Tanto si è detto e tanto si dirà ancora su Giulio Andreotti, l’ex senatore a vita scomparso a 94 anni lo scorso maggio dopo essere stato uno dei principali registi della vita politica italiana, colui che, attraversando la storia del nostro Paese, lo ha plasmato in silenzio per 50 anni, con tutti i misteri e le contraddizioni del caso. 
 
Oggi Andreotti non c’è più e con lui è morta una parte della vita politica italiana, fatta sì di ombre e misteri irrisolti, ma anche di alcune, sporadiche luci, tra le quali brilla quella del suo apporto all’industria cinematografica.
Come ben sapete, quasi sempre distaccati e disinteressati, sono stati i nostri politici nei confronti del cinema, ma lui no. 
 
Il “nostro” Andreotti (perché uno come lui che è stato eletto 7 volte premier, 8 volte Ministro della Difesa, 5 volte Ministro degli Esteri, 3 volte Ministro delle Partecipazioni Statali; 2 volte ministro delle Finanze, Ministro del Bilancio e Ministro dell’ Industria; una volta Ministro del Tesoro, Ministro dell’Interno come anche Ministro dei beni culturali e poi Ministro delle Politiche Comunitarie è ormai, nel bene e nel male, di nostra appartenenza), ha avuto sempre legami molto vicini con l’industria cinematografica. 
 Giulio Andreotti interpreta se stesso ne “Il Tassinaro” di Alberto Sordi (1983)

 Giulio Andreotti interpreta se stesso ne “Il Tassinaro” di Alberto Sordi (1983)

 
Portano la sua firma: il decreto di riapertura di Cinecittà, la legge a tutela della produzione industriale e l’impegno per la protezione dell’identità nazionale.
Pensate che, gli esponenti del partito comunista, nonostante le grandi differenze ideologiche che intercorrevano tra loro e la cultura democristiana di Andreotti, hanno sempre riconosciuto il suo grande impegno per il cinema. Molti produttori lo vedevano di buon occhio e anche alcuni artisti, in primis, Alberto Sordi, che con Andreotti fu legato da una reale amicizia.
 
Proprio tale sua natura, vicina all’arte, lo ha condotto a diventare una vera e propria icona dello schermo. “Gli onorevoli” del ’63 con Totò, “Il tassinaro” di Alberto Sordi dell’83, sono solo alcune delle tante conferme che al “Divo Giulio”, piaceva moltissimo giocare con la sua immagine, reduce da un’educazione americana. 
 
Vi ricorda qualcuno?
Non finisce qui, Andreotti, non si è sottratto nemmeno alle telecamere di Tatti Sanguineti che per anni ne ha raccolto i ricordi e le confessioni in un video-ritratto pieno di luci e ombre, accreditate dallo stesso protagonista. 
 
Certo è che non tutti usarono il grande schermo per elogiare il grande statista, giornalista e scrittore. Qualcuno, anzi, lo fece per mostrare i lati oscuri della sua politica, e ogni volta le reazioni non si sono fatte attendere: “Il Padrino III” di Francis Ford Coppola (1990), “I banchieri di Dio” di Giuseppe Ferrara sul caso Calvi (2002), e infine, il più recente “Il Divo” di Paolo Sorrentino (2008). 
 
Nel bene e nel male, Andreotti ha fatto parte della nostra storia e del nostro cinema, e con il suo aspetto cinico e disincantato ha lasciato il suo segno, anche se  oggi appartiene al passato.

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