Al termine del suo primo campionato di serie A, Antonio Conte ha condotto la Juventus allo scudetto numero ventotto. Stimmate da predestinato, dunque, per il tecnico salentino, classe ’69, arrivato a Torino lo scorso giugno dopo aver portato in carrozza il Siena nella massima serie.
 
Non è stato uno scudetto come un altro e i meriti di Conte vanno esaltati. Già perché la Juve – unico vanto in Europa – ha condotto la stagione a petto in fuori, senza mai perdere una partita. Un tricolore condito da un record difficilmente eguagliabile, trentasette partite senza mai sbandare, vincendo quasi sempre, al limite pareggiando.
 
Il tecnico ha profondamente inciso nella crescita collettiva di una squadra che, ad inizio stagione, era accreditata solo tra le possibili outsiders reduce – com’era – da due anonimi, consecutivi settimi posti. Plasmando un collettivo in cui tutti, a rotazione, si sono sentiti importanti, offrendo prestazioni sopra le righe. Adottando un calcio sempre propositivo, sorretto da una condizione fisica superlativa.
 
Proprio il grande ritmo, le gambe, il podismo esasperato hanno garantito alla Juve una iniezione supplementare di autostima. E Conte, da sapiente motivatore, ha acceso subito la miccia, lanciando il guanto di sfida alle milanesi e al Napoli. Il caso ha voluto poi che l’Inter si sia sfilata da subito dal treno-scudetto e che il Napoli abbia più pensato all’avventura in Champions che all’attacco al tricolore. E il Milan, unico superstite, alla fine si è dovuto inchinare alla regolarità senza precedenti della Juve di Conte, gruppo fantastico, governato da un allenatore che si è dimostrato, nella prima stagione in serie A, autentico fenomeno.
 
Conte valore aggiunto, allora, senza reticenze. Giocare nel fiammeggiante, nuovo impianto dello Juventus Stadium (un gioiello da quarantamila spettatori, a contatto col campo) ha dilatato le responsabilità. E Conte, al pari della squadra, non le ha scacciate. Ha saputo motivare il gruppo, donandogli il gusto della sfida. Nella Juve tricolore c’era ancora (Buffon, Del Piero, Chiellini) chi aveva vissuto l’oltraggio della retrocessione a tavolino e dei campi dimenticati della serie B.
 
Quella rabbia si è lentamente tramutata in forza, in coraggio. E Conte, con sapienza, è riuscito a trasformarla in energia supplementare. Aggiungete alcune innovazioni tattiche: quel pressing esasperato, ad esempio, su ogni zolla del terreno che ha costretto le rivali a rinculare sempre. E poi la scelta estiva di alcuni interpreti ai quali affidare le chiavi del gioco: Pirlo, strappato a zero euro ai rivali del Milan, e il cileno Vidal, mezz’ala che contrasta e segna tanto.
 
Conte, dopo aver vinto decine di allori da giocatore con la maglia bianconera addosso, è riuscito nell’impresa di ricollocare la Juve, dopo le sentenze di Calciopoli, sul tetto d’Italia. È un tecnico italiano, un figlio del Sud che ha firmato sul campo una impresa infinita: un anno tricolore e senza sconfitte. Merita l’applauso anche da parte di chi non è juventino.
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