“Le mani sono più importanti della testa secondo me, per fare cinema”. Così Antonio Margheriti in un’intervista rilasciata a Luigi De Angelis, al FantaFestival di Roma. 
 
Romano, autore di una filmografia pressoché sconfinata, cultore e fautore di quel cinema di genere made in Italy che tanto piace a Quentin Tarantino e a gran parte della critica contemporanea, Antonio Margheriti fu un vero e proprio outsider (proprio così, del resto, è stato definito in un recente documentario a lui dedicato) del periodo d’oro del cinema italiano, quando Roma era seconda solo ad Hollywood in quanto luogo d’elezione della settima arte.
 
Margheriti non fu profeta in patria. Apprezzato sì, ma forse non quanto avrebbe meritato. 
Fu negli Stati Uniti che il regista trovò il giusto riconoscimento. Conosciuto con lo pseudonimo di Anthony Dawson, venne considerato un pioniere e un maestro della fantascienza.
  La sequenza di “Space-Men” del 1960 che “Gravity”con Clooney tanto ricorda 

  La sequenza di “Space-Men” del 1960 che “Gravity”con Clooney tanto ricorda 

Fantascienza. Un genere che raramente noi italiani abbiamo trattato, e ad essere sinceri, con risultati non sempre incoraggianti. Eppure Margheriti seppe costruire, con incredibili abilità manuali, da vero e proprio artigiano (e qui ci colleghiamo alla citazione con la quale s’era partiti), atmosfere e scenari surreali, fantasiosi, tremendamente fantascientifici. 
 
“Space-Men”, del 1960, è il primo film di fantascienza italiano, tutto ambientato nello spazio. Incredibile come nella composizione di alcune sequenze di passeggiate spaziali (preistoriche per gli standard odierni) rammenti il recentissimo “Gravity” con George Clooney. 
 
Margheriti realizzava i film per il mercato americano, che accoglieva e ammirava quei piccoli gioielli, perfetti nella loro semplicità; quelle prove di altissimo artigianato nella realizzazione di effetti speciali: l’uso di modellini, trucchi di ogni genere, fondali dipinti, specchi rifrangenti, e così via… La mancanza di tecnologie all’avanguardia e budget sostanziosi stimolava la fantasia del cineasta italiano, fino a trasformarlo in uno dei maggiori esperti di effetti speciali al mon-do, per quanto riguarda il cinema fantastico.
 
Si esagera? No. Basti pensare che nel ’64 Margheriti venne contattato dalla Metro-Goldwyn-Mayer per supervisionare gli effetti speciali di “2001” di Kubrick! Il regista rifiutò perché all’epoca era impegnato in un suo progetto e perché riteneva che i suoi “modesti trucchi” (così li chiamava) avrebbero dato il risultato voluto solo se diretti da lui in persona.
 
Gli americani, grandi ammiratori del senso pratico, erano rimasti impressionati dalla capacità di Margheriti, o meglio di Anthony Dawson, di realizzare 4 film di successo (il “Ciclo Gamma Uno”) in sole 12 settimane. C’è da scommetterci che oggi sarebbe stato preso e portato di peso ad Hollywood, a far la fortuna delle Major.
 
I riconoscimenti dagli Usa non finirono qui: negli anni ’70 fu contattato da Andy Warhol, che chiese la sua collaborazione in “Andy Wharol’s Dracula” e “Blood for Dracula”, due cult della Factory realizzati in Italia.
 
Antonio Margheriti è scomparso nel 2003 a Monterosi, vicino Viterbo. 
Il cinema di genere è tornato in auge dopo gli attestati di stima del già citato Tarantino, e il regista è ora considerato uno dei nostri grandi, uno dei padri del cinema di fantascienza, non solo italiano ma tout court. 
 
Agli occhi ormai smaliziati di noi spettatori da 3D e miracoli in digitale, i trucchi e i modellini di plastica del “Ciclo Gamma Uno” sembrano ingenui, forse fanciulleschi. Ma non è forse per questo che mantengono intatto quel fascino, e accendono quella voglia di sognare, che poi è il compito che viene affidato al cinema?
 

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