La speranza è durata poco più di 24 ore. Poi, nella bigia mattinata parigina di domenica 15 novembre è arrivata la tragica conferma. La veneziana Valeria Solesin è morta nell’attacco terroristico al teatro Bataclan di Parigi.
Andata col fidanzato e due amici a sentire il concerto della band californiana Eagles of Death Metal è rimasta colpita nell’azione mortale del commando mentre gli altri tre sono riusciti a scappare. Di lì in poi, più niente. Nessuna comunicazione. Dopo le prime concitate ore e la chiusura delle frontiere, Valeria era l’unica italiana a non risultare all’appello e perciò è stata classificata come “dispersa”. Famiglia, amici e l’Italia intera confidavano si trovasse in uno dei blindatissimi ospedali della capitale transalpina. Poi invece l’epilogo più tragico. L’incubo è diventato atroce realtà. Ambasciata e Consolato hanno confermato il riconoscimento del corpo.
Ho un ricordo personale di Valeria. Era l’agosto 2004 quando rientrai a Venezia dopo la mia prima esperienza biennale nel mondo del giornalismo a Firenze. Il caso volle che in seguito a un servizio sul gruppo veneziano di Emergency, l’associazione umanitaria fondata dal chirurgo di guerra Gino Strada, divenni anch’io volontario. Ci volle poco per entrare in sintonia con quei ragazzi e ragazze, e ciò grazie anche all’amichevole supervisione dello storico referente Carlo Campana. Nel giro di pochi anni il gruppo crebbe molto, con sempre più volontari dalle età più disparate. Capitava spesso poi di essere invitati nelle scuole locali per parlare della Ong. Fu durante uno di questi incontri, al Liceo Scientifico Benedetti, che incontrai per la prima volta Valeria. Il suo interesse ed entusiasmo lasciò subito il segno e così anche lei entrò nella grande famiglia del gruppo veneziano. Lei, e altre sue coetanee tra cui Maria Zanenghi, anch’essa espatriata in terra francese (Strasburgo, Alsazia). Una generazione di giovani ragazze impegnate e con le idee chiare sui valori da sostenere e difendere. Momento indimenticabile, l’incontro nazionale di Emergency a Orvieto nel settembre 2006 al quale ci si recò tutti insieme in treno.
Con il passaggio all’università delle ragazze, arrivò il momento dei saluti ma l’amicizia e i tanti bei ricordi di riunioni e stand in giro per la provincia (e non solo), rimasero. Da sei anni ormai Valeria risiedeva a Parigi dove era una dottoranda, borsista in Demografia alla Sorbona. Dopo qualche email sparsa nel tempo, la rincontrai proprio poco tempo fa, a Venezia, durante una giornata d’estate e insieme prendemmo un aperitivo. Uno di quei momenti di relax che capitava di vivere anche negli anni di comune impegno.
Valeria era scesa in campo per i diritti umani ed è stata falciata via da spregevoli personaggi che al contrario credono che l’omicidio sia la sola strada per imporre il loro fantomatico credo.
In questo momento di profondo dolore, si è fatto sentire su Twitter anche il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, che ha postato queste parole: “A nome mio personale e di tutta la Città di Venezia esprimo il cordoglio più profondo per la morte di #ValeriaSolesin. #preghiamoassieme”. Così, in questa domenica di lutto e vicinanza al popolo francese, a supporto del quale è stato realizzato un omaggio luminoso blu-bianco-rosso sulla facciata della sede comunale di Ca’ Farsetti e organizzato un presidio silenzioso in campo Manin, la città piange anche una delle sue figlie.
Il bilancio finale della strage di Parigi non è ancora ultimato. Troppi ancora i feriti gravi per chiudere il conto dei decessi. Una cosa però è certa, Valeria Solesin è una delle oltre 120 vittime accertate. E mentre in rete (e su certa stampa) si leggono biechi commenti che oltre ad aizzare all’odio, insultano la memoria dei morti, da parte mia potrò solo continuare a credere e lottare per quei valori che ho condiviso insieme a Valeria: il dialogo tra i popoli.