“You don’t want to marry an Italian girl, you want to marry somebody else”. Recitava così, uno dei moniti più frequentemente dispensati dal nonno italoamericano del regista di Sharkskin, Dan Perri, in cui esortava ironicamente il nipote a star lontano dalle donne italiane – un po’ per gioco, un po’ per malcelato orgoglio. 
Dopo tantissimi anni di esperienza in qualità di  title designer e second unit director, e più di 300 film  in collaborazione con registi del calibro di Scorsese, Spielberg, Stone, Altman e molti altri, Perri decide di girare la propria storia, quella del simpatico nonno  – il sarto della vecchia città di New York che realizzava vestiti per un clan di gangster.
La pellicola destinata principalmente al mercato europeo/asiatico, è stata presentata a novembre scorso per la prima volta in California (Pasadena), e presto sarà  distribuita anche sulle piattaforme digitali di Netflix, Amazon Prime, Itunes e Google. Il cast è costituito da attori straordinari: John Aprea (The Godfather parte II), Maddalena Ischiale (Unbroken) John Capodice (Wall Street, Ace Ventura), Donna Ponterotto (The Back-up Plan) e David Proval (The Sopranos).
 
Come nasce Sharkskin?
Tutto è cominciato molto tempo fa. La storia della prima parte del film è realmente accaduta a mio nonno, Mike Esposito.  Negli anni ‘40 possedeva un piccolo laboratorio di sartoria a New York, in un quartiere italoamericano frequentato abitualmente da gangster. Sono cresciuto con le immagini e le atmosfere legate all’epoca,  con una miriade di aneddoti al sapore di pasta, mafia, onore, rispetto  e mandolino.  Ho pensato fosse materiale sufficiente per trarne una piccola commedia drammatica, uno short film che ho girato  nel 1991. L’idea è risultata particolarmente gradita al pubblico ed è stata premiata in diversi festival del settore, così ho deciso di farne un film.
 
Sono passati molti anni da allora, che è successo nel frattempo?
Ho raccolto finanziamenti e altre idee per lo script . Tre anni fa, due giovani produttori ai quali l’idea è piaciuta molto, mi hanno fornito un budget di 120. 000 dollari. Ho aggiunto poi i soldi della mia pensione, tutti i risparmi e i fondi che mia moglie ha ereditato dalla morte del padre. E da quando poi ho annunciato la produzione del film, tutti i miei amici e colleghi con i quali avevo lavorato in passato, si sono offerti di aiutarmi – un’attestazione di stima  e affetto che ho apprezzato molto.
 
Quali sono i criteri con cui ha scelto gli attori principali?
Ho incontrato John Aprea, l’attore protagonista, 15 anni fa. Era stato chiamato per sostituire Joe Mantegna in una prova di lettura dello script. Mi è sembrato molto adatto al ruolo e alla fine gli ho chiesto di rimanere. Per tutte le altre parti, non ho avuto un casting director, io e John avevamo molti amici professionisti nel settore. Non volevo nessuno che recitasse un ruolo, ma qualcuno che fosse egli stesso personaggio, che lo incarnasse appieno.
 
Ha mai avuto contatti con la mafia – quella vera –  durante le riprese del film?
Alcuni membri della mia famiglia, negli anni ‘40 erano stati coinvolti in episodi di mafia. Uno di loro vive ancora a NY. Sono andato spesso a trovarlo durante la stesura dello script, mi è stato di grande aiuto fornendomi interessanti spunti.  Nel corso delle riprese invece, un attore mi informò che c’erano alcuni mobster interessati a finanziare il film in cambio di un ruolo. Ma decisi di declinare l’offerta –  troppo rischioso e soprattutto non in linea con la natura della pellicola.
 
La storia del cinema e della televisione, sono intrise di film  e tv show di  gangster  Italoamericani ambientati a New York. Cosa Le fa pensare che questo tema possa ancora destare interesse negli spettatori?
La violenza è un leitmotiv che ha da sempre affascinato il pubblico. In Sharkskin ci sono sparatorie, ma non è un film violento. L’essenza è la famiglia e i valori che la tengono unita. Il protagonista non è un killer: la disperazione e la voglia di affrancarsi da uno stile di vita che non gli appartiene lo spingono a pianificare un omicidio, ma è il fato che alla fine lo riscatta.
 
Le musiche del film hanno un sapore autentico e allo stesso tempo nostalgico. Che tipo di ricerca è stata fatta in proposito? 
È facile ambientare un film nel 1947, ciò che desideravo sostanzialmente è che  sembrasse realizzato proprio allora.  A renderlo tale, sono state le tecniche di ripresa e masterizzazione, ma soprattutto la musica. Dario Forzato è un artista di grande talento, dalle straordinarie capacità compositive e rara sensibilità artistica. È una fortuna aver collaborato con lui.

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