Elderly people enjoying the sun in a traditional southern Italian village square. Are too many foreigners going to spoil these villages’ authenticity? (Photo: Fabio Michele Capelli/Shutterstock)

Our readers are familiar with the 1 Euro homes frenzy that has taken Italy by storm in the past three years. Italophiles around the world have been enticed by the opportunity to snatch village-center, traditionally-built properties for the price of a coffee a bit everywhere in the Belpaese: from Olloai in Sardinia to Sambuca in Sicily, all the way to Biccari in Apulia, the project has been embraced by many a commune and welcomed by a large number of eager, mostly foreign, buyers.

Because, to be truthful, Italians don’t quite buy into the “Italian dream.” They live it already some would say, or they know it isn’t always a dream because there is always another side to the coin and it’s usually the one showing reality more accurately. I am not saying that living in Italy isn’t dreamlike but, as it happens in every country, it’s not always rose e fiori

Honestly, I am quite sure foreigners who buy properties in our country seeking a life of tranquility and beauty are aware of it but happy enough to put up with some of our national idiosyncrasies to enjoy a slice of Italian life. It’s something else that may bother them to the point of giving up their dream: having too many foreigners like them around.

Last Spring, the international online newspaper The Local published an article on life after buying an Italian one-euro home and, perhaps surprisingly to some, the main complaints recorded weren’t about crumbling walls or the steep price of renovations, but the presence of too many… foreigners. There are two categories of people investing in the one euro homes project: those doing it as a business venture – they renovate the houses, then rent them out to tourists, for instance – and those who, quite simply, want to leave their old life behind and enjoy perfect rural bliss, fully immersed in traditional Italian life. Needless to say, that requires Italians and, even more importantly, Italians who are still strongly connected with their roots and their heritage.

People buying into the “Italian dream” don’t care for the fashionable lifestyle of the Romans, nor for the international allure of Milan; they don’t want to have a drink with other non-Italians in English-speaking-only bars like those in Turin, nor continue mingling with other stressed out professionals who share the same job and language they do. These people want to live in a tiny slice of imperfect perfection, a reconstructed reality of the world their great-grandparents once knew, but with the advantages that progress and technology can grant us today: they want the peace of rural Italy, the vegetable garden, the vineyard nearby, plus the fastest wi-fi and Amazon Prime.

I understand them fully because a few years back I made the same choice and I myself returned to living in my old family home in the countryside, working remotely and getting monthly deliveries of the same products I used to shop for when I lived abroad.

Two elderly Italians working in a traditional farmer’s market (Photo: Luigi L. Silipo/Shutterstock)

But the Italian dream of non-Italian dreamers is inherently different from mine because, while I cherish the presence in my village of people from abroad speaking in English in the stores, and welcome it as a beautiful sign of how my country has been finally opening up to the world fully, things work differently if you weren’t born in Italy. The last thing you want is to sit at the pizzeria beside a non-local if your aim was that of experiencing life like your Italian ancestors. You wanted to grab a piece of bucolic Italy and its ancestral traditions, and anything different from that picture-perfect image may truly be a bummer.

But it shouldn’t be.

One of the main points made by expats in the article I mentioned was that they feared the presence of foreigners would affect the authenticity of the place they chose as their new home; that too much “world” in such small, traditional communities could threaten the “old Italy” within.

And while I can see where they come from I feel like to reassure them, because the risk of losing “authenticity” is not as big as one may expect: traditions and habits are hard to die in old school towns and, in fact, visitors and new residents’ interest only helps strengthen them. Because the point is, in the end, one and one only: living like the people around you, not watching them live. When new residents settle in their idyllic Italian paradise, they are observant and they enjoy taking in all that rural Italy has to offer, but it comes a time when they must become part of the community, helping it develop and thrive. They undoubtedly do so, because they bring much-needed lifeblood to places that would have long disappeared from the map if it weren’t for them. They offer their know-how and their enthusiasm to recreate a long-gone sense of communitarian happiness.

If foreign residents fully embrace their Italian dream, then they shouldn’t fear other foreigners can taint the authenticity of their village because they themselves are villagers and work from within to ensure the soul and heart of the place remain intact.

That’s the secret, you see: get your one euro home, renovate it, and live as if you were born there, not as a visitor. Don’t “watch” locals, become a local: you’ll be part of the magic, you’ll help save what you love.

I nostri lettori conoscono bene la frenesia delle case a 1 euro che ha invaso l’Italia negli ultimi tre anni. Gli italofili di tutto il mondo sono stati invogliati dall’opportunità di accaparrarsi immobili in centro, costruiti in modo tradizionale, al prezzo di un caffè un po’ ovunque nel Belpaese: da Olloai in Sardegna a Sambuca in Sicilia, fino a Biccari in Puglia, il progetto è stato abbracciato da molti comuni e accolto da un gran numero di acquirenti desiderosi, per lo più stranieri.

Perché, a dire il vero, gli italiani non credono molto nel “sogno italiano”. Lo vivono già, direbbe qualcuno, o sanno che non è sempre un sogno, perché c’è sempre un’altra faccia della medaglia e di solito è quella che mostra la realtà con maggiore precisione. Non dico che vivere in Italia non sia un sogno ma, come accade in ogni Paese, non è sempre rose e fiori.

Onestamente, sono abbastanza sicura che gli stranieri che acquistano immobili nel nostro Paese alla ricerca di una vita di tranquillità e bellezza ne siano consapevoli, ma siano abbastanza felici di sopportare alcune delle nostre idiosincrasie nazionali per godersi un po’ di vita italiana. È un’altra cosa che potrebbe infastidirli al punto da farli rinunciare al loro sogno: avere troppi stranieri come loro intorno.

La scorsa primavera, il quotidiano internazionale online The Local ha pubblicato un articolo sulla vita dopo l’acquisto di una casa italiana a un euro e, forse sorprendentemente per alcuni, le principali lamentele registrate non riguardavano i muri fatiscenti o il prezzo elevato dei lavori di ristrutturazione, ma la presenza di troppi… stranieri.

Ci sono due categorie di persone che investono nel progetto delle case a un euro: quelle che lo fanno per affari – ristrutturano le case e poi le affittano ai turisti, per esempio – e quelle che, semplicemente, vogliono lasciarsi alle spalle la loro vecchia vita e godersi la perfetta felicità rurale, completamente immersi nella vita tradizionale italiana. È inutile dire che ciò richiede italiani e, cosa ancora più importante, italiani che siano ancora fortemente legati alle loro radici e al loro patrimonio. Le persone che acquistano il “sogno italiano” non si interessano allo stile di vita alla moda dei romani, né al fascino internazionale di Milano; non vogliono bere un drink con altri non italiani in bar che parlano solo inglese come quelli di Torino, né continuare a mescolarsi con altri professionisti stressati che condividono il loro stesso lavoro e la loro stessa lingua. Queste persone vogliono vivere in una piccola fetta di perfezione imperfetta, una realtà ricostruita del mondo che i loro bisnonni conoscevano un tempo, ma con i vantaggi che il progresso e la tecnologia possono concederci oggi: vogliono la pace dell’Italia rurale, l’orto, il vigneto vicino, più il wi-fi velocissimo e Amazon Prime. Li capisco perfettamente perché qualche anno fa ho fatto la stessa scelta e sono tornata a vivere nella mia vecchia casa di famiglia in campagna, lavorando a distanza e ricevendo mensilmente le consegne degli stessi prodotti che acquistavo quando vivevo all’estero.

Ma il sogno italiano di chi non è italiano è intrinsecamente diverso dal mio perché, se da un lato apprezzo la presenza nel mio paese di persone provenienti dall’estero che parlano in inglese nei negozi, e la accolgo come un bel segno di come il mio Paese si sia finalmente aperto al mondo in modo completo, dall’altro le cose funzionano diversamente se non si è nati in Italia. L’ultima cosa che vuoi è sederti in pizzeria accanto a una famiglia di americani se il tuo obiettivo era quello di vivere la vita come i tuoi antenati italiani. Si vuole solo un pezzo di Italia bucolica e delle sue tradizioni ancestrali, e tutto ciò che si discosta da quell’immagine perfetta può davvero essere una seccatura.

Ma non dovrebbe esserlo.

Uno dei punti principali sollevati dagli espatriati nell’articolo che ho citato, è che temevano che la presenza di stranieri avrebbe compromesso l’autenticità del luogo che avevano scelto come nuova casa; che troppo “mondo”, in comunità così piccole e tradizionali, avrebbe potuto minacciare la “vecchia Italia” al loro interno.

Pur comprendendo il loro punto di vista, mi sento di rassicurarli, perché il rischio di perdere l'”autenticità” non è così grande come ci si potrebbe aspettare: le tradizioni e le abitudini sono dure a morire nei centri storici e, anzi, l’interesse dei visitatori e dei nuovi residenti non fa che rafforzarle. Perché il punto, alla fine, è uno e uno solo: vivere come le persone che ci circondano, non guardarle vivere. Quando i nuovi residenti si stabiliscono nel loro idilliaco paradiso italiano, sono attenti e si godono tutto ciò che l’Italia rurale ha da offrire, ma arriva il momento in cui devono diventare parte della comunità, aiutandola a svilupparsi e a prosperare. Lo fanno senza dubbio, perché portano la linfa vitale necessaria a luoghi che, se non fosse per loro, sarebbero scomparsi da tempo. Offrono il loro know-how e il loro entusiasmo per ricreare un senso di felicità comunitaria da tempo scomparso.

Se i residenti stranieri abbracciano pienamente il loro sogno italiano, allora non devono temere che altri stranieri possano macchiare l’autenticità del loro villaggio, perché loro stessi sono abitanti del villaggio e lavorano dall’interno per garantire che l’anima e il cuore del luogo rimangano intatti.

Questo è il segreto: prendete la vostra casa a un euro, ristrutturatela e vivete come se foste nati lì, non come visitatori. Non “osservate” la gente del posto, diventate abitanti del luogo: sarete parte della magia, contribuirete a salvare ciò che amate.


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