area semantica, seguendo il criterio di analisi proposto da Emile Benveniste nel suo Vocabolario delle istituzioni indeuropee (pag. 396-398) [Parigi 1969 – Torino 1976].
Le corrispondenti parole italiane – nello stesso ordine e con lo stesso criterio – sono:
1) Aumentare, aumentato, incremento, aumento;
2) Autore, autorità, procurarsi, esautorare (congedare);
3) Àugure (antico sacerdote), augurium (augurio: rito religioso praticato dagli àuguri), augurare (divinare, consacrare, prendere gli auspici);
4) Augusto, Augustale (sacerdoti o feste), augusteo (che riguarda Augusto);
5) Aiuto, portare aiuto, ausiliare.
Quando nel 27 a.C. Ottaviano (Caio Giulio Cesare Ottaviano), in qualità di princeps, si fece attribuire dal Senato il titolo di Augustus, che poi passò in eredità a tutti i successori, e che finì col designare l’Imperatore come istituto e come figura giuridica, intendeva dire una cosa ben precisa (mentre in realtà ne fece un’altra). Intendeva dire che egli, restaurata la Repubblica, posto fine alle guerre civili, deponeva tutte le cariche e ritornava ad essere privato cittadino.
Quindi normale senatore, ma “augustus”, capace cioè di accrescere e fare aumentare la fortuna dello Stato. Una persona “autorevole” a cui poter ricorrere in ogni momento e per ogni decisione (praticamente sempre). In effetti, finì per essere l’arbitro assoluto di ogni decisione politica, quindi il sovrano, il monarca, l’unico.
Egli astutamente già aveva caricato di significato l’altra figura giuridica presente nel senato, quella del princeps, assumendone il nome.
Il “princeps” che significa il principale, il più importante, già prima era un senatore anziano che aveva il compito di preparare l’Ordine del giorno per il Senato. Non era una magistratura, ma una funzione di ordine pratico. Intanto con Ottaviano “princeps” andrà a significare di fatto “il più autorevole”.
Ma la perfezione della mossa politica era stata realizzata già quando si era fatto attribuire dal Senato due funzioni importantissime; queste sì costituzionalmente sature di conseguenze politiche: 1) la tribunicia potestas, che lo rendeva intoccabile per via di quella “sacrosanctitas” che gli riconosceva due prerogative proprie dei tribuni della plebe: l’intoccabilità, e il diritto di veto sulle leggi deliberate dal Senato; 2) l’ “imperium consulare et proconsulare”, cioè la facoltà di condurre le legioni in guerra, esclusiva propria dei Consoli quando erano nell’esercizio delle proprie funzioni. Oggi diremmo: il comandante in capo dell’esercito.
Immaginate voi, tra attribuzione di funzioni costituzionali e nomine onorifiche apparentemente irrilevanti come princeps e augustus, quanto potere si era concentrato nelle sue mani. Ma, a dire il vero, tutto questo se l’era conquistato, prima ancora, con l’autorevolezza sui campi di battaglia, poi con la diplomazia delle alleanze, e infine con la politica del consenso.
Questo per dire la forza delle parole, ma non solo.
Proprio per questo motivo il Benveniste riflettendo sulle parole augur, auctor, ed auctoritas, non si accontenta di porre alla base del verbo augeo il significato di aumentare: significato con cui questo verbo è accettato in epoca storica. (Per questo motivo prima ho seguito la sua organizzazione schematica).
E la conferma della tesi del Benveniste, se proprio ce ne fosse bisogno, sta proprio nella capacità di Ottaviano di inculcare la nuova dimensione del potere nella mente e nel cuore dei suoi concittadini.
Benveniste, attraverso la rilettura dell’uso delle parole augur (area della religione), auctor (capacità – più che di far crescere – di far nascere e di creare), e auctoritas (area del diritto e della morale), ritiene che all’origine anche augeo dovesse significare “avere la forza di avviare dei processi” in maniera misterica e sacerdotale.