Chitarre, tammorre, mandolini, tamburelli sono alcuni dei tanti strumenti musicali presenti nel panorama artistico napoletano che vanta un repertorio musicale di circa cinquantamila titoli.
Per lungo tempo, la canzone napoletana ha rappresentato l’immagine italiana nel mondo grazie alla bravura di artisti di fama internazionale che ne hanno reso orgogliosamente omaggio, tra i quali: Luciano Pavarotti, Elvis Presley, Elton John, Andrea Bocelli, Céline Dion.
La canzone napoletana ha una storia ricca ed affascinante che nasce nel 1224. Alcuni antichi documenti testimoniano che tale espressione d’arte risieda nella progressiva diffusione della poesia e delle invocazioni in coro rivolte dalle massaie al sole.
Il segreto del successo delle melodie partenopee si cela dietro l’originalità degli scritti cantati interamente in lingua napoletana ed accompagnati da travolgenti ballate popolari.
Uno degli artisti napoletani più apprezzati è Salvator Rosa. Si pensa che a lui siano da attribuire i primi ritmi di tarantella con la canzone “Michellemmà” (1600).
Una tra le leggende popolari più curiose che viaggiano attorno alla canzone napoletana, racconta dell’esistenza di una certa convivenza tra il tarantismo e la tarantella. Si narra che il tarantismo sia una malattia provocata dal morso di una tarantola che genera, al povero malcapitato, dolori fisici lancinanti che possono esser guariti solo con l’ascolto e la danza dei travolgenti ritmi di tarantella, in tal caso utilizzati come espediente terapeutico.
Il fascino della canzone partenopea risiede nella sua capacità di raccontare la storia ed il presente di un popolo colmo di tradizioni e di cultura e come esso abbia avuto la forza di reagire alle difficoltà sorte nel corso degli anni. Da annoverare fu la coraggiosa lotta di resistenza del popolo napoletano nel 1943 testimoniata dalla canzone: “Canto allo scugnizzo” scritta da Eugenio Bennato, contenuta nell’album “Musicanova” del 1978. La ballata racconta il profondo sentimento di ribellione del popolo di Napoli che scacciò con coraggio l’esercito tedesco.
Molti considerano la musica come mezzo di introspezione dell’animo umano, “Canto allo scugnizzo” esprime fedelmente lo stato emotivo di un popolo coraggioso che si oppose fermamente alle ingiustizie della guerra e ne uscì vittorioso.
Il 27 settembre di quell’anno scoppiò l’insurrezione popolare che durò quattro giorni. I napoletani, per difendersi dall’attacco del nemico, utilizzarono ogni mezzo a loro disposizione: alzarono barriere, istallarono postazioni di mitragliatrici, ostruirono le strade per impedire il passaggio ai carri armati tedeschi. Gli scontri si estesero nei quartieri di: Vasto, Materdei, alla Sanità, al Vomero e a Capodimonte. Si contarono circa 663 morti napoletani e tantissimi furono i feriti.
La rivolta si spense il primo ottobre del ‘43 con l’aiuto dei primi reparti anglo–americani che trovarono Napoli semi- distrutta dai bombardamenti, affamata e impaurita. Da quel momento in poi nacque un forte spirito di fratellanza tra i napoletani e gli americani.
Le sanguinose Quattro Giornate napoletane testimoniano una ribellione cittadina unita che generò un’insurrezione popolare autonoma dettata da forti esigenze sociali e non politiche–istituzionali capaci di tramutare, la massa, in un unico esercito pensante guidato dai suoi ideali. Al termine degli scontri, la Repubblica italiana conferì, alla città di Napoli, la medaglia d’oro al valore militare per esser stata la prima città d’Europa a ribellarsi con successo agli occupanti tedeschi.
“Canto allo scugnizzo” come tante altre canzoni napoletane, ha testimoniato i sentimenti propri di un popolo che soffriva e desiderava un futuro migliore e lottava per realizzarlo. Ancora oggi, Napoli e i suoi abitanti combattono contro una miriade di avversità. Seppur la città sia contornata da infinite bellezze che contrastano le innumerevoli difficoltà presenti sul territorio, il suo popolo lotta per un futuro radioso e guarda in alto il cielo illuminato da un sole di speranza.
CANTO ALLO SCUGNIZZO
Frondelle di noce, noi non contiamo niente in tempo di pace ma se chi ci comanda non ci piace noi non stiamo zitti, e alziamo la voce.
Io non l’ho visti ma mi hanno detto che erano gagliardi, sono un pezzente e non un camorrista, e in tempo di guerra la fame è assai più triste, ma accanto a loro Napoli resiste.
Il ’43, nascosti dentro ai vicoli e nelle piazze son disperati e fanno cose da pazzi, si sentono gli spari a tutti gli angoli di strada, sono i ragazzi di Napoli, sono gli scugnizzi.
Il ’43, tutte le sere si sparavano i botti ma questa volta non è Piedigrotta e in mezzo al fuoco e ai lampi dei fucili ci restano gli scugnizzi a combattere.
Per quattro giornate chi non ha il fucile lancia i sassi quando questa città si è liberata per i vicoli, i quartieri e giù al porto ci restan gli scugnizzi che son morti.
Pure dentro al Mercato un ragazzino in terra c’è restato e chissà quale carogna gli ha sparato. Una vecchia guarda e dice: Quant’è bello, mi sembra tale e quale a Masaniello.
VERSIONE NAPOLETANA
Frunnelle ‘e noce nuje nun cuntammo niente ‘ntiempo e pace ma si chi c’è cummanna nun ce piace nuje nun ce stammo zitte, e aizammo ‘a voce.
Io nun l’aggio viste ma m’hanno ditto ca erano ‘nziste, songo pezziente, e nun so’ cammurriste, e ‘ntiempo ‘e guerra ‘a famme è assale cchiù triste, ma appresso a loro Napule resiste.
‘O quarantatrè nascuse dint’è viche o ‘mmiezo ‘e piazze so disperate e fanno cose ‘e pazzese sentono li spari a tutte pizzesongo ‘e guaglione ‘e Napule, songo ‘e scugnizze.
‘O quarantatrè tutte li sere se sparavano ‘e botte ma chesta vota nun è Piedigrotta e ‘mmiezo o fuoco ‘e lampe d’’e scuppette ce restano ‘e scugnizzi ca combattono.
Pe quattro jurnate chi nun tene ‘o fucile votta ‘e pprete e quanno sta città s’è liberata pe’ vicule, ‘e quartiere e abbascio ‘o porto ce restano ‘e scugnizze ca so’ muorte.
Pure dint’’o Mercato nu scugnizziello ‘nterra c’è restato chi ‘o ssape chi carogna l’ha sparato, na vecchia guarda e dice, quann’è bello me pare tale e quale a Masaniello.