Testimonianze storico-artistiche. Una folta vegetazione e una ricca fauna. Gincana tra radure e macchia. Soliloquio di versi animaleschi tra il giallo (sole), il verde (flora) e l’azzurro (mare). Declivi e spiaggia. Rocce e sabbia. La Natura e l’uomo. Bastano pochi minuti di Toscana, nel Parco Regionale della Maremma, in provincia di Grosseto, per entrare in un mondo a parte. Una dimensione fatta di più percorsi e possibilità di vivere un’esperienza autentica in una delle zone rurali più fascinose d’Italia.
Si può scegliere di scoprire il parco a piedi, facendosi portare da una carrozza trainata da cavalli, remando su una canoa canadese o pedalando. Lasciato il Centro Visite di Alberese, il bus-navetta inizia a salire per una stradina in mezzo alla vegetazione. Arrivato a Pratini si può smontare e iniziare l’itinerario A2 in mezzo a una folta boscaglia, dove è consigliabile indossare scarpe da trekking vista la natura spesso rocciosa del sentiero. Una prima parte in discesa ed ecco aprirsi il panorama. Le torri all’orizzonte, sotto di me una foresta di pini domestici dalle chiome tondeggianti. Poco oltre, lo spettacolo dell’arcipelago toscano. Un tempo non c’era tutta questa vegetazione. L’acqua arrivava non tanto distante da dove mi trovo. Cosa comprensibile a giudicare dalla posizione delle Torri difensive. In principio la zona era un golfo, poi una laguna, una palude e in seguito grazie alla bonifica voluta dal casato dei Lorena e con le successive e più corpose in epoca fascista, divenne un pascolo selvatico. Ora è Parco.
Il tempo di prendere coscienza dell’incredibile paesaggio, quand’ecco apparire sotto di me, in un’ampia radura, una coppia di cinghiali. Il simbolo del Parco della Maremma, riportato ovunque: sui cartelli, sulla carta intestata e le borse in vendita. È uno spettacolo vederli. Annusano, grufolano un po’ e poi spariscono. Non sembrano proprio accorgersi di noi (la distanza aiuta). Sembrano docili ma non vorrei trovarmeli davanti. Simbolo eterno di selvaggio. Sembra di percepirne l’odore. La vista dell’animale mi rimanda sparato alla filmografia anni ’80 del cult Highlander – L’ultimo immortale (1986) dove il saggio Ramirez (Sean Connery), dinnanzi a un cervo, incitava l’allievo Connor MacLeod (interpretato da Christopher Lambert): “Devi sentire il suo cuore che batte. Il suo sangue che puzza. Sentilo. Corri!”. Con gli occhi chiusi, per un attimo mi pare davvero di vivere tutto questo e avrei voglia anche io di far sgommare le gambe, quand’ecco sopraggiungere un altro gradito ospite dell’area protetta. Il daino. Il tempo di brucare qualcosa e al galoppo si allontana.
Corsari e pirati turchi, gran brutta piaga per le realtà costiere, tanto in Toscana quanto nelle tante altre parti d’Italia affacciate sul mare. Bisognava controllare sempre l’eventuale pericolo in arrivo dall’orizzonte. E fu così che il duca Cosimo I dei Medici (1519 – 1574), a metà del XVI secolo, implementò i lavori su costruzioni già preesistenti, dando vita alle Torri di Castelmarino, Collelungo, Cala di Forno. Altre opere furono poi realizzate in modo da formare una vera e propria barriera difensiva di avvistamenti.
Il sentiero inizia a salire fino a quando faccio la conoscenza della Torre di Castel Marino, una delle prime si pensa realizzate, e dalla caratteristica pianta quadrata. Purtroppo le intemperie hanno fatto il loro gioco e la struttura completa è ormai un vacuo ricordo. Il punto è alto. Si domina l’orizzonte. È naturale che la strategia medicea avesse scelto “codesto loco” per un simile bastione.
Fatto tappa all’ombra dei giganteschi pini domestici alla cui base già s’inizia trovare la sabbia del non troppo distante Mar Tirreno, costeggio un canale paludoso per qualche minuto. Come se nulla fosse, una piccola nutria se ne sta sulla sponda opposta. Forse a cercare cibo. Forse a proteggere la sua tana. All’improvviso si tuffa e lentamente la vedo sparire nelle piccole profondità lacustri.
Finalmente arrivo al mare, lungo il promontorio di Collelungo. Le onde mi tentano. Una spiaggia deserta, mentre alle spalle si stagliano le torri. Sulla sabbia, piccole impronte che scopro essere di volpe. La loro presenza qui è una costante. Sono animali ben abituati alla presenza umana a tal punto che ormai hanno una vera e propria tecnica per accaparrarsi il cibo degli ignari gitanti. “Ormai sono la seconda generazione di volpi” mi spiega la guida, “sono già varie volte che si comportano sempre allo stesso modo. Prima si fanno vedere dai turisti in modo che questi inizino a correrle dietro per fotografarle, poi velocemente ritornano sul posto dove hanno annusato il cibo, e rapidamente lo afferrano portandoselo nella macchia”.
Riprendo il cammino per finire il mio tour davanti alla rocca di Collelungo (XVI secolo). La luce crepuscolare colora la pietra di tinte rosate lasciando nell’aria una sorta di piacevole brezza aromatica. Dopo quasi sei chilometri e tre ore complessive di marcia, sono di nuovo al punto di partenza. In attesa di riprendere la navetta verso Alberese, il mio sguardo è ancora sospeso là. Tra le torri, la macchia e tutti i protagonisti del Parco Regionale della Maremma.