In volo, è riconoscibile da altri rapaci per la macchia bianca che ha sul dorso. La sua colorazione rossiccia e il suo ventre chiaro striato di macchie più scure completano una morfologia che la rende riconoscibile dagli altri rapaci e ne fa forse il simbolo di un angolo d’Italia intriso di storia e natura.
L’aquila del Bonelli rappresenta un momento suggestivo per chi sceglie di scoprire l’Aspromonte e di farlo percorrendo il sentiero della Natura. Perché forse questo è il modo più bello di assaporare un territorio incastonato in una regione stratificata di storia e civiltà. Non si pronuncia il nome dell’Aspromonte invano. Troppe cronache parlano di questo altopiano meridionale tenuto insieme dai rilievi della spina dorsale appenninica e spesso lo fanno per raccontare episodi tristi. Anche la storia associa quest’angolo della Calabria a uno dei momenti bui del Risorgimento italiano, con Garibaldi costretto alla capitolazione dopo essere stato ferito alla gamba dal fuoco dei garibaldini agli ordini del colonnello Pallavicini. Era un’Italia ancora in costruzione, quella che sparò sui fratelli garibaldini per fermarne la marcia contro Papa IX.
Un’Italia che elesse Sant’Eufemia in Aspromonte a simbolo dell’autorità regia nei primi mesi della faticosa costruzione dello stato unitario. Quarantamila ettari di bosco, rare varietà di specie animali e vegetali: questo è oggi il territorio del Parco Nazionale dell’Aspromonte, istituito per circoscrivere legislativamente un territorio dal fascino insuperabile. È uno di quei percorsi che difficilmente il turista troverà segnato nelle brochure dei viaggi tutto compreso. Aspro nella sua morfologia e pur tuttavia dolce nelle sue sfumature naturalistiche, ostico nell’orografia ma pronto a regalare vedute e sapori impagabili. È un percorso da fare rigorosamente a ritmo lento, e in alcuni tratti da assaporare stando fermi e volgendo lo sguardo a 360 gradi per contemplare il respiro della Natura e la bellezza di un’Italia che si apre come uno scrigno a chi sa cercare le emozioni pure.
Il Parco dell’Aspromonte non si offre ai fortunati solo con i suoi monumenti naturali (pietre, fiumare e cascate) ed i suggestivi boschi, ma anche per le numerose testimonianze storiche, artistiche e culturali racchiuse nei suoi 76.178 ettari di superficie e nei 37 Comuni inclusi nell’ente. Nato ufficialmente nel 1989 il Parco Nazionale venne di fatto istituito nel 1994 con la nascita dell’Ente cui venne affidata la salvaguardia di un patrimonio ambientale straordinario sotto l’aspetto biologico, naturalistico e scientifico, nonché la sua valorizzazione attraverso azioni di educazione e di promozione culturale.
Lembo meridionale della catena appenninica, l’Aspromonte costituisce l’ultimo tratto delle “Alpi Calabresi” ( termine con il quale i geologi indicano il complesso montuoso formato dalla Sila, dalle Serre e dall’Aspromonte) e somiglia a una gigantesca piramide che, vicino al mare, sale fino ai 1956 metri del Montalto (o Monte Cocuzzo), con numerose cime e diversi altipiani. Dalla cima si gode un panorama impressionante nella sua spettacolarità, che consente di estendere lo sguardo fino alla costa tirrena, allo Stretto di Messina, alle Isole Eolie, all’Etna e alla costa ionica.
Segnata profondamente da molti corsi d’acqua, nell’area protetta coperta accoglie numerose specie: dal lupo al falco pellegrino, dal gufo reale all’astore, fino all’aquila del Bonelli e alla felce tropicale (Woodwardia radicans), vere e proprie rarità nel campo faunistico e floreale. Il Pietracappella (m 1.823), la Bocca del Lupo (m 1.755), il Puntone di Lappa (m 1.588), la Croce di Dio sia Lodato (m 1.493) rappresentano altre cime di una criniera intervallata da profonde valli attraversate dalle fiumare, corsi d’acqua senza una vera e propria sorgente, nutriti da innumerevoli ruscelli (che incidono i fianchi del massiccio a raggiera creando stupendi canyons) e in certi casi alimentati da impressionanti cascate.
A chi accetta di intraprendere un viaggio “a passo d’uomo” l’Aspromonte regala lo spettacolare salto delle cascate del Maesano, che confluiscono nella fiumara Amendolea. O il fascino della Valle delle Grandi Pietre, nei pressi del comune di San Luca, dove spiccano alcuni monoliti con dei profili eccezionali, che hanno stimolato da sempre la fantasia della popolazione (tra questi, la Pietra Castello, la Pietra Lunga e la Pietra Cappa). Nelle vicinanze di Bova, è possibile imbattersi nella Roccia del Drago e nelle cosiddette Caldaie del Latte, che hanno dato origine a diverse leggende popolari.
Habitat ideale per un ricchissimo patrimonio floreale, l’Aspromonte accoglie ulivi, aranci, limoni e mandarini e il bergamotto, da cui si ricava una preziosissima essenza cosmetica. Si trovano ancora esemplari di gelso, reminiscenza dell’allevamento del baco da seta, mentre ad alte quote si scoprono bellissimi esemplari di leccio, un albero che tollera bene l’aridità estiva. Faggi, castagni secolari, aceri di monte, frassini e ontano napoletano condividono gli spazi con roveri di notevoli dimensioni e di antichissima nascita, con il farneto e con il pino laricio, una conifera presente quasi esclusivamente in Calabria e sulle pendici dell’Etna in Sicilia. La felce tropicale woodwardia radicans (le cui origini risalgono a 60 milioni di anni fa) raggiunge anche due metri di altezza e condivide gli spazi con una grande varietà di funghi e permette di nascondere alla vista la ricca fauna del territorio.
La presenza dei lupi è accertata, così come quella della lontra che predilige in genere il medio e basso corso di fiumi, ma è in grado di adattarsi anche nei corsi d’acqua a carattere torrentizio. Nelle foreste aspromontane vive anche il gatto selvatico, un animale solitario e difficile da avvistare o la martora che predilige boschi con grandi alberi. L’aquila del Bonelli, estinta nel resto della penisola italiana; sopravvive con una o due coppie sulle vette del Parco. Il Gufo Reale, il più grande rapace notturno d’Europa, costruisce il suo nido fra le rocce, dove si nasconde durante il giorno, mentre di notte scende a quote più basse per sfuggire al freddo. L’astore, il falco pellegrino , lo sparviero, il gheppio, la poiana, l’allocco e il barbagianni arricchiscono il panorama faunistico di un territorio nel quale si possono incontrare anche il picchio nero, il falco pecchiaiolo, la vipera dell’ Hugyi, il serpente cervone, la biscia d’acqua, la raganella, la biscia dal collare, la salamandra pezzata e la salamandrina dagli occhiali.
In un territorio ricco di fascino naturalistico anche il gusto viene esaltato da una tradizione radicata nel tempo. E se la gastronoma costiera di Reggio Calabria è particolarmente ricca di piatti a base di pesce (pesce azzurro, tonno, pesce spada), le aree montuose dell’interno offrono i prodotti di un’economia tipicamente pastorale e contadina. Nell’area grecanica dell’Aspromonte, in alcuni villaggi in cui si parla ancora un dialetto simile al greco antico è possibile assaggiare un formaggio pecorino realizzato con uno stampo di legno particolare, la musulupa, che lascia sulla forma un’impronta circolare raffigurante figure umane, pupazzi. I maccaruni ‘e casa sono di origine magnogreca e vengono fatti a mano arrotolando un pezzetto di pasta attorno a un giunco oppure a un ferro da calza. Tipici di quest’area della Calabria sono i capocolli, le soppressate, ‘nduja e salsicce arricchite sempre con peperoncino e finocchietto. I torroni, ripieni di morbida pasta di mandorla oppure di mandorle a pezzetti e ricoperti di ostia, di zucchero glassato o di cioccolato, bianco o nero testimoniano invece la ricchezza dolciaria.
Il bergamotto trova nella fascia costiera alla base delle pendici dell’Aspromonte, tra Villa San Giovanni e Gioiosa Ionica, il terreno ideale per la sua produzione. La sua fama è legata all’invenzione nel 1704 della prima acqua di colonia a base di essenza di bergamotto, opera di un profumiere piemontese emigrato in Germania, a Colonia. In seguito allo sviluppo dell’industria profumiera e alla grande richiesta di essenza le coltivazioni si estesero: nel 1830, nella zona di Melito Porto Salvo, i grandi proprietari terrieri dell’epoca realizzarono i primi impianti industriali di trasformazione. La maggioranza del prodotto attualmente è esportato sotto forma di olio essenziale all’estero, in particolare in Francia, per essere utilizzato dalle case cosmetiche e farmaceutiche.
Altra gemma della produzione locale è il passito di Greco di Bianco che in pochissimi producono ancora secondo il metodo tradizionale che prevede l’appassimento su intrecci di canne detti cannizze. Questo vino va bevuto freddo ma anche a temperatura ambiente in accompagnamento a dessert e gelati.