Simona Manfredi, in arte Simo, è una regista e sceneggiatrice nata e cresciuta a Parma. Nel 2002 si laurea al Dams di Bologna e dopo aver studiato per un periodo anche a Londra e Parigi si trasferisce a Milano. Lì lavorerà per molti anni come assistente alla regia sia per la RAI e che per altre case di produzione di serie televisive. Quella di Simona è una storia fatta di talento, personalità, viaggi, studio e gavetta. Dopo intensi anni di formazione alla RAI subentra l’insoddisfazione per le prospettive di crescita lente e tortuose tipicamente italiane. Simona non si arrende al sistema e decide di cominciare una nuova vita negli States fatta prima di anni di intenso studio presso il prestigioso AFI Conservatory di Los Angeles e ora di grandi opportunità grazie alla sua collaborazione per la casa di produzione losangelina Issa Rae presso la quale lavora a progetti per importanti emittenti. Non solo, Simo continua a coltivare i suoi sogni da regista e dopo due cortometraggi di successo si sta dedicando alla sua opera prima, un film che sta scrivendo con passione e impegno.
 
Simona cosa ti ha spinto a lasciare l’Italia?
In realtà prima di lasciare Milano stavo lavorando alla RAI, ambiente che umanamente stimavo moltissimo, e nonostante mi sentissi grata e soddisfatta di poter fare il lavoro dei miei sogni e per il quale avevo sacrificato anni di studio, sentivo che il mio percorso si stesse già come fermando. Non dimenticherò mai quello che mi disse un giorno un regista con cui lavoravo in RAI: “Simona stai facendo un attimo lavoro e vedrai che tra vent’anni ti siederai al mio posto.” Queste parole ripensandoci oggi hanno cambiato la mia vita. La prospettiva ventennale mi spaventò, ma allo stesso tempo mi aprì gli occhi, io avevo voglia di andare avanti e di crescere. Quello è stato il momento in cui ho deciso di lasciare il mio paese.
 
Puoi raccontarci come sei arrivata a L.A.?
Inizialmente lasciai l’Italia per il Canada ed ero così entusiasta che un giorno decisi di presentare domanda a quella che è sempre sta la scuola dei miei sogni, l’American Film Institute di Los Angeles dove contro ogni mia aspettativa sono stata accettata. La direzione della mia carriera stava diventando più spedita di quanto potessi immaginare. Sono arrivata a L.A. nel 2010. Dopo 2 anni e mezzo di master alla regia ho iniziato a lavorare per la casa di produzione americana Issa Rae, ora in fortissima ascesa e dove ho imparato moltissimo. Il mio capo Issa Rae, appena trentenne, ha avuto molto successo con una serie televisiva low budget su YouTube e ora si occuperà su HBO della serie televisiva Insicure di cui sta scrivendo la sceneggiatura.
 
A quali registi della tradizione americana o italiana ti ispiri? Qual è il tuo regista preferito?
Sono una grandissima amante del cinema italiano dal Neorealismo al Post-Neorealismo degli anni ’50-‘60. Michelangelo Antonioni rimane ancora ad oggi il mio regista preferito. Allo stesso tempo però amo anche moltissimo lo stile, il ritmo veloce e il montaggio frenetico di Darren Aronofski, il regista americano di Black Swam e di Requiem for a Dream, film che amo moltissimo. Aronofsky è stato in un certo senso il mio mentore. Ha ispirato alcune mie importanti scelte dall’iscrizione all’AFI, dove anche lui ha studiato, alla mia tesi all’università di Bologna dove ho discusso una retrospettiva sul suo lavoro e un approfondimento su come montaggio, sceneggiatura e interpretazione influiscono sullo stato d’animo degli spettatori; in generale ha cambiato il modo di approcciarmi al mondo cinematografico. Ritengo che la cultura italiana di cui sono fiera caratterizzi il mio lavoro, ma allo stesso tempo cerco di aprirmi sempre alla sperimentazione che trovo si sposi molto con la cultura cinematografica americana.
 
Come giudichi l’offerta cinematografica degli ultimi anni e la crescita del cinema indipendente?
C’è sicuramente tantissima offerta. Tuttavia le grandi case cinematografiche sembrano un po’ ripetitive forse perché a corto di idee o perché restie ad investire in progetti nuovi e magari rischiosi. Non voglio generalizzare, abbiamo visto nelle sale anche film innovativi come Inception di Christopher Nolan. Apprezzo poi moltissimo il vigorosissimo cinema indipendente perché è fatto di giovani che ci credono moltissimo e investono. Stiamo assistendo a un incredibile successo di progetti come Netflix e on demand. In Italia realizzare anche un piccolo cortometraggio tra amici era difficile, pochi soldi e troppa burocrazia. Mentre qui è più semplice e la motivazione sembra più forte. Per esempio questa estate ho lavorato come assistente alla regia a un film di Valerio Esposito, un progetto indipendente con metà troupe italiana e metà americana e un attore del calibro di Tom Sizemore. È stata un’avventura bellissima sebbene faticosa perché abbiamo ultimato le riprese in sole tre settimane girando in condizioni estreme presso il Josua Tree National Park.
 
Lavorativamente parlando ti sei divisa tra assistente e regista. Come sta influendo LA. sulla tua crescita professionale?
Di fondo mi sento regista. La mia sfida per il 2016 è terminare la sceneggiatura per il mio primo lungometraggio. In realtà ho sempre pensato che un regista non dovesse essere per forza autore delle proprie opere, mentre in Italia un giovane regista nove volte su dieci deve scriversi il proprio copione poiché difficilmente una buona sceneggiatura viene affidata ad un neofita. Nonostante fossi inizialmente restia a questa idea l’entusiasmo che è nato tra i miei collaboratori mi ha convinta ad andare avanti. La speranza è finire il prima possibile e iniziare a girare senza aspettare altri vent’anni!

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