“Io t’amo, o Cefalù, patria diletta,/amo il tuo azzurro cielo, il tuo bel mare,/amo la roccia tua, l’antica vetta,/amo il tuo campanile, il tuo parlare…../ Resto grata a colui che ti rispetta,/a quegli che il tuo nome fa lodare/a chi ti rappresenta e che s’affretta,/per il tuo bene, a farti migliorare. O patria mia t’amai da fanciulletta/e t’amo ancor e ognor saprotti amare.”
Era il 1890 e Elvira Guarnera, appena tredicenne, scriveva questi versi (scriverà innumerevoli libri di poesie oltre che di saggistica nel corso dei suoi 78 anni) dedicandoli alla sua amata città natale.
Nel 2012 Angelo Pitrone, artista fotografo, l’11 agosto scorso ha presentato alla Terrazza Mandralisca di Cefalù, in provincia di Palermo, l’ultimo suo libro che porta in prefazione – come molti altri suoi cataloghi – la firma di Matteo Collura, giornalista e scrittore.
Cefalù è, ancora una volta, la protagonista, il fertile terreno su cui si coltiva arte, ispiratrice di sentimenti forti, d’amore patriottico come nel caso della Guarnera, di suggestioni per Pitrone.
È la luce che sopratutto affascina il fotografo e la insegue nelle sfumature che colorano il mare, che tracciano la salita alla magnifica Rocca dal profilo unico e inconfondibile, simile soltanto a quello del Monte Pellegrino, a Palermo.
Ed entrambi sembrano madri che allargano le braccia come a comprendere, a proteggere i propri cittadini/figli in un gesto eterno d’amore.
Il libro di Angelo Pitrone, come afferma egli stesso, nasce negli anni ’90, quando non era lo stesso traffico di oggi ad angustiare la città, non c’erano le stesse persone che si incontrano oggi per le sue strade e i suoi vicoli.
L’artista le ritrae non attraverso i loro volti, bensì attraverso i loro graffiti, nei segni lasciati a graffiare la città.
È come scoprire la storia dell’uomo attraverso le sue incisioni rupestri della preistoria non avendo più a disposizione quegli uomini.
Così i vicoli notturni non sono spettrali, sono antichi, sono storia da non dimenticare, da non tradire. Le cose sopravvivono agli uomini, sono frutti degli uomini e per questo li rappresentano in tutta la loro essenza.
E chi meglio del ritratto capolavoro di Antonello da Messina dell’ “Uomo ignoto” conservato nel Museo Mandralisca può rappresentare questa visione di continuità nella storia dell’umanità?
Vincenzo Consolo, scrittore siciliano da pochi mesi scomparso, lo immortalò nel suo libro “Il ritratto dell’ignoto marinaio”.
Anche gli interni di case borghesi e aristocratiche sono cimeli di sentimenti consumati all’interno di quelle pareti domestiche, anch’essi divenuti ormai solo memoria di passate abitudini, di compassati amori, sogni, speranze.
Angelo Pitrone nel corso della sua attività artistica ha pubblicato parecchi libri fotografici, moltissimi dei quali dedicati alla Sicilia. La sua ricerca che risale agli anni settanta, vede una grande evoluzione già dagli anni ottanta, quando pubblica “Viaggio della Sicilia di Pirandello” in cui il paesaggio diventa l’anima della sua sperimentazione.
E allora, come per Elvira Guarnera la patria è Cefalù, per Luigi Pirandello è Agrigento, il Caos e il suo amore ancestrale è tutto nei versi: “Casa romita in mezzo alla natia/campagna, su l’altipiano d’azzurre argille, a cui sommesso invia/fervor di spume il mare aspro africano,/te sempre vedo, sempre, da lontano,/se penso al punto in cui la vita mia/s’aprì piccola al mondo immenso e vano:/ da qui – dico – presi la via…”.
Per Pitrone, nato ad Agrigento, è insopprimibile il bisogno di fermare con l’obiettivo i luoghi di Pirandello che, grazie proprio al quale, alle sue opere, ai suoi personaggi, diventano universali.
Nascono così Solarium, L’isola del mito, I luoghi del romanzo, Pirandello e i luoghi del caos, dove la Sicilia, i suoi paesaggi vengono fuori da un caleidoscopio di luci, perché la Sicilia è terra di luce, è luce a prescindere. Il sole c’è sempre ma è luce e colore.
Ma la Sicilia è anche terra di accoglienza. E allora pubblica Migranti. Tra i testi di introduzione, Francesco Montenegro scrive: “…queste fotografie racchiuse in un libro tra le mani riescono ad inserire nella nostra vita, “grattando” la coscienza, quella realtà che molto spesso “in diretta” preferiamo non guardare…Queste fotografie parlano, raccontano storie vere, troppo vere, perché cariche di dolore, di tristezza, di paura, anche se non visibili, siamo presenti anche noi…In quelle fotografie ci sono anche le nostre storie…”
Noi Siciliani che oggi accogliamo, siamo stati anche noi dall’altra parte, emigranti, con le stesse facce, con gli stessi sguardi, con le stesse paure e chi di noi “ce l’ha fatta” oggi guarda con altri occhi l’obiettivo di chi, solo per ritratti di famiglia, immortala nuovi sentimenti di trovata serenità.
Se le parole possono mentire, le immagini sono la cruda rappresentazione della realtà. Così, ancora una volta, Pitrone, in un altro suo libro, offre uno spaccato della Berlino “del muro” insieme alla città moderna, quella giovane, restituita una e indivisa al mondo intero.
Ma poiché Pitrone è un viaggiatore, mette a nudo realtà come Buenos Aires, luogo del mondo in cui non è difficile ritrovare posti “di ogni parti del mondo”, possibili paesaggi mediterranei che però parlano un’altra lingua.
Tornare da un altro continente ed approdare a Cefalù non è difficile. Cefalù è un microcosmo: vi puoi incontrare gente del luogo e gente d’altri mondi, d’altre religioni, d’altre culture.
E il Museo Mandralisca è un polo d’attrazione per chiunque si fermi a cercare tra le pieghe dei vicoli cefaludesi un retaggio di già antica civiltà e cultura.
Enrico Piraino, barone di Mandralisca (1809-1864) raccolse nella sua dimora parecchi oggetti d’arte che volle mettere a disposizione (da idealista risorgimentale quale era) dei concittadini per creare una classe cittadina evoluta e acculturata, contravvenendo a quelle che erano le prospettive degli altri nobili suoi contemporanei.
In nome del barone, dopo la sua morte, obbedendo alle sue disposizioni testamentarie, fu costruito un liceo e una scuola serale per sopperire alla mancanza di istituzioni scolastiche del territorio. Nel 1926 fu istituita la Fondazione che da allora e sino ad oggi opera per la divulgazione dell’arte e della cultura nel territorio cefaludese.
La Pinacoteca è ricca di importanti opere; tuttavia non possiamo non essere attratti particolarmente da quel “sorriso dell’ignoto marinaio” che con il suo sorriso misterioso non meno di quello della leonardesca Gioconda e dal suo sguardo ambiguo e ammiccante, segue il visitatore lasciando un’inquietudine che lo accompagnerà per sempre.