Come cambiano i tempi: l’Albania è una nazione composta da tre milioni di abitanti. Tra questi  oggi, ventimila sono italiani. Sono trascorsi oltre vent’anni da quando – arrivando stipati su imbarcazioni di fortuna, sfidando le onde dell’Adriatico, partendo da Durazzo o Valona – fiumi di albanesi raggiungevano le nostre coste, cercando fortuna in Italia. Oggi, invece, il viaggio si fa a ritroso e sarebbe doveroso, allora – davanti a questa piccola rivoluzione culturale – porsi qualche domanda.
 
Quasi seicento le imprese italiane che hanno aperto i battenti oltre l’Adriatico. C’è persino qualche pensionato che ha cambiato residenza, mollando l’Italia e scegliendo qualche città albanese. Qui la vita costa molto meno, il clima è simile al nostro e si tira avanti con dignità. Il prodotto interno lordo, il famigerato Pil che tanto inquieta i governanti italiani, è stimato persino in crescita per il 2015, figurarsi.
 
E l’Albania ha fatto domanda all’Unione Europea per entrare ufficialmente nel consesso che conta del Vecchio Continente. Chi ci è stato per turismo, a Tirana e dintorni, ha raccontato che l’Albania di oggi assomiglia – per la genuinità dei sogni – all’Italia degli anni ‘50, quella che era pronta a vivere il boom economico, dando un calcio ai ricordi strazianti della guerra, ricominciando a sognare, provando a ripartire.
 
A quanto ammonta la comunità albanese in Italia? Oltre cinquecentomila persone, ma gli sbarchi tumultuosi di oltre vent’anni fa, con le coste pugliesi trasformate in un formicaio di sognatori e sognatrici, sono un flebile ricordo. Ora sono gli italiani a fare il percorso inverso. Non a bordo dei traghetti, ma sui sedili di comodi aerei. Un’ora volteggiando sopra l’Adriatico e si è a Tirana. Qui basta poco per aprire un’attività: la burocrazia non è lenta e compassata come in Italia. In un mese si hanno tutte le licenze.
 
Partono per l’Albania gli imprenditori, stanchi del retaggio di tasse e balzelli nostrani. Gli studenti o gli operai: vengono pagati in fabbriche italiane con gli stessi stipendi in euro che percepirebbero da noi. La differenza è che da noi se non ci fai la fame poco ci manca. Mentre, a Tirana, ci vivi più che dignitosamente. In Albania la metà degli abitanti parla italiano, le Tv entrano nelle case portando vocaboli italiani. Presentatori di talk-shows, attori, attrici e giornalisti hanno scoperto le bellezze del paese. È nata persino una Tv  Agon Channel, perfettamente ricevibile dai bouquet dei nostri apparecchi.
 
Non c’è più distanza, pare, tra Italia e Albania. Una sorta di rivoluzione tra quello che era (o ancora è?) il settimo paese più industrializzato del mondo e quello che (erroneamente?) consideravamo solo un paese rurale, dedito alla pastorizia, lontanissimo dall’Europa che conta.
 
Invece, oggi, lo studente che vuole studiare medicina, con discrete possibilità di trovare poi una buona occupazione, si iscrive all’ateneo di Tirana, dove peraltro insegnano pure baroni italiani. Chi vuole sfidare la sorte non apre un ristorante a Roma o Napoli, bensì a Tirana e Durazzo. Sempre più i connazionali che varcano l’Adriatico, stanchi di un Paese che promette, ma non mantiene.
 
Emigrare in Albania: solo pensarlo anni fa si passava per matti. Oggi è realtà. 
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