Tourists and locals enjoy coffee outside the famous Sant Eustachio Cafe in Rome (Photo: Dreamstime)

Outside Caffé Sant’Eustachio students and cabbies, bankers and brokers, pundits and senators sip espresso and mock the news. Starbucks, the US coffee chain with nearly 27,000 locations worldwide, had opened its first Italian store in Milan.

“Blasphemy,” pronounces an archivist from the Palazzo della Sapienza. He stirs his demitasse and flicks crema on the sidewalk three times. The mosaic of a stag with a cross between its antlers paves the bar’s entrance.

Starbucks may be a $14 billion franchise, but Caffé Sant’Eustachio, perhaps Rome’s most revered coffeehouse, is a cult. The café takes its name and emblem from a nearby church dedicated to St. Eustace, the patron of hunters and a fictional 1st century martyr.

During the reign of the Emperor Trajan, a Roman general named Placidus often hunted deer in the forests near Tivoli. One day, he saw a cross glowing between the horns of a stag and converted to Christianity. He baptized his entire family, changed his name to Eustace, and adopted the stag and cross as his crest.

Trajan tolerated these eccentricities, until they interfered with the general’s duties. When Eustace refused to offer incense to the pagan gods at a triumph, the emperor ordered him to be roasted alive inside a bronze bull. With gruesome aptness, his church in Piazza Sant’Eustachio, the site of his martyrdom and a block west of the Pantheon, is filled day and night with the incense of burning oak and toasted coffee beans.

The area boasts many fine cafés. Tazza d’Oro, Sant’Eustachio’s biggest rival, rules in summer, thanks to its granita di caffé: frozen coffee interlaced with layers of whipped cream. Camillioni, small and unpretentious, serves exquisite chocolate dolci. Giolitti, a fashionable ice cream parlor since the Belle Époque, features a golden salon and tunicked servers. But only Sant’Eustachio enshrines a retro coffee culture.

Basilica di Sant’ Eustachio in Campo Marzio in the City Center of Rome (Photo: Dreamstime)

Opened in 1938, the establishment replaced a failing 19th century bar called Caffè e Latte. For a modern look, Alberto Ottolini, the new proprietor, used masonry with ergonomic shapes. The industrial white walls and absence of wooden furniture were novel, but every innovation soon becomes a tradition. When Raimondo and Roberto Ricci took over in 1999, they kept the hand-cranked coffee grinders, black-and white photos, Arte Moderne clock, and semicircular bar. The cups and saucers, stamped with the stag and cross, became popular gifts. For caffeinistas, they are neither souvenirs nor status symbols but relics from a temple.

Screens surrounds the bar’s espresso machine, like the chancel screens separating the tabernacle in early medieval basilicas. Behind them the high priests of coffee, wearing snappy bow ties and burgundy vests, concoct a sacred brew amid steam and tinkling spoons.

Nobody knows the secret of Sant’Eustachio’s Gran Caffé, a double espresso with a creamy head thick enough to turn a smooth-lipped nun into the Bialetti Man. Some say it is the water from the Aqua Vergine, the aqueduct built by Marcus Vipsanius Agrippa, general and son-in-law of Augustus, which supplies the Pantheon district from a pure spring in the Alban Hills, eight miles east of Rome. According to legend, a maiden discovered and led thirsty legionnaires to this site, hence its name Virgin Water.

Others credit the mix. Sant’Eustachio blends the best imported beans from Brazil, the Dominican Republic, Ethiopia, Galapagos, Guatemala, and Saint Helena and roasts them in an 80-year-old, hand-operated, wood-fueled machine. This colossal cylinder resembles the brazen bull in which Trajan tortured St. Eustace. As the beans rotate, crack, and toast, two interns from the American Academy’s Rome Sustainable Food Project try to reverse-engineer their coffee. What if we add powdered milk to the grinds? What if we beat the cream, sugar, and coffee together?

Such vain speculations, fitter for Silicon Valley than the Seven Hills, amuse the Ricci brothers. The Vatican permanently damaged its brand when it substituted Latin with the vernacular and made priests face the congregation. They will never make the same mistake. Customers prefer ritual and mystery. Although the Church removed Eustace from the liturgical calendar in 1969, the faithful still celebrate his feast on September 20.

The year Joseph Ratzinger became Benedict XVI, pilgrims from Deggendorf worshipped at the Chiesa di Sant’Eustachio and then stopped at the bar. The guide, a member of the Bavarian Forest Club, removed a bottle of Jägermeister from his backpack, showed the regulars the label with the cross and stag, and poured a shot in his espresso. Delighted, everyone else ordered the same caffé corretto. If Ratzinger had partaken of this sacrament, he might not have resigned.

Pasquino’s secretary is Anthony Di Renzo, professor of writing at Ithaca College. You may reach him at direnzo@ithaca.edu.

Fuori dal Caffé Sant’Eustachio studenti e tassisti, banchieri e mediatori finanziari, opinionisti e senatori sorseggiano l’espresso e commentano la notizia. Starbucks, la catena statunitense dei caffè che ha circa 27.000 sedi in tutto il mondo, ha aperto il suo primo negozio italiano a Milano.

“Blasfemia”, dichiara un archivista del Palazzo della Sapienza. Per tre volte mescola la sua tazzina e ne sposta la crema sul marciapiede. Il mosaico di un cervo con una croce tra le corna pavimenta l’ingresso del bar.

Starbucks può essere un franchising da 14 miliardi $, ma il Caffè Sant’Eustachio, forse il caffè più venerato di Roma, è un cult. Il caffè prende il nome e l’emblema dalla vicina chiesa dedicata a Sant’Eustachio, patrono dei cacciatori e presunto martire del I secolo. Durante il regno dell’imperatore Traiano, un generale romano chiamato Placido spesso cacciava cervi nelle foreste vicino a Tivoli. Un giorno, vide una croce brillare tra le corna di un cervo e si convertì al Cristianesimo. Battezzò tutta la sua famiglia, cambiò il suo nome in Eustachio e adottò come stemma il cervo e la croce.

Traiano tollerò queste eccentricità, finché non interferirono con i doveri del generale. Quando Eustachio rifiutò di offrire incenso agli dei pagani per un trionfo, l’imperatore ordinò che fosse bruciato all’interno di un toro di bronzo. Tragica ironia, la sua chiesa in piazza Sant’Eustachio, il luogo del suo martirio, un isolato ad ovest del Pantheon, è pieno giorno e notte degli odori di quercia bruciata e chicchi di caffè tostato.

L’area vanta molti caffè raffinati. Tazza d’Oro, il maggiore rivale di Sant’Eustachio, domina in estate grazie alla sua granita di caffe: caffè ghiacciato su strati di panna montata. Camillioni, piccolo e senza pretese, serve squisiti dolci al cioccolato. Giolitti, gelateria alla moda fin dalla Belle Époque, ha un salone dorato e camerieri in livrea. Ma solo Sant’Eustachio vanta una cultura del caffè retrò.

Inaugurato nel 1938, l’esercizio sostituì un bar del 19° secolo, chiamato Caffè e Latte. Per dargli un look moderno, Alberto Ottolini, il nuovo proprietario, scelse una muratura dalle forme ergonomiche. I muri bianchi industriali e l’assenza di mobili in legno erano una novità, ma ogni innovazione diventò presto una tradizione. Quando Raimondo e Roberto Ricci lo acquisirono nel 1999, mantennero i macinacaffè a manovella, le foto in bianco e nero, l’orologio di Arte Moderna e il bar semicircolare. Le tazze e i piattini, marchiati con il cervo e la croce, divennero doni popolari. Per gli amanti del caffè, non sono né souvenir né simboli di status, ma reliquie di un tempio.

Schermi circondano la macchina per il caffè espresso, come cori che separano il tabernacolo nelle basiliche altomedievali. Dietro di essi i sommi sacerdoti del caffè, indossando cravatte a papillon e gilet bordeaux, preparano un sacro infuso tra vapore e cucchiaini tintinnanti.

Nessuno conosce il segreto del Gran Caffè di Sant’Eustachio, un doppio espresso con una spessa schiuma cremosa sufficiente a trasformare una suorina nell’Uomo Bialetti. Alcuni dicono che è l’acqua dell’Aqua Vergine, l’acquedotto costruito da Marco Agrippa Vipsanio, generale e genero di Augusto, che rifornisce il quartiere del Pantheon da una sorgente pura sui Colli Albani, otto miglia a est di Roma. Secondo la leggenda, la scoprì una fanciulla e in quel sito condusse assetati legionari, da qui il suo nome: Acqua Vergine.

Altri indicano la miscela. La miscela Sant’Eustachio unisce i migliori chicchi importati da Brasile, Repubblica Dominicana, Etiopia, Galapagos, Guatemala e Sant’Elena tostati in una macchina di 80 anni fa, alimentata a legna e azionata manualmente. Questo gigantesco cilindro assomiglia al toro di bronzo in cui Traiano torturò San Eustachio. Mentre i chicchi ruotano, scricchiolano e si tostano, due stagisti del Sustainable Food Project dell’American Academy di Roma cercano di decodificare il loro caffè. Cosa succede se aggiungiamo latte in polvere ai chicchi? Cosa succede se mescoliamo insieme panna, zucchero e caffè?

Queste inutili speculazioni, più da Silicon Valley che da sette colli, divertono i fratelli Ricci. Il Vaticano ha danneggiato permanentemente il suo brand quando ha sostituito il latino con il volgare e messo i sacerdoti di fronte alla congregazione. Loro non faranno mai lo stesso errore. I clienti preferiscono rituali e misteri. Sebbene la Chiesa abbia rimosso Eustachio dal calendario liturgico nel 1969, i fedeli celebrano ancora la sua festa il 20 settembre.

L’anno in cui Joseph Ratzinger divenne Benedetto XVI, i pellegrini di Deggendorf pregarono nella Chiesa di Sant’Eustachio e si fermarono al bar. La guida, membro del Bavarian Forest Club, prese una bottiglia di Jägermeister dallo zaino, mostrò l’etichetta con la croce e il cervo, e versò un sorso nel suo espresso. Felici, tutti gli altri ordinarono lo stesso caffé. Se Ratzinger avesse partecipato a questo sacramento, non avrebbe potuto dimettersi.

Il segretario di Pasquino è Anthony Di Renzo, professore di scrittura all’Ithaca College. Potete contattarlo all’indirizzo direnzo@ithaca.edu.

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