Esistono persone predestinate che, con il loro carisma, sanno ottenere il massimo in tutte le situazioni in cui si impegnano. Antonio Conte è uno di questi. 
La sua carriera da calciatore è stata assolutamente di rilievo: tra Juventus e Nazionale è riuscito a vincere 5 Scudetti, 1 Coppa Italia, 4 Supercoppe Italiane, 1 Coppa Uefa, 1 Champions League, 1 Supercoppa Uefa ed è arrivato secondo al Mondiale di Usa ’94, così come all’Europeo del 2000.
 
Da allenatore ha migliorato le sue prestazioni, diventando uno dei maggiori interpreti del ruolo, a livello mondiale. È stato con lui che la Juventus ha ricominciato a dominare incontrastata il calcio italiano, è stato con lui che una delle Nazionali meno forti di tutti i tempi ha comunque saputo far sognare un Paese intero, disputando un Europeo superiore a ogni aspettativa.
 
La positiva esperienza con la Nazionale gli ha concesso la vetrina internazionale necessaria ad attirare l’attenzione dei grandi club europei. Quanto messo in mostra durante l’Europeo – con una Italia tatticamente organizzatissima, attenta difensivamente e letale nelle ripartenze organizzate, imperniata su una manovra corale – aveva fatto coniare dagli addetti ai lavori il termine Contismo, per descrivere l’impostazione tattica e ‘di gruppo’ che l’allenatore sa imprimere sulle squadre. Per quanto abbia funzionato anche con la Nazionale italiana, uno  stile del genere si esprime al meglio in un club, dove il lavoro quotidiano è possibile. E Conte, maniaco dell’allenamento intenso e perfezionista fino nei dettagli, questo lo sapeva benissimo.
 
ASSALTO ALLA PREMIER – Alla fine è stato Abramovich, ricchissimo patron russo del Chelsea, a consentire a Conte di tornare nelle squadre di club. Dopo un’annata disastrosa (chiusa al 10º posto, dopo l’esonero di José Mourinho) e senza un mercato estivo roboante, a Conte veniva chiesto di rilanciare i Blues. In molti si interrogavano sulle possibilità di adattamento dell’ex Ct azzurro al calcio inglese: da un lato il palmares internazionale sembrava non garantirgli sufficiente autorevolezza, dall’altro i suoi metodi ‘martellanti’, apparivano poco consoni allo stile britannico e del Chelsea, squadra esperta e gruppo spigoloso.
 
In effetti, l’inizio non è stato dei più incoraggianti e, dopo il tracollo contro l’Arsenal (3-0) della 6ª giornata, c’era già chi dava Conte a un passo dall’esonero. Invece è proprio da lì che Conte è ripartito. E lo ha fatto ‘tornando alle origini’, impostando la squadra secondo il proprio credo. Tanto per cominciare la difesa a tre: elemento poco British, ma molto ‘Contiano’; un reparto in cui non c’è più posto per il ‘totem’ Terry e in cui sta facendo benissimo David Luiz. Proprio il ‘cavallo di ritorno’ rischia di essere uno dei più clamorosi successi di Conte: dopo aver vanamente inseguito Bonucci e Romagnoli, il Chelsea ha riportato in Inghilterra il difensore brasiliano famoso per le proprie qualità tecniche (ciò che Conte cercava, per coordinare la difesa e far ripartire l’azione dal basso), ma anche per i tanti errori tattici e di marcatura. 
 
Proprio su questi limiti Conte sta lavorando: è Luiz ad averlo ammesso dopo il successo con il City (“Commetto meno errori, perché so sempre cosa fare”). La densità difensiva ovvia a qualche lacuna del reparto, mentre le ripartenze – gestite da interpreti come Diego Costa, Hazard, Pedro o Willian – sono letali. Se a tutto questo aggiungiamo come l’ex Ct dell’Italia abbia saputo rigenerare Azpilicueta (impiegandolo come centrale difensivo di destra) o Moses (fluidificante destro dal fiato inesauribile), si capisce come adesso il Chelsea sia davvero una squadra nuova.

Receive more stories like this in your inbox