È difficile descrivere il processo di formazione dei significati che sono dietro alle parole. Se li conosciamo possiamo capire quello che si dice; se no, dobbiamo  ricorrere al vocabolario. (Ma che sia moderno ed aggiornato! Mi raccomando.)
 
Ancora più difficile se si tenta di farlo in un articolo a carattere divulgativo, come mi sto sforzando di fare con queste mie periodiche scritture. 
 
Eppure, ogni parlante di una certa competenza, di ogni parola che usa o che presume di saper usare, deve possedere in mente quel contenuto ideale che chiamiamo significato, e che gli consente di continuare ad usarla. Ma come se l’è formato, il parlante, il significato della parola? 
 
Sì! Come si formano i significati nelle nostre menti, prima di andare a finire nel vocabolario? 
La risposta sembrerebbe semplice: “Attraverso la pratica del linguaggio”. Ma che significa questo? Ognuno di noi, senza avere chiara la consapevolezza del costante arricchimento linguistico, ad un certo momento della sua vita si è accorto di parlare una lingua storica: quella del gruppo dei parlanti nel quale si è trovato inserito, la famiglia, la città, la nazione. 
 
Si sa che la lingua è un sistema di segni. E che il segno, qualunque sia la sua forma e la sua natura, rimanda sempre a qualche cosa di convenzionale che possiamo chiamare “contenuto”. Il segno linguistico, poi, fatto di suoni articolati che si chiamano fonemi; i quali, se aggregati in unità superiori tali da aver un senso, diventano parole (vocaboli), consta di due elementi: la parola (parlata o scritta) e il suo significato (F. De Saussure).
 
Ora ci dicono che tra la parte materiale del segno (cioè la sua natura e la sua forma) e il significato al quale essa rimanda, non esiste nessun rapporto di necessità. (Ma potrebbe anche esserci. Non si sa mai). Cioè tra la parola “barca” e quella che chiamiamo /barca/ non c’è niente che ci costringe a chiamare barca quell’oggetto, se non il fatto che questo legame si è strutturato all’interno della lingua italiana. In altre lingue l’oggetto che noi chiamiamo barca è designato con un’altra parola la quale mantiene lo stesso significato (o press’a poco) del nostro termine /barca/.
 
Per non portarla alle lunghe e, nello stesso tempo, per non lasciare il nostro attento lettore senza risposte, vorrei concludere, seppure in maniera provvisoria, dicendo che la formazione dei significati nella nostra mente è una prerogativa della specie umana che nasce però dall’interiorizzazione delle esperienze che la persona fa durante tutta la sua esistenza: esperienze esistenziali ma anche linguistiche, a mano a mano che si implementa la conoscenza (l’acquisizione) del sistema-lingua. Cosa che si realizza se il soggetto è inserito in una comunità di parlanti.   
 
Fatta la premessa, prepariamoci ad affrontare il tema del giorno, che è il verbo preparare.
Cercherò di farne la storia; e, se mi riuscirà, di mettere la parola in relazione alle altre.
 
Come si può vedere, all’origine il verbo pre-parare era un verbo composto dal suffisso pre- (l’avverbio latino: prae) che significa “prima” e dal verbo (latino) “parare” che presso i Romani significava la stessa cosa di quello che oggi significa il verbo italiano. Mentre dobbiamo evidenziare l’enorme distanza che si è creata tra i significati delle due parole italiane “parare” e “preparare”; tutt’e due ancora in uso. Ciò significa che i verbi latini: paro (preparo) e praèparo (preparo in anticipo) nel corso del tempo, seppure leggermente, hanno mutato il loro significato. Così gli altri verbi composti a partire da paro, i quali hanno dato origine in italiano ad un grappolo di parole legate dalla comune origine etimologica.
 
Alla base c’è la radice “par-”, dei sostantivi par (paio, coppia) e pars (parte), dell’aggettivo par (simile, uguale), e del verbo paro (preparo, allestisco).
 
[Molto probabilmente alla stessa radice sono collegati anche il verbo pario (partorisco), da cui derivano le parole italiane “parenti” (participio presente = genitori) e “parto” (participio perfetto = partorito), e il verbo pareo (obbedisco). Ma di questo, ne riparleremo].
 
Ed ecco lo schema dei composti di paro della lingua latina: ad-paro, cum-paro, in-paro, prae-paro, re-paro, ex-paro, e l’elenco più o meno completo delle parole italiane che formano il grappolo di cui ho parlato prima. 
 
Con un po’ di intuizione o di divinazione, e con l’aiuto di un buon dizionario, ognuno potrà trovare le analogie semantiche e ipotizzare così il percorso storico che le parole hanno fatto per allontanarsi dal significato del verbo radicale paro:
 
Ad+paro: apparo, apparato.
Cum+paro: comparo, comparato, comparazione, comparativo.
In+paro: imparo, imparato.
Prae+paro: preparo, preparato, preparazione, preparativi.
Re+paro: riparo, riparato, riparazione. 
Ex+paro: Sparo, sparato ma anche rendo dispari e spaiato.
 
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