Nuove importanti scoperte nel Kurdistan Iracheno, luogo cruciale per la storia nel nord dell’antica Mesopotamia, per decenni inesplorato a causa della complessa situazione politica, dove la missione archeologica dell’Università di Udine, guidata dal professore Daniele Morandi Bonacossi, è presente dal 2012 con il progetto “Land of Nineveh”.

I risultati dell’ultima missione archeologica sono stati presentati a Roma in un’affollatissima conferenza stampa cui sono intervenuti Andrea Zannini, direttore del Dipartimento di Studi Umanistici e del Patrimonio Culturale dell’Università di Udine, Ettore Janulardo, del Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale, Ahmad A.H. Bamarni Ambasciatore della Repubblica dell’Iraq in Italia, Alessia Rosolen, Assessore Istruzione, Ricerca, Università della Regione Friuli Venezia Giulia e Daniele Morandi Bonacossi.
La spedizione, sostenuta da Maeci – Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, Miur e Friuli Venezia Giulia – Fondazione Friuli ha portato gli archeologi a una scoperta straordinaria: l’identificazione del sito di Gaugamela con l’attuale Gomel.

Le fonti non concordano sul luogo della battaglia, ma, grazie a un mix di storia antica e nuove tecnologie, filologia e GIS, remote sensing e lavoro sul campo, il team diretto da Morandi Bonacossi ha raccolto evidenze scientifiche sufficienti per individuare il luogo in cui il condottiero macedone trionfa sull’armata persiana.
L’assessore Rosolen ha sottolineato “l’orgoglio di rappresentare le eccellenze di un sistema su cui il Friuli Venezia Giulia investe molto e il valore delle spedizioni archeologiche come strumenti fortissimi di cooperazione internazionale e diplomazia culturale. Ha ribadito inoltre la volontà di continuare a sostenere l’impegno dell’Università in questo senso”.

La spedizione archeologica dell’Università di Udine, che coinvolge ogni anno circa 25 specialisti (archeologi, topografi, restauratori, archeobotanici, palinologi, esperti GIS,…) e diversi studenti, indaga la trasformazione del territorio dal Paleolitico al periodo islamico (da un milione di anni fa ad oggi) grazie ad una concessione di ricerca che copre un’area di 3.000 kmq, una delle più ampie mai rilasciate in Iraq, che ha consentito al team di scoprire e mappare ben 1100 siti archeologici. Grazie alle riprese con droni, a ortofoto, allo studio della ceramica e agli scavi stratigrafici, è stata ricostruita la storia dell’insediamento e della demografia della regione, che risulta essere una delle zone della Mesopotamia con la più alta densità di siti archeologici (0,7 per chilometro quadrato).

Il lavoro di mappatura si rivela uno strumento importante non solo per la ricerca, ma anche per la tutela dei siti: l’inventario aggiornato dei siti scoperti viene messo a disposizione delle autorità locali, che sono così in grado di geolocalizzare tutti i siti indagati e proteggerli dai potenziali danni derivanti dall’agricoltura, dallo sviluppo urbano o da vandalismi.

Ma le ricerche degli archeologi dell’Università di Udine si sono spinte fino ad arrivare sulle orme di Alessandro Magno e di un evento che segnò la storia e i rapporti tra le civiltà d’oriente e d’occidente: nel 331 a.C., sul campo di battaglia di Gaugamela, le truppe guidate da Alessandro Magno sconfiggono l’esercito del re dei re persiano Dario III, uno dei momenti cruciali in cui un mondo finisce e inizia una nuova era, l’Ellenismo. L’impero di Alessandro Magno si forma e si espande in una regione enorme (che va dalla Macedonia all’Asia centrale e fino alla valle dell’Indo nell’odierno Pakistan), in cui si realizza uno straordinario, fecondissimo momento di incontro culturale tra Oriente e Occidente.

Il team di Morandi ha ricevuto l’apprezzamento dell’ambasciatore Bamarni che ha commentato: “la squadra di Daniele Morandi Bonacossi sta svolgendo un considerevole lavoro nella Regione del Kurdistan, e apprezziamo il loro impegno nel recupero del patrimonio culturale iracheno, come la recente identificazione del sito originale della Battaglia di Gaugamela, che vide la vittoria di Alessandro Magno sull’esercito persiano di Dario, evento che rappresenta uno dei momenti storici più significativi della storia regionale e mondiale”.

“La prova regina è lo studio filologico del toponimo del sito che scaviamo – spiega Morandi Bonacossi – oggi Gomel, derivante per corruzione dal nome di epoca medievale (IX sec. d.C.) Gogemal, che a sua volta è una storpiatura del nome greco di Gaugamela. La dizione greca deriva dal nome del sito di epoca assira Gammagara/Gamgamara, che troviamo in un’iscrizione cuneiforme celebrativa dell’epoca del re assiro Sennacherib (704-681 a.C.). A ulteriore conferma, le nostre ricerche archeologiche hanno dimostrato che il sito di Gomel che stiamo scavando era solo un piccolissimo villaggio rurale poco prima dell’arrivo di Alessandro in Oriente, ma fu rifondato proprio alla fine del IV secolo, contemporaneamente alla battaglia e da quel momento si sviluppò come un sito esteso e importante”.

“Infine, – ha aggiunto – nelle vallate montuose circostanti, troviamo una serie di monumenti rupestri con rilievi che potrebbero essere riconducibili alla presenza di Alessandro Magno. Due di questi potrebbero rappresentare proprio il condottiero a cavallo ed essere considerati monumenti celebrativi della vittoria di Gaugamela. Un rilievo si trova in una valletta della montagna che domina il sito di Gomel, forse la montagna che, secondo le fonti, dopo la battaglia fu ribattezzata Monte Nikatorion, “il monte della vittoria”, mentre il secondo rilievo è ubicato a 20 chilometri di distanza dalla piana che abbiamo individuato come il campo di battaglia, in un sito dove già i re assiri avevano scolpito i loro volti”.

Oltre a scavi stratigrafici, sono state utilizzate tecnologie all’avanguardia e fotografie scattate durante operazioni militari e recentemente declassificate dal governo americano: si tratta di immagini aeree e satellitari riprese all’interno di programmi di spionaggio negli anni 60/70, immagini Corona, Hexagon o immagini scattate da aerei spia U-2, che si rivelano di straordinaria utilità perché fotografano il territorio prima dell’era dei grandi cambiamenti e prima che i moderni mezzi di coltivazione con arature profonde e l’espansione urbana di Mosul e Duhok compromettessero i resti archeologici dispersi. Fondamentali per la ricerca anche le nuove strumentazioni, dai droni ad ala fissa ai quadricotteri, che consentono di realizzare modelli tridimensionali e ortofotopiani del territorio e dei siti archeologici a risoluzione altissima.

Il progetto è importante oltre che per la valenza scientifica, anche per la cooperazione internazionale che porta avanti: il Kurdistan, infatti, è una regione dell’Iraq confederato che, negli ultimi 40 anni, è stata destabilizzata dalla guerra. Le missioni archeologiche che vi operano sentono come dovere morale contribuire al capacity building della regione, cioè alla formazione del personale locale nel campo della ricerca archeologica, della tutela, del restauro, della conservazione e della valorizzazione.

Per questa ragione, grazie all’appoggio del Ministero Affari Esteri e cooperazione internazionale e dell’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo, la missione dell’Università di Udine ha lanciato un programma di formazione del personale della Direzione delle Antichità del Kurdistan nelle tecniche di scavo, restauro, disegno dei materiali, antropologia e geoarcheologia, elaborando anche manuali didattici in curdo, e ha donato un laboratorio di restauro archeologico al Museo Nazionale di Duhok, che, attualmente, è l’unico museo del Kurdistan a disporre di un laboratorio con due giovani formate per condurre le operazioni basilari di restauro.

Sempre nell’ottica della cooperazione, si inserisce il cruciale lavoro della missione per la tutela e la valorizzazione del monumentale sistema d’irrigazione costruito dal re assiro Sennacherib nel 700 a.C. per portare l’acqua a Ninive e irrigare la pianura circostante: una rete di canali lunga 250 chilometri dotata di acquedotti (i primi acquedotti in pietra della storia), dighe, sbarramenti, argini, e una serie di monumentali rilievi rupestri fatti scolpire dal sovrano sulle montagne nel punto in cui veniva deviato il corso naturale dell’acqua. Un patrimonio culturale straordinario, unico, esposto agli agenti atmosferici, al vandalismo e distruzioni di ogni tipo, che la missione sta proteggendo anche attraverso l’elaborazione, ad opera dell’Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali del CNR, di un progetto di parco archeologico e la preparazione di un dossier per il suo inserimento nella tentative list dell’UNESCO al fine di portarlo all’attenzione internazionale.

“Ricerca, tutela, valorizzazione, formazione, restauri e cooperazione internazionale al centro di un progetto, dove l’archeologia diventa anche strumento di diplomazia culturale – come ha sottolineato Andrea Zannini, direttore del Dipartimento di Studi Umanistici e del Patrimonio culturale – e con cui l’Università degli studi di Udine si conferma un Ateneo di assoluto rilievo internazionale per quanto riguarda l’archeologia del Vicino Oriente antico e il Dipartimento di Studi umanistici un dipartimento di eccellenza Ricerca sul campo, valorizzazione e protezione del patrimonio culturale costituiscono obiettivi inscindibili anche per ricostruire il tessuto sociale e civile di questi Paesi martoriati dalle guerre”.

La Fondazione Friuli, nelle parole del Presidente Giuseppe Morandini, che non ha potuto essere presente alla conferenza, “ha sostenuto fin dall’inizio la missione archeologica nel Kurdistan iracheno, che, anno dopo anno, ha rafforzato la solida partnership che lega il nostro Ente all’Università di Udine. Sono veramente entusiasta delle ultime importantissime scoperte portate alla luce dal team interdisciplinare impiegato nel progetto, che collocano l’Ateneo friulano tra le eccellenze archeologiche e non solo nella scena internazionale”.


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