LIGURIA, Capitan Spaventa – Dalla Liguria giunge Capitan Spaventa o Capitan Fracassa: un capitano sognatore, colto e di buon senso. Ha un vestito a strisce gialle e arancioni, un cappello abbellito da piume colorate, ricchi stivali e una lunga spada che trascina facendo rumore. È uno spadaccino che, più che la spada, usa la lingua: discute molto ed è solito prendere in giro gli ufficiali del tempo.
EMILIA: Dottor Balanzone, Fagiolino e Sandrone – In Emilia Romagna nasce il bolognese Dottor Balanzone, appartenente alla schiera dei “vecchi” della commedia dell’arte. Il suo nome deriva da “balanza” (“bilancia”), allegoria della Giustizia, ed è noto per il suo carattere presuntuoso e sapientone.
Elargisce consigli e pareri di nessun valore, e cerca scuse per iniziare discorsi dotti, infarciti di citazioni di un latino maccheronico, parolone storpiate e senza senso. Sul volto ha lunghi baffi e indossa una maschera che ricopre solo sopracciglia, occhi e naso. Il suo abito è la tipica divisa dei professori dello studio di Bologna: toga nera, colletto e polsini bianchi, gran cappello, giubba e mantello.
Romagnolo è anche Fagiolino Fanfani, il cui nome sembra derivare da un bruco, che vive sui faggi e che ha nelle zampe posteriori due appendici che sembrano due bastoncini con cui picchia gli altri bruchi. Armato di bastone, Fagiolino è pronto a caricare di randellate chi se lo merita. La sua figura è quella di un giovane bolognese intelligente, forte, pieno di salute, chiacchierone ed ignorante, anche se si crede molto istruito. Ha un neo sulla guancia sinistra, un viso paffuto e sorridente. Indossa sempre un berretto da notte, un grosso fiocco, una corta giacca e calze bianche a righe rosse.
Dalla Modena del ‘700 arriva Sandrone, un contadino ignorante ma furbo, scaltro e pieno di buon senso in rappresentanza del popolo più umile e maltrattato, che escogita ogni stratagemma per sbarcare il lunario. Veste la foggia dei popolani dell’epoca: giacca di velluto a coste marrone, pantaloni al ginocchio, calze a righe bianche e rosse, gilet a fiori e robusti scarponi da contadino. Indossa una parrucca con capelli piuttosto lunghi, coperti in parte da una specie di cuffia da notte di lana bianca. Ha una moglie, Pulonia, e un figlio. L’intera famiglia rappresenta da oltre un secolo il caratteristico carnevale modenese.
TOSCANA: Stenterello e Burlamacco – Da Firenze, Stenterello sembra essere l’unica maschera del Carnevale e del Teatro fiorentino e l’ultima della Commedia dell’Arte antica. È il tipico popolano fiorentino chiacchierone, pauroso ed impulsivo, che, pur oppresso da problemi e avversità, è sempre così ottimista da ridere, scherzare ed affrontare la vita. È anche saggio e ingegnoso; ha sempre la risposta pronta con battute pungenti espresse in un brioso dialetto fiorentino. La sua comicità deriva dal contrasto tra la sua prontezza a schierarsi dalla parte del più debole e la sua tremarella. Con un naso prominente, indossa abiti allegri e frizzanti che ricordano il settecento: un tricorno nero, una giacca o giubba a falde di color azzurro chiaro o blu, sopra una sottoveste sgargiante, panciotto giallo canarino, calzoni corti, una parrucca bianca con codino all’insù.
Ancora in Toscana ha origine Burlamacco, la maschera ufficiale del carnevale di Viareggio, considerata l’ultima maschera italiana, creata nel 1930 dal pittore futurista e grafico viareggino Umberto Bonetti. Il nome richiama alla “burla” carnevalesca e, secondo l’ipotesi più accreditata, deriva dallo pseudonimo che Bonetti usava nelle sue opere, oppure da Francesco Burlamacchi, uomo politico della Repubblica di Lucca. Il cappello indossato dalla maschera è quello degli ambasciatori lucchesi e i colori di Burlamacco richiamano quelli del comune di Lucca. Con la faccia truccata da clown, deriva da un insieme delle caratteristiche delle altre maschere italiane: una tuta a scacchi colorati suggerita dall’abito di Arlecchino, un pompon di cipria ripreso dal camicione di Pierrot, un colletto ampio e bianco rubato a Capitan Spaventa, un copricapo rosso come quello di Rugantino, un mantello nero e svolazzante come quello indossato da Balanzone.
LAZIO: Meo Patacca e Rugantino – Da Roma giungono le maschere dei bulli spacconi e spavaldi di Trastevere: Meo Patacca e Rugantino.
Calzoni stretti al ginocchio, una giacca di velluto, una sciarpa colorata per cintura nella quale è nascosto un pugnale, una retina che raccoglie i capelli dalla quale sporge il ciuffo caratteristico. Questo è Meo Patacca, il tipico bullo romano, sfrontato, attaccabrighe, tiratore di fionda, facile alle risse, ma generoso. Il suo nome deriva dalla “patacca”, il soldo che costituiva la paga del soldato, e la sua notorietà è dovuta al poema in dialetto romanesco del poeta e commediografo Giuseppe Berneri: “Meo Patacca ovvero Roma in feste ne Trionfi di Vienna”.
Un altro bullo romano, strafottente e arrogante, ma in fondo buono e amabile, è Rugantino, il cui nome deriva dalla parola romanesca “ruganza” (“arroganza”). È un provocatore dalla lingua lunga, ma che non fa male a nessuno, duro a parole, ma pavido nei fatti. Il primo Rugantino doveva essere la caricatura di un gendarme, che veniva identificato con il capo dei briganti. In seguito indossa i panni civili del bullo di quartiere. La sua maschera lo vede, quindi, vestito in due modi: da sgherro in modo appariscente, vestito di rosso con il cappello a due punte, o da povero popolano pieno di baldanza ma con calzoncini logori, fascia intorno alla vita, camicia con casacca e fazzoletto al collo.
CAMPANIA: Pulcinella e Tartaglia – In Campania regna la più antica maschera del nostro Paese e una tra le più famose e conosciute in tutto il mondo: Pulcinella (in lingua locale: Pullecenella), creata a Napoli nella seconda metà del ‘500. Le sue origini, tuttavia, sembrano più antiche. Secondo un’ipotesi discende da “Pulcinello”, un piccolo pulcino dal naso adunco; alcuni lo fanno derivare da Puccio d’Aniello, un contadino di Acerra che nel ‘600 si unì come buffone ad una compagnia di girovaghi di passaggio nel paese.
Altri lo riconducono alla fine del IV secolo a.C., al personaggio del servo Maccus nelle popolari Atellanae romane, vicino anche per aspetto: naso lungo, faccia bitorzoluta, guance grosse e ventre prominente, camicia larga e bianca. Altri lo fanno risalire ad un’altra maschera delle Fabulae Atellanae: Kikirrus, il cui nome richiama il verso del gallo, che ricorda più da vicino la maschera di Pulcinella. Fin dalla sua nascita Pulcinella rappresenta virtù e vizi del tipico napoletano che, cosciente dei problemi in cui si trova, riesce sempre ad uscirne con il sorriso, prendendosi gioco dei potenti pubblicamente, svelandone tutti i retroscena.
Pulcinella non ha segreti, è di poche parole, ma quando parla è secco e mordente. I suoi movimenti sono sempre lenti e goffi. Conosciuto in tutto il mondo, il personaggio arriva ad assorbire le caratteristiche di altri Paesi: in Inghilterra è Punch, corsaro e donnaiolo; in Germania è Pulzinella e Ilanswurst (“Giovanni Salsiccia”); in Olanda è Tonelgeek; in Spagna è Don Christoval Polichinela.
Da Napoli giunge anche la maschera di Tartaglia, affine a quella del dottore dalla quale deriva. Goffo e corpulento, il nome deriva dalle balbuzie da cui è afflitto. La sua comicità è legata alla sua forte miopia. Il costume costituito in origine di un abito e di un mantello verdi a strisce gialle, di un ampio collare bianco e occhiali verdi, varia in seguito nei colori e negli ornamenti.
SICILIA: Beppe Nappa – Da Messina arriva Beppe Nappa, maschera simbolo del carnevale di Sciacca (Agrigento), il cui nome deriva da “nappa”, “toppa” in siciliano. È beffardo, pigro, capace di insospettabili salti e danze acrobatiche, goloso e insaziabile. Nella commedia dell’arte la sua maschera rappresentava un servitore con un abito ampio di colore azzurro e un berretto di feltro bianco o grigio sopra una calotta bianca.
FRANCESISMO – In ultimo, anche se il suo nome è un francesismo, abbiamo Pierrot, una maschera italiana che nasce alla fine del ‘500, successivamente esportata in Francia e in Germania. L’utilizzo della maschera di fronte a nuovi pubblici e corti europei portò alle modifiche del suo carattere: il Pierrot francese perde le caratteristiche di astuzia e doppiezza, proprie del servitore, per diventare il triste mimo innamorato della luna. Il suo abito è ampio e bianco con bottoni neri e un piccolo cappello nero che contrasta con il volto dipinto di bianco.