La superiorità umana ed esistenziale della campagna sulla città, evidenziata nel libro “Così parlò Zì ‘Ntonie, l’analfabeta” scritto dal filosofo-contadino Donato De Francesco di Sant’Eusanio del Sangro, in provincia di Chieti in Abruzzo, è motivo di grande attenzione anche al livello universitario.
L’invito alla lettura ed alla piena conoscenza dell’intellettuale abruzzese viene dal professor Paolo De Lucia, docente di Filosofia all’Università di Genova, che non ha esitato a definire Donato De Francesco “uno dei più interessanti ed originali pensatori contemporanei”.
Una cultura “altra” che è “alta” e che non cede a compromessi e non delega ad altri.
Non è indifferente. Ma scruta a fondo e denuncia liberamente.
De Francesco evidenzia mali, propone soluzioni. E’ una critica costruttiva anche se agli occhi degli osservatori e dei lettori superficiali potrebbe apparire diversamente. Avere le idee, il coraggio di esporle. Avere la forza di difenderle e non arrendersi mai, non è da tutti.
De Francesco ha una grandissima dote: la sincerità culturale, che nasce e si nutre con la linfa vitale della ricca saggezza contadina. Per la Rai, nel 1979, ha raccontato la storia di Zì ‘Ntonie, Antonio Angelucci, nato a Castel Frentano nel 1887 e vissuto a Sant’Eusanio del Sangro. Analfabeta con un cervello da Nobel della saggezza. Un personaggio che ha appassionato i telespettatori per la sua genuinità e onestà intellettuale. Semplice ed incisivo.
“Forse povero in cultura, ma ricchissimo d’intelligenza e di arguzia, Zì’ ‘Ntonie ci offre una vera e propria pioggia di perle di saggezza”, hanno detto di lui. Leggiamo qualcuna delle sue perle: “Amare l’altro significa essere capace di donargli disinteressatamente non ciò che l’altro vorrebbe, ma ciò di cui ha effettivo bisogno, e il vero bisogno dell’uomo è l’essenziale, anche se lui desidera il superfluo”.
Ancora: “Oggi le campagne sono deserte e solo qualche anziano vi si aggira, sebbene debilitato e privo di forze; le palestre, al contrario, sono affollate di persone piene di vitalità che sudano le sette camicie per dimagrire o per potenziare sempre più i loro inutili muscoli. Tutto questo è pura follia eppure accade, e accade per merito della ragione umana che aborre la fatica produttiva e santa ed esalta la fatica sterile e sprecata, oppure utilizzata per accrescere la prestanza fisica; la fatica (come quella utilizzata per esempio dalle ballerine) diventa nobile solo se è ‘bella’. Mi chiedo: quando le persone si mettono a tavola, mangiano i prodotti della fatica santa o i prodotti della fatica bella? Chissà se gli uomini di mondo si sono mai posti una simile domanda!”
Interessanti riflessioni che nella pubblicazione editoriale è così riassunta: “La storia, la cultura, la politica, la fede, più alcune ‘divagazioni’ su argomenti vari. Un trattato? Non è così semplice. Un dialogo? Non esattamente, perché Zì’ Ntonie non è più tra noi. Dopo aver superato la soglia dei cento anni, ha lasciato il mondo, portando con sé una straordinaria quantità di saggezza. Una saggezza autentica, fatta di esperienza e ragione, fatta di consapevolezza pratica.
Sono tante le cose che si potrebbero imparare da una mente come quella di Zì’Ntonie, per questo Elìaba ha ricostruito con meticolosità una sorta di dialogo. É un modo per dare risalto ad una vita che lo avrebbe meritato, ma che non l’ha avuto perché non faceva storia”.
Dietro “Elìaba” si nasconde Donato De Francesco, un filosofo-contadino abruzzese che ha elaborato un vero e proprio sistema di pensiero. Il baricentro di esso è la teoria della superiorità umana ed esistenziale della campagna rispetto alla città, e della cultura contadina rispetto alla cultura cittadina. De Francesco, che attinge ad una fede cristiana robusta e profondamente assimilata, inanella argomenti difficilmente refutabili per dimostrare il carattere patologico della civiltà moderna, e ne coglie la radice nel primato dello spirito, da lui identificato con la pretesa onnicomprensiva della razionalità. Non sarà un caso se la prima delle beatitudini di Gesù suona “Beati i poveri di spirito”.
Leggendo “Così parlò Zì ‘Ntonie, l’analfabeta” si apre un altro mondo. Che vale la pena di scoprire, riscattando la memoria di una cultura “altra”, vilipesa, mistificata e uccisa a cuor leggero da chi, forse, aveva qualcosa da imparare da essa.