Raccontare la vita di un uomo è scrivere la storia. Ed è storia la vita descritta nel libro, “Venanzio Di Biase, un uomo geniale”, redatto a due mani da Anna Paola Di Loreto e Bruno Di Bartolo, coniugi raianesi, che la storia del paese l’hanno causata e vissuta. Il genio di cui si parla nel titolo sembra riferirsi al concetto di Kant che lo definisce “spirito proprio di un uomo, quello che gli è stato dato con la nascita, lo protegge e lo dirige”. Non caso eccezionale, quindi, ma uomo capace di esprimere tutte le proprie attitudini. Non un uomo qualsiasi, ma una specie superiore, un oltre-uomo, se dovessimo dar ragione a Nietzsche.   

Venanzio Di Biase, ventenne emigrante a Torino, la città per eccellenza dell’automobile e del boom economico-tecnologico, trova l’occasione per realizzare capacità, raccogliere e sviluppare idee, incontrare l’ambiente che ne facilita l’attuazione. Capacità e idee che a Raiano sarebbero rimaste infruttuose, inutili. Ha in sé la storia e i valori del paese natale (filius loci), ma a Torino, in un ambiente totalmente diverso, si adatta, accoglie e affronta le sfide della modernità, dei tempi nuovi, senza rimanerne schiacciato (filius temporis). Non dimentica il paese, anzi cerca, con altri amici paesani, di promuoverne le possibilità di sviluppo economico, nonostante le gravi difficoltà e gli ostacoli derivanti dal sistema politico-burocratico del Mezzogiorno. 

Era partito da Raiano con la solita valigia degli emigranti dal Sud al Nord negli anni ’60 e in più con fagottino di fagioli. Obiettivo, la casa della cugina Dirce, che lo aveva chiamato per lavorare alla “Carrozzeria Bertone”. In possesso della licenza della “Scuola d’Arte e Mestieri”, oggi “Istituto d’Arte” di Sulmona, aveva sempre dimostrato intelligenza e creatività anche nelle piccole cose. Alla “Carrozzeria Bertone”, gli viene assegnato un lavoro relativamente semplice, alla pressa. Venanzio ha il piacere di lavorare e di osservare tutto ciò che lo circonda. Lavora e osserva, studia e annota. Capisce che è possibile un diverso e più efficace sistema di produzione. Ne parla quasi sottovoce con qualche amico. Ma la cosa viene risaputa in alto e chiamato in direzione. Da quel giorno, Venanzio cambia reparto e si ritrova in ufficio di programmazione. Comincia il salto tecnico-sociale nel settore automobilistico a livello di personaggi come Giugiaro, Bertone, De Lay, Bianchini, ecc. In ufficio lo chiamano “cocciolone”. Al paese ha lasciato i familiari e gli amici. Tra questi ultimi, l’inseparabile Tonino Benni, come lui studente dell’Istituto d’Arte, che sta facendo la scalata di grande fumettista a livello internazionale. Amicizia per tutta la vita.

Il primo grande successo per Venanzio Di Biase progettista è la realizzazione, insieme a Gandini stilista, della Miura Lamborghini, un motore da toro, come il suo nome. Una macchina sportiva per il grande pubblico. Al salone di Ginevra è un trionfo. Acquistata subito da personaggi come Frank Sinatra o re Hussein di Giordania. Venanzio, asceso al top nella categoria delle teste di eccellenza, viene prelevato proprio da un “cacciatore di teste”, Alejandro De Tomaso, proprietario e controllore della carrozzeria Ghia, di fama internazionale. De Tomaso nel 1969 assume Di Biase come Direttore della Progettazione. L’idea era quella di lanciare una nuova Mangusta, chiamata poi Pantera, con motore Ford, mentre De Tomaso, amico di Henry Ford II e di Lee Jacocca, accetta la sfida. Con Di Biase, un altro giovane ingegnere di grande talento, diventa suo amico e stretto collaboratore, Dario Trucco. Sono loro a recarsi in USA, trattare con Henry Ford II e stabilire la linea di azione. Otto mesi e la Pantera è in vendita. Primo acquirente, Elvis Presley.

Venanzio continua la sua attività sempre in prima linea e sempre con grande modestia. È il tipo di uomo aperto ad ogni evento, libero da condizionamenti, fiducioso nelle sue capacità intuitive, pieno d’un profondo senso di umanità. Perfino la creazione di un centro di accoglienza per i paesani, che lui stesso chiama a lavorare a Torino, è segno tangibile del suo alto grado di solidarietà. Un senso umanitario che lo rende forte negli ostacoli e determinato nelle scelte di vita. 

Torna, di tanto in tanto, a Raiano, per conservare la memoria del paese, anche se i suoi familiari, il padre e la sorella, gli sono accanto a Torino. A Raiano, sollecitato in particolare da Bruno Di Bartolo, sindaco e consigliere regionale, in collaborazione con altri manager tenta la nascita di un’azienda, la Megatron, produttrice di sedie ergonomiche per ufficio, su brevetti di Di Biase. L’azienda non riuscirà a decollare, anche e soprattutto per la latitanza e la diserzione della Cassa per il Mezzogiorno, che ne aveva approvato il piano di sviluppo. Un disinganno. Di fronte alla delusione e alle amarezze, Venanzio torna nel Nord Italia dopo aver ceduto la Megatron al gruppo Fontana. Riprende la sua attività professionale ai vertici dell’industria automobilistica. Muore il 31 dicembre 2015. La sua storia andrebbe conosciuta, studiata, pubblicizzata. La storia di un uomo, ad uso del grande capitale, ma consapevole della sua dignità e del suo lavoro. Artefice d’un mondo che corre verso un fine, che gli è sconosciuto, ma che vorrebbe migliore per tutti. 

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