Alessio Miraglia, chitarrista e compositore della music scene di Roma, è conosciuto per i suoi musicals La Magnolia Bianca e Whisper of the Rain, per il quale ha vinto la MTV Rock Channel Award (Best Instrumental Video). Da tre anni vive a Los Angeles con sua moglie Ilaria e suo figlio di cinque mesi, Liam Gabriele.
Iniziando come chitarrista autodidatta, hai anche studiato armonia, composizione e direzione orchestrale. Ce l’hai messa tutta, per quattro anni, per comporre il tuo primo musical La Magnolia Bianca…
La Magnolia Bianca è più un’opera moderna come Notre-Dame de Paris di Cocciante o Dracula della PFM, è il più grande e faticoso lavoro che io abbia mai composto. È la mia storia personale; dopo la morte dei miei genitori, ho voluto tatuare in musica una mia visione di un’ennesima sfida tra paradiso e inferno, demoni e angeli, morte e vita, e così via. È un’opera talmente grande che finora non ho potuto concretizzare la messa in scena teatrale, solo quella concertistica, perché non c’era un budget o un investitore all’altezza, ma ti assicuro che ne varrebbe davvero la pena.
Ormai sei diventato cittadino di Los Angeles. Adesso la tua carriera si svolge negli States; come mai hai scelto di essere qui?
Sono con la mia famiglia e amiamo viaggiare, quindi nessuna meta è preclusa. Ora siamo qui per motivi di lavoro, ma vorremmo anche andare a Boston, Chicago e New York. L’Italia è parte di me, la mia terra vive nella mia pelle e nella mia testa. Mi manca ogni cosa dell’Italia, ma vogliamo seguire i nostri sogni, provare a fare ciò per cui abbiamo studiato, faticato e sudato; prendere quello che è nostro. In Italia non è più così facile, ma l’America ci ha dato modo di trovare l’equilibrio tra ciò che vuoi essere e ciò che la vita ti fa essere. Ora sono compositore, padre e marito, vivo a Los Angeles, ma sono fiero di essere italiano.
L’introduzione di Whisper of the Rain, era molto forte e inquietante, mi ha fatto pensare ai Pink Floyd. Sei stato ispirato anche da altri musicisti?
Credo che il mio ultimo album Whisper of the Rain sia molto vicino al mondo dei Pink Floyd, di un genere che racconta storie semplicemente suonandole e chiudendole in una scatola musicale, come un music-box. È importante partire da un punto, il mio fortunatamente varia dai momenti. Sono eclettico e gli artisti che più influenzano la mia composizione e il mio modo di arrangiare sono molti, amo Tom Waits, Queen, Pink Floyd, Wagner, Morricone, Danny Elfman, Edoardo Bennato, Korn, Skrillex, Pearl Jam. Come vedi, la musica fa parte di me, ascolto tutto, ma sono una pagina bianca in un quaderno da finire, non si finisce mai d’imparare e ascoltare dà modo di migliorare. La composizione è un istinto, oltre che alla tecnica e al talento, devi avere cose da dire e i mezzi per poterle dire, quindi più ascolti più aumentano le possibilità. È come la storia. Se avessimo solo 100 anni di storia non saremmo così colti, per fortuna ne abbiamo milioni.
A proposito di Whisper, ho letto che eri a Boston un anno fa, in un temporale, e ti è successo l’imprevisto…
Questo disco si è sviluppato e generato da solo, per caso. Quel giorno a Boston pioveva molto forte, ho sentito una voce meravigliosa che cantava l’inno americano, era quest’uomo nero e mi accorsi subito che era un homeless, lui si accorse di me e mi disse “Vuoi sentire la mia storia?” Non potevo andare da nessuna parte, gli dissi di si! Mi parlò della sua vita, la sua nascita (il giorno della bomba di Hiroshima) in una città dell’Alabama intrisa di ignoranza e razzismo, erano gli anni ‘50 e ‘60. Mi raccontò tutto, dei suoi nonni assassinati dal Ku Klux Kan, la sua vita al college, quando suonava il violino con gli amici in strada, viaggio e ritorno dalla guerra in Vietnam, lo sguardo distante dei suoi concittadini bianchi, il suo declino personale, la speranza di Martin Luther King, e la sua vita da homeless. Io rimasi incantato da questa storia. Dopo alcuni mesi, decisi di trasformare tutto in un’opera facendola il più strumentale possibile, come se fosse una colonna sonora di un film che avevo in testa.
È stato commovente vedere Clint Eastwood sul palcoscenico degli Oscar, mentre faceva da traduttore per Ennio Morricone, che finalmente vinse il premio che si meritava. Vorresti essere un altro Morricone?
È la mia ambizione più grande, e con tutta umiltà, sono pronto per comporre per un film importante, come ho appena fatto con il mio disco, per me fare musica è dire e raccontare qualcosa, penso che scrivere la colonna sonora di un film sia il punto più alto per un compositore. Significa catturare l’essenza di una storia, l’ascoltatore deve vedere tutto solo con la musica. Il compositore è l’artista più completo, in una colonna sonora c’è poesia, musica, pittura, c’è tutto. Basta chiudere gli occhi, ascoltare e si vola nel film senza bisogno di vederlo, la musica dipinge scene, ti trasporta con le sue melodie e ti cattura con la poesia di armonie.