Yes, again: it’s his year, in the end, expect to share few more morning coffees or relaxing evening aperitivi with him through our pages in the next few months. You see, it’s easy to think about him as some boring fella who wrote old-fashioned poetry and had a penchant for fainting at the least opportune times — ah, how did we love those passages in the Divine Comedy and the Vita Nova where stress or emotions would prove too much for our Sommo Poeta! — but Dante is way more than that. He is the father of the Italian language — we said a thing or two about it in our last edition — and a symbol of culture and poetry, but we often don’t realize how present he is in the way we talk. Just like Shakespeare gifted the English language with a string of really popular expressions (watchdog? Check. Break the ice? Check. Wear one’s heart on one’s sleeve? Check), so did Dante to Italian.
For example, did you know that the locution Bel Paese is a Dantean invention? It was him who first called our beloved home “the beautiful country,” in the Inferno 33, verse 80, del bel paese là dove il sì suona, “of the beauteous land where ‘sì’ is heard,” as one English translation recites. But there are many, many more.
The adjective fertile(“fertile” in English) was introduced to the masses through the Divine Comedy: it comes from the Latin verb ferre, to produce, and Dante used it to describe Umbria, where San Francis of Assisi was born: a fertile costa, “a fertile land” that makes its appearance in Paradiso 31, verse 45. In spite of sounding a lot like modern slang, the ubiquitous expressionstai fresco(“you can go whistle for it!”) also comes from Dante. It has a slightly more complex story behind than “fertile” and “Bel Paese,” because it is strictly associated with the structure of Dante’s Hell, where the worst of all sinners, traitors, spent eternity immersed in the frozen vastness of lake Cocytus, with icy wind — blown by no other than Lucifer himself — hitting their faces for eternity. Chilly place, I’d say, and that’s why il Poeta tells us i peccatori stanno freschi down there, “sinners are kept cold” (Canto 32 verse 117).
Galeotto fu… is the most romantic of our Dantean inheritances. In truth, the verse continues with ‘l libro e chi lo scrisse (“The book and writer both/ Were love’s purveyors”) and it’s Francesca da Rimini who utters it. Who’s she? Well, one half of most famous — and unfortunate — couple in the history of literature, with the only exception, perhaps, of Romeo and Juliet. Forced into marriage with courageous but deformed Gianciotto Malatesta by her father, Francesca eventually fell in love with her husband’s brother, Paolo: the two had the habit to spend their afternoons reading and it was while they were immersed in the adventures of Lancelot and the Knights of the Round Table that, one faithful day, they succumbed to the call of passion. In that book, Queen Guinevere was pushed into the powerful arms of Sir Lancelot by her own seneschal Galehaut, a name that sounds just like galeotto to Italian ears. So, just like the noble servant was “the cause,” so to speak, of his queen’s adulterous relationship, so was the book for Francesca and Paolo. This is why, today, we use galeotto fu to introduce whatever made us fall in love with something or someone.
One of my personal favorites when it comes to Dante-created sayings is certainly fare tremare le vene e i polsi, a darkly gothic way to say “being terrified,” something you’d expect out of an Edgar Allan Poe’s tale. Literally, it means something scares you to the point that your “veins and wrists shake:” now, if that’s not a powerful image, I don’t know what is. Il Poeta uses the expression in Canto 1 of the Inferno, verses 87-90 when, terrified, he asks Virgil to save him from one of the three beasts of Hell, the she-wolf.
The next two entries are so common I am sure you know them, if you speak Italian. When it comes to describe mediocrity, but we don’t want to be too linguistically harsh, we usually say something — or someone — issenza infamia e senza lode(“without praise or blame”), the idiomatic Italian version of that sanza ‘nfamia e sanza lodo Virgil speaks in Inferno 3, verses 35-36, when describing the Ignavi, or “morally uncommitted,” to his disciple Dante. And when we need to move on from a positive to negative topic in a discussion, we’d often say passiamo alle dolenti note or, indeed, note dolenti (“let’s move on to painful notes”), the words Dante says when he hears the tormented screams of the damned, which we find in Inferno 5, versus 25-26.
That’s quite a handful of words and expressions we use every single day that come straight from the Divine Comedy, and there’s even more, in fact, too many to fit into one single article.
Pfft! And there is still someone saying Dante is no longer relevant!
Parlare come Dante!
Dimenticate lo slang moderno e gli effetti dei social media sul linguaggio di tutti i giorni. È il momento di parlare di Dante.
Sì, ancora: è il suo anno, in fin dei conti, aspettatevi di prendere qualche altro caffè mattutino o qualche rilassante aperitivo serale con lui attraverso le nostre pagine nei prossimi mesi. Vedete, è facile pensare a lui come a un tipo noioso che scriveva poesie all’antica e tendeva a svenire nei momenti meno opportuni – ah, quanto ci piacevano quei passaggi della Divina Commedia e della Vita Nova dove lo stress o le emozioni si rivelavano eccessive per il nostro Sommo Poeta! – Ma Dante è molto più di questo. È il padre della lingua italiana – ne abbiamo parlato nella scorsa edizione – ed è un simbolo della cultura e della poesia, ma spesso non ci rendiamo conto di quanto sia presente nel nostro modo di parlare. Proprio come Shakespeare ha regalato alla lingua inglese una serie di espressioni davvero popolari (watchdog? Controllate. Break the ice? Controllate. Wear one’s heart on one’s sleeve? Controllate), lo stesso ha fatto Dante con l’italiano.
Per esempio, sapevate che la locuzione Bel Paese è un’invenzione dantesca? Fu lui a chiamare per primo la nostra amata patria “il bel paese”, nell’Inferno, canto 33, verso 80, del bel paese là dove il sì suona, “of the beauteous land where ‘sì’ is heard” come recita una traduzione inglese. Ma ce ne sono molti, molti altri.
L’aggettivo fertile (“fertile” in inglese) è stato introdotto alle masse attraverso la Divina Commedia: deriva dal verbo latino ferre, produrre, e Dante lo ha usato per descrivere l’Umbria, dove nacque San Francesco d’Assisi: una costa fertile, “a fertile land” che fa la sua comparsa nel Paradiso canto 31, verso 45. Nonostante suoni molto come gergo moderno, anche l’onnipresente espressione stai fresco (“you can go whistle for it!”) viene da Dante. Ha una storia un po’ più complessa di “fertile” e “Bel Paese”, perché è strettamente associata alla struttura dell’Inferno dantesco, dove i peggiori fra tutti i peccatori, i traditori, passavano l’eternità immersi nella vastità ghiacciata del lago Cocito, con il vento gelido – soffiato nientemeno che da Lucifero stesso – che colpiva i loro volti per l’eternità. Posto freddo, direi, ed è per questo che il Poeta ci dice i peccatori stanno freschi laggiù (Canto 32 verso 117).
Galeotto fu… è la più romantica delle nostre eredità dantesche. In verità, il verso continua con ‘l libro e chi lo scrisse ed è Francesca da Rimini che lo pronuncia. Chi è? Beh, metà della coppia più famosa – e sfortunata – della storia della letteratura, con l’unica eccezione, forse, di Romeo e Giulietta. Costretta dal padre a sposare il coraggioso ma deforme Gianciotto Malatesta, Francesca si innamorò infine del fratello del marito, Paolo: i due avevano l’abitudine di passare i pomeriggi a leggere e fu proprio mentre erano immersi nelle avventure di Lancillotto e dei Cavalieri della Tavola Rotonda che, un giorno, cedettero al richiamo della passione. In quel libro, la regina Ginevra veniva spinta tra le potenti braccia di Sir Lancillotto dal suo stesso siniscalco Galehaut, nome che suona proprio come galeotto alle orecchie italiane. Così, come il nobile servitore fu “la causa”, per così dire, della relazione adulterina della sua regina, così fu il libro per Francesca e Paolo. Ecco perché, oggi, usiamo galeotto fu per parlare di qualsiasi cosa ci abbia fatto innamorare di qualcosa o qualcuno.
Uno dei miei preferiti, quando si tratta di detti creati da Dante è certamente fare tremare le vene e i polsi, un modo oscuramente gotico per dire “essere terrorizzati”, qualcosa che ci si aspetta da un racconto di Edgar Allan Poe. Letteralmente, significa che qualcosa ti spaventa al punto che ti “tremano le vene e i polsi”: ora, se questa non è un’immagine potente, non so cosa lo sia. Il Poeta usa l’espressione nel Canto 1 dell’Inferno, versi 87-90 quando, terrorizzato, chiede a Virgilio di salvarlo da una delle tre bestie dell’Inferno, la lupa.
Le prossime due voci sono così comuni che sono sicuro che le conosciate, se parlate italiano. Quando si tratta di descrivere la mediocrità, ma non vogliamo essere troppo duri linguisticamente, di solito diciamo che qualcosa – o qualcuno – è senza infamia e senza lode, la versione italiana idiomatica di quel sanza ‘nfamia e sanza lodo che Virgilio pronuncia nell’Inferno canto 3, versi 35-36, quando descrive gli Ignavi, i “moralmente disimpegnati”, al suo discepolo Dante. E quando dobbiamo passare da un argomento positivo a uno negativo in una discussione, diciamo spesso passiamo alle dolenti note o, appunto, note dolenti, le parole che Dante dice quando sente le urla tormentate dei dannati, che troviamo nell’Inferno canto 5, versi 25-26.
È una bella manciata di parole ed espressioni che usiamo ogni giorno e che vengono direttamente dalla Divina Commedia, e ce ne sono molte di più, in effetti, troppe per essere inserite in un solo articolo.
Pfft! E c’è ancora qualcuno che dice che Dante è sorpassato!
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