Gli italiani sono furbi, scaltri. A molti non piace pagare le tasse perché “tanto le pagano gli altri”. Leggiamo pochissimi libri. Tantomeno i giornali: non è un caso che molti di essi chiudano le rotative.
L’ultimo caso, che risale a soli dieci giorni fa, “l’Unità”, il giornale che, un tempo, era l’organo del Partito Comunista. Non ci sono più soldi, si chiude. Parcheggiamo la macchina dove non si potrebbe, la sosta selvaggia è compagna ingombrante delle maggiori arterie di tante città.
Emerge però una bella statistica. Una di quelle che restituisce il sorriso e che fa pensare al futuro con minori preoccupazioni. Bene, sulla base di uno specifico dossier ufficializzato dall’Istat, intitolato “Attività gratuite a beneficio di altri”, un italiano su otto presta, in modo disinteressato, volontariato. Come? Servendo i pasti nelle mense, ad esempio. Aiutando gli anziani o i disabili nei luoghi di ricovero o di riabilitazione.
C’è pure chi, di notte, d’inverno, quando le temperature calano vertiginosamente e i Comuni lasciano aperti gli ingressi delle metropolitane per dare un po’ di sollievo ai tanti “clochard”, salgono su una macchina, portando a tutti – diseredati, poveri, senza casa e senza tetto – un thermos di thè o di latte caldo.
Un italiano su otto che si dedica al volontariato non è dato da sottacere. Soprattutto di questi tempi in cui l’immagine dell’Italia – fuori dai confini – è paragonata a quella di un Paese senza rotta, imbevuto di debiti e di disoccupazione. In cui non si sogna, ma si traccheggia. Il Trentino Alto Adige, forse in virtù del fatto di essere regione ricca, una delle più opulente della Penisola, è la zona che accoglie il maggior numero di italiani che si dedicano al volontariato. Entrando in una mensa per poveri, ad esempio, stando in cucina, scolando la pasta al pomodoro, facendo i piatti per chi, senza più nulla, si sente di nuovo re tra quattro pareti.
Sono le famiglie più agiate, ovviamente, quelle che hanno maggiore tempo per dedicarsi agli altri. Gli italiani che faticano ad arrivare a fine mese, zavorrati dalle spese e dai costi, hanno più pensieri per la testa e raramente possono ritenere di mettersi a disposizione degli altri. È una questione psicologica, d’altronde: chi vive una vita agiata sente il dovere, talvolta, di restituire parzialmente, a chi è in difficoltà, una parte del proprio benessere.
Più volontari al Nord, quindi, tradizionale traino economico del paese. La fascia d’età che si dedica di più a chi è in difficoltà, transitoria o perenne? Quella che va dai 55 ai 64 anni, l’età in cui molti italiani, oggi, vanno in pensione. Dedicandosi magari ai nipoti e, appunto, a chi sta male.
Un’istantanea, finalmente, che, dopo tante critiche ed obiezioni, mostra lo squarcio di un’Italia bella, appassionata, non utilitaristica. Che strizza l’occhio a chi è relegato in posizioni di ripiego, vecchi e ammalati. Un popolo solidale e attento a chi soffre.