C’è ben poco da dire e fin troppo da fare quando si ha la fortuna di svegliarsi da un incubo tremendo, su una branda scomoda sotto una tenda soffocante. Davanti c’è una montagna di detriti, tutto quel che resta del tuo paese, della tua vita, della tua casa, della tua famiglia, della tua storia, dei tuoi ricordi, del tuo futuro. Macerie e polvere. Tutto finito in pochi secondi.
C’è così tanto da fare che non si ha nemmeno la forza di cominciare, non si sa da dove ripartire. Si vorrebbe solo tornare a dormire, come la notte prima di quella turbolenza prepotente che ha cancellato tutto, pieni dei soliti pensieri e dei vecchi problemi che almeno non erano così grandi.
Capire che chiudere gli occhi non basterà a riportare indietro il tempo, le persone e gli affetti che la terra si è portata via in un lampo, porta via anche tutta la poca forza che si racimola tra le mani che toccano il bicchiere di plastica con il caffè offerto da volontari che sanno quanto è importante rivolgere un sorriso, dando il buongiorno a chi non può che vedere solo una lunga fila di giorni tremendi davanti alla porta di casa sbriciolata. Tutti i vestiti sono finiti chissà dove, non servono più la borsa, le chiavi di casa e quelle della macchina che si prendevano di corsa subito dopo la colazione.
Dove vado ora? Cosa faccio?
Chi mi ridarà una casa? Le mie cose, la mia vita?
Ad Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto, a Pescara del Tronto se lo chiedono migliaia di persone. Si sono svegliate nella notte del 24 agosto nel boato di un mondo che crollava addosso. Si risveglieranno per anni con le stesse domande, la stessa incontrollabile paura che si è materializzata alle prime luci dell’alba quando al posto dei loro paesi, delle loro case, c’era un mostruoso paesaggio imploso.
Continuano a rivivere l’angoscia di questi momenti i terremotati dell’Emilia Romagna (27 vittime nel 2012), della vicina L’Aquila (308 vittime nel 2009), dell’Umbria e delle Marche (11 vittime e 40mila senzatetto), del Molise (30 vittime di cui 27 bambini nel 2002). Se lo ricordano ancora gli sfollati dell’Irpinia (2914 morti e oltre 400mila senzatetto nel 1980), del Friuli (939 morti e 80mila senzatetto nel 1976) e del Belice (360 vittime e più di 57mila senzatetto nel 1968). Sono tante le tragedie che negli ultimi 50 anni hanno drammaticamente segnato il territorio e il patrimonio italiano, scatenate da sismi che scuotono periodicamente i nostri centri abitati.
Sì, ricostruzione, ricominciare, tornare alla normalità. Quanto si vorrebbe schioccare le dita ed esaudire il più naturale dei desideri. Più lo si sente ripetere e più monta la rabbia impotente che sa che non succederà, che mai più si potrà tornare indietro.
La vita andrà avanti ed è questa la condanna più dura e amara per coloro che hanno perso i propri cari o la fortuna più grande per chi si è salvato. Chi se ne è andato lo ha voluto il destino, che ha fatto dormire una sorella nel letto accanto, una madre al piano di sopra. E’ stato il caso a lasciare un padre in cucina a bere un sorso d’acqua e un fratello dai nonni.
Andando avanti i ricordi si affievoliranno, arriveranno nuove strade da percorrere. Sì, si ricomincerà in qualche modo. Anche quei paesi che disprezzavamo ma amavamo, saranno ripuliti. Tutti i cumuli di pietre saranno sgomberati, gru e cantieri ridisegneranno vie e abitazioni. La scuola riaprirà puntuale a settembre per dare un segnale di normalizzazione.
Guardando le immagini di tanta devastazione scorrere in tv quanti pensieri ci affollano la mente.
Viene naturale restituire un giusto valore al bisticcio con il collega e apprezzare quel vecchio divano che sarà pure scomodo e brutto ma è sempre lì a dare conforto. Ci ripetiamo le buone intenzioni come ogni altra volta che la tragedia non ci ha toccato ma ci ha sfiorato. A migliaia di chilometri da quel terremoto nel Centro Italia commuove comunque lo scodinzolio di un cane che si accoccola accanto al suo padrone a cui dovrà dire addio per sempre durante i funerali di Stato, emoziona il vigile del fuoco che chiede scusa con un biglietto alla bimba che non è riuscito a salvare. Sconvolge la precarietà che ci unisce tutti.