“Addio Italia, non tornerò. I nostri giovani, gli emigranti degli anni 2000” è il titolo del docufilm prodotto dalla Fondazione Paolo Cresci a cura di Barbara Pavarotti.
Lanciato il 26 ottobre scorso a Lucca, dopo una prima tappa all’Ambasciata italiana a Madrid, il lavoro di Pavarotti – di cui è stata pubblicato online un trailer di presentazione – in questo 2019 sarà presentato anche a Roma e Pisa e Milano e, all’estero, a Londra, Monaco e Los Angeles.

ITALIA ADDIO, NON TORNERÓ: LA SCHEDA DEL PROGETTO
I dati sull’attuale emigrazione giovanile sono impressionanti.
Ognuno di noi ormai ha un figlio, un parente, un amico emigrato all’estero perché in Italia non ha trovato lavoro. Emigrare ora è facile: i curricula si inviano via internet e le aziende straniere coprono le spese del viaggio per il colloquio conoscitivo; gli stipendi sono adeguati e il sistema si basa sulla meritocrazia.
Per individuare i giovani, emigrati in 3 continenti, la Fondazione Cresci ha contattato, tramite i social, 70 Gruppi di Giovani Italiani nel mondo ed è entrata in contatto con circa 350.000 persone.
Il criterio di scelta, visto le numerose richieste di partecipazione al progetto, si è basato sulle mete preferite dai giovani: in Europa, Londra, Monaco ma anche la Spagna; negli Usa, New York e Los Angeles, le metropoli sulle sponde dei due Oceani; l’Europa dell’Est con Tallinn, città all’avanguardia nell’informatica; Melbourne per l’Australia.
Per quanto riguarda le professioni, sono stati intervistati giovani impegnati nelle attività più varie, e con titoli di studio diversi: pizzaioli, ristoratori, medici, ingegneri, astronomi, artisti, produttori cinematografici, imprenditori, professori universitari, dipendenti di aziende varie, ricercatori, baby sitter, fondatori di attività legate all’Italia. Vengono da quasi ogni regione italiana e sono nati, per lo più, negli anni ‘80 e ‘90.
Il campione, seppure limitato, rispetto alle cifre impressionanti dei giovani all’estero, è risultato significativo.

ALCUNI DATI
Secondo l’ultimo rapporto della Fondazione Migrantes, nel 2017 hanno lasciato l’Italia in modo ufficiale per espatrio 128.193 italiani. 243.000 sono invece coloro che, sempre nel 2017, si sono iscritti all’Aire, l’Anagrafe italiani residenti all’estero. Secondo l’Ocse (l’organizzazione mondiale per la cooperazione e lo sviluppo) l’Italia è oggi all’ottavo posto nel mondo come paese di emigrazione. L’emigrazione italiana, fermatasi per decenni dagli anni ’70, è tornata ai livelli del dopoguerra. L’Italia vorrebbe essere lasciata da quasi un terzo dei residenti. Il costo di questo esodo è enorme. L’Italia forma giovani nel percorso scolastico e universitario che poi portano le loro competenze ed energie all’estero. Un danno economico che Confindustria ha calcolato in 14 miliardi di euro all’anno. Una perdita di “capitale umano” stimata in un punto di Pil, il prodotto interno lordo, ogni anno.
Dati impressionanti che evidenziano un fallimento del sistema Italia. Il nostro paese, invecchiato e pessimista, non sembra più essere un posto per giovani.

DIFFERENZE CON L’EMIGRAZIONE DI UN TEMPO
L’attuale emigrazione non è più quella del secolo scorso e del precedente, quando i nostri emigranti partivano con la valigia di cartone e con nel cuore lo strazio del distacco e il dolore per la terra perduta. Ora, nell’epoca della globalizzazione e degli spostamenti facili, i nostri giovani, istruiti e formati, partono consapevoli di se stessi e delle proprie capacità che in Italia non hanno potuto applicare. Molti poi si sentono cittadini del mondo, fanno parte della generazione abituata a vivere senza confini, viaggiatori per natura, affascinati da scoperte e nuove avventure. Sono internazionalizzati e ritengono l’Italia un paese immobile e invecchiato, ripiegato su se stesso. A costoro, in larga parte, l’Italia sta stretta. Sono esuli volontari e contenti di essere tali, moltissimi per necessità, chi per passione, per scelta, per curiosità e voglia di sperimentare.

COSA EMERGE DALLE TESTIMONIANZE PRESENTATE NEL DOCUFILM: IN ITALIA NON VINCE IL MIGLIORE
Se l’Italia è vittima del pessimismo, della depressione, della rassegnazione e della sfiducia, i giovani che vivono e lavorano all’estero hanno raccontato alla Fondazione Cresci di aver sperimentato fuori dai nostri confini una realtà diversa: meno stress e più meritocrazia. In Italia, dicono tutti, il sistema taglia le gambe, fa strada solo chi è raccomandato, chi ha una famiglia che conta alle spalle, nessuno ti vuole insegnare niente, anzi ti mettono i bastoni fra le ruote per timore che un giorno tu possa rubargli il lavoro. In Italia, dicono, si tende ad avere verso i giovani un atteggiamento negativo, ad avere fiducia solo verso chi può già vantare una buona esperienza, mentre all’estero ti mettono alla prova e se lavori bene si fidano di te.
Tutti sostengono che all’estero non c’è spazio per la rassegnazione o per le lamentele. Anzi, si sono rimboccati le maniche e hanno tirato fuori le loro migliori energie, quelle che i laccioli italiani e il clima di scoraggiamento generale non gli hanno permesso di esprimere. Partire è un’assunzione di responsabilità perché costa fatica stare fuori dal nido e quindi si sono concentrati maggiormente sul proprio impegno, sulle proprie motivazioni e sul raggiungimento dei propri obiettivi.

GLI INIZI, PERÒ, SONO SEMPRE DURI
Anche loro, però, come i nostri emigranti di un tempo, raccontano di inizi duri, di un senso di spaesamento inizialmente feroce. Lingua e abitudini diverse, mancano la famiglia, i parenti, gli amici. Difficoltà burocratiche e pochi soldi. E nulla viene regalato: anche se con titoli di studio alcuni all’inizio fanno i camerieri, i lavapiatti, sbucciano patate. Però non si fermano qui: chi vale va avanti e le tappe per il conseguimento di una buona carriera sono più ravvicinate rispetto all’Italia. Tutti sostengono di aver raggiunto in poco tempo obiettivi che nel nostro paese sarebbero stati impossibili e sono in larga parte soddisfatti della propria carriera.

I GIOVANI ITALIANI SI INTEGRANO MOLTO BENE
Un dato importante emerso dalle interviste riguarda l’integrazione. I giovani intervistati sono tutti consapevoli che bisogna adattarsi agli usi e costumi del paese in cui vivono, e lo fanno con entusiasmo: “Siamo immigrati, dobbiamo integrarci”, dicono. Rispettano le altrui usanze e per tutti il confronto con culture diverse è fondamentale. È la sfida del confronto che arricchisce.

ORGOGLIOSI DI ESSERE ITALIANI
Non rinunciano tuttavia all’italianità. Rimangono orgogliosi di essere italiani, per la storia, l’arte e la cultura che ci identificano nel mondo. Anzi, tutti dicono che stando all’estero apprezzano molto di più l’Italia perché la vedono con gli occhi degli stranieri: un paese pieno di fascino e di bellezza. Fuori dai nostri confini è ancora un brand la parola “Italia”, mentre chi rimane qui non se ne rende conto a sufficienza. Vogliono essere integrati, ma non rinunciare alle proprie radici e portare altrove un briciolo di italianità, che identificano con la creatività. All’estero, dicono, sono più rigidi, noi siamo più fantasiosi e creativi e troviamo soluzioni dove sembra impossibile.

PROVANO NOSTALGIA, MA QUANDO TORNANO SI SENTONO STRANIERI IN PATRIA
La nostalgia e il senso della perdita, dicono, è un sentimento che affiora spesso, proprio come accadeva ai nostri nonni espatriati. Però quando tornano per brevi periodi spesso si sentono in difficoltà: non sono né carne né pesce, sono italiani, ma col lavoro, la casa e la vita costruiti altrove. Tornare a casa è bello solo perché temporaneo, è una vacanza e quando finisce si torna alla vera casa.

TORNARE DEFINITIVAMENTE IN ITALIA? NO GRAZIE
Quasi nessuno di loro – ed è questo il dato tragico e nello stesso tempo la grande differenza con l’emigrazione di un tempo – vuole tornare definitivamente in Italia. L’Italia, dicono, non è più un posto in cui sperare, ci piace, ma da turisti. E lanciano un appello: non rimanete chiusi nel vostro paese perché lì pensiamo non ci sia più futuro.

CONCLUSIONI
Questo in sintesi quanto emerge dal docufilm, il primo mai realizzato finora in Italia con così tante testimonianze raggruppate tutte insieme. La conclusione è molto amara e ci sbatte sotto gli occhi una realtà di cui si parla ancora troppo poco. Speriamo sia di stimolo e di riflessione perché le cose cambino.

COLONNA SONORA ORIGINALE
Il valore aggiunto del documentario è la colonna sonora originale firmata da Massimo Priviero, un musicista con base a Milano, che ha messo a disposizione della Fondazione i brani del suo ultimo album tutto dedicato all’emigrazione italiana di ieri e di oggi. Si intitola “All’Italia” ed è un inno di amore e di dolore per la nostra patria bistrattata. Suo figlio stesso fa parte della generazione espatriata.
I brani delle canzoni sono la narrazione, in chiave musicale, degli stessi sentimenti, emozioni ed esperienze raccontate dagli intervistati. Il docufilm quindi si svolge su due livelli, che si intersecano e si arricchiscono a vicenda: musica e parole che portano alle stesse conclusioni. Massimo Priviero apre il documentario con una dedica scritta da lui: “Dedicato a ogni italiano partito ieri, in partenza oggi e che partirà domani. Possa il suo destino essere giusto, forte e dolce”.
Le immagini di repertorio sono dell’archivio video Mediaset.

LA FONDAZIONE CRESCI

La Fondazione Paolo Cresci per la storia dell’emigrazione italiana si occupa di promuovere la conoscenza dell’emigrazione dall’800 ai giorni nostri.
Nel 1998 la Provincia di Lucca decise di acquisire l’Archivio Paolo Cresci, la più importante raccolta di documenti sull’emigrazione esistente in Italia, con l’intento di trasmettere e far conoscere ad un sempre maggior numero di persone di quel territorio – zona fortemente interessata dal fenomeno dell’emigrazione – un ‘pezzo’ fondamentale della storia degli emigranti raccontata attraverso testimonianze, immagini e documenti raccolti in anni di lavoro da Paolo Cresci. Un’eredità destinata soprattutto ai giovani: sia ai discendenti delle persone che partirono per andare lontano, nella certezza che, in un mondo esposto ai rischi dell’omologazione, la riscoperta delle proprie radici può essere punto di riferimento; sia ai discendenti di chi, invece, restò in Italia perché, a fronte delle stesse sfide, possano che in molti casi la diversità è ricchezza.
La “Fondazione Paolo Cresci per la Storia dell’Emigrazione Italiana”, nata nella primavera del 2002, con delibera presa con voto unanime dall’Amministrazione provinciale di Lucca, è un’istituzione culturale permanente cui hanno aderito, oltre la Provincia di Lucca, le Comunità Montane del territorio, l’Associazione Lucchesi nel Mondo, la Camera di Commercio, la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, la Fondazione Banca del Monte di Lucca, l’Università degli studi Pisa.

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