Abbiamo avuto modo di parlare di come le parole possono cambiare di significato, col tempo e con l’uso; spostandosi lentamente da un significato ad un altro; sia quelle più dense di significato in quanto indicano un’azione, un oggetto, una qualità, o anche una realtà immateriale o fantasiosa (come abbiamo visto per cafone, idiota), sia quelle che apparentemente indicano semplicemente una relazione, come gli avverbi o le preposizioni (e l’abbiamo visto con affatto). 
 
Come per ogni cosa, anche per questi processi o fenomeni c’è una causa. Ma di questo non voglio parlare adesso, anche perché non sempre la conosciamo. 
 
Mi basta constatare l’effettiva trasformazione del significato delle parole, che tecnicamente si chiama “scivolamento di significato”: immaginando che la parola si muova su di una superficie –  l’area semantica –  o allargando e restringendo l’area di significazione, oppure allontanandosi lentamente dalla propria per andarne ad occupare una più distante. Evidentemente tra le cause di questi fenomeni, buona parte è occupata da fattori psicologici alla base dei comportamenti umani, compreso quello di comunicare per mezzo della parola.
 
Oggi tutti siamo convinti che il significato di barbaro sia “incivile”, perché è con questo significato che generalmente utilizziamo quella parola. Ma pare (il pare è solo precauzionale, non avendo formulato da me questa teoria) che barbaro sia un termine onomatopeico, cioè una parola che ripete nella sua fonetica (la pronuncia stessa della parola) il suono o il rumore di un oggetto della realtà. In questo caso il “bar, bar, bar, …” della parola barbaro era il suono che gli antichi Greci percepivano dalla parlata dei propri confinanti. 
 
Quindi i “bàrbaroi” erano essenzialmente “quelli che parlano una lingua diversa dalla propria” per i Greci. Ma poiché chi parla diversamente da noi è uno straniero, il passaggio del significato da barbaro a straniero è quasi naturale. E siccome lo straniero – ed ecco l’elemento psicologico – non è migliore di noi, né tantomeno pari a noi (egocentrismo) lo straniero è l’incivile. Fine dello spostamento. Per adesso …!
 
E che dire di ipocrita che presso i Greci era semplicemente l’attore. Cioè uno che recita una parte fittizia che non è la sua esperienza di vita, ma è la simulazione di una vita virtuale narrata con l’azione scenica. E oggi! Che significa ipocrita?
 
E i pagani? Per i Romani erano semplicemente gli abitanti del “pagus”
 
Il rivale oggi è il concorrente, l’avversario. Ma se pensiamo che la parola contiene la stessa radice della parola riva allora si vede bene che il rivale è quello che abita sulla riva, o al massimo sulla riva opposta.
Così vicino: che diventa prossimo, partendo dal significato di abitante del “vicus” (paese)”. Oggi dovremmo dire: paisa’.
 
Mentre i patrizi, per quanto poco usata, la parola indica la nobiltà. Mentre a Roma erano le famiglie che, in base al censo, avevano accesso alle cariche pubbliche, grazie alle quali poi si era ammessi a far parte del senato. E poiché i senatori erano chiamati “Patres”, “patriciae” erano le famiglie che avevano avuto qualche loro membro, senatore.
 
La dizione andò in disuso dopo che anche i plebei furono ammessi al consolato; allora la distinzione tra patrizi e plebei perse il suo significato, e si cominciò a parlare di nobiltà (i ricchi) in opposizione a popolo oppure di “classe senatoria” (i politici, esclusi dalle società di capitale) in opposizione a quella dei “cavalieri” (gli appaltatori e imprenditori, esclusi da certe funzioni pubbliche).
 

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