Sala Biellese, comune piemontese di 627 abitanti della provincia di Biella. 

 Torre dell’orologio a Sala Biellese

 Torre dell’orologio a Sala Biellese

 
La storia di Sala ‘d Biela, come si chiama in dialetto il paese, è legata a due date: 1896 e 1944. La prima ricorda le tessitrici di Sala, in un’epoca in cui la tessitura a mano era l’attività tradizionale del paese. Insorsero contro la pretesa del governo di assoggettare la loro attività a tassazione, come se si trattasse di un’attività industriale. Scoppiata la rivolta, i carabinieri fecero fuoco sulla folla, uccidendo 4 persone.
I responsabili della rivolta furono in seguito processati, ma assolti.
 
La seconda è invece legata alla guerra partigiana. A partire dal 14 dicembre 1944 operò nel Biellese Radio Libertà, che risulta essere stata la sola emittente radiofonica rivolta al pubblico (e che avesse quindi una funzione non direttamente militare) gestita dai partigiani della Resistenza. Le prime trasmissioni avvennero da Callabiana e proseguirono per diverse sere; nel gennaio del 1945 a causa dell’accresciuta minaccia nemica la radio fu smantellata e trasferita a Sala Biellese, da dove riprese a trasmettere dopo qualche settimana proseguendo oltre il 25 aprile. L’idea nacque nell’ambito delle attività della seconda Brigata Garibaldi, e il contenuto delle trasmissioni è tuttora consultabile: la parte più consistente è presso la Biblioteca Civica di Biella.
 
Il redattore della programmazione era Sam (il farmacista Sandro Berruto), lo speaker Gibo (il ferroviere Luigi Galleis) e il tecnico radiofonico Gamma (il panettiere Giovanni Passaglia). Le trasmissioni avevano un accompagnamento musicale dal vivo, inizialmente eseguito alla chitarra da Grifo (il filatore Alfio Re) e al quale poi si aggiunsero altri strumenti ed un coro. Nel corso della Resistenza, gli abitanti della Serra e i combattenti delle formazioni partigiane sperimentarono nuove forme di relazione sociale e di rapporto con il territorio. Questi elementi sono rintracciabili lungo i sentieri che collegano Sala a Torrazzo e ad altri luoghi emblematici della lotta di Liberazione. 
 
Torri in Sabina, comune laziale di 1.278 abitanti della provincia di Rieti. 

 Santuario di Santa Maria di Vescovio a Torri in Sabina

 Santuario di Santa Maria di Vescovio a Torri in Sabina

 
I primi cenni di Torri in epoca medievale risalgono al 747, quando compare la donazione all’abbazia di un casalis Turris; questa donazione è confermata nei secoli successivi fino al 1084. Risale invece al 1298 l’attestazione dell’esistenza di un castello, che risulta essere di proprietà della Santa Sede nel 1364. In seguito, Torri figura tra i possedimenti degli Orsini, che ne mantennero la proprietà fino alla morte della moglie di Flavio Orsini, Anna de la Tremouille, nel 1728. Da questa data Torri ritorna di proprietà della Santa Sede. Nel 1817 il paese entra a far parte, come comune autonomo, del governatorato di Calvi.
Dopo l’Unità d’Italia, il comune fu assegnato prima alla provincia di Perugia, nel 1923 alla provincia di Roma e dal 1927 entrò a far parte della nuova provincia di Rieti. Tra i monumenti spiccano due corpi religiosi: la Chiesa di Santa Maria della Lode a Vescovio, risalente ai primi decenni del IX secolo, cattedrale della diocesi sabina fino al suo definitivo trasferimento a Magliano Sabina nel 1733.
 
All’interno si conservano importanti affreschi del XII secolo con storie dell’antico e nuovo testamento nelle pareti laterali e un Giudizio universale nella parete di controfacciata; la Chiesa di San Giovanni Battista che conserva un manufatto del VI secolo riutilizzato come fonte battesimale, una tela di Vincenzo Camuccini raffigurante la Madonna del rifugio, ed importanti tele di scuola umbra. Ci sono poi due insediamenti fortificati di epoca medievale, denominati Rocchette (il portale di accesso all’antico borgo riporta ben visibile la data del 1607 a cui risale la sua costruzione) e Rocchettine (dove si ammira l’antico borgo feudale e il Castello di Guidone) e l’estesa area archeologica del municipium romano di Forum Novum (II secolo avanti Cristo), di cui parlano Plinio, Virgilio e Frontino, cittadina romana della Sabina, che ebbe il suo massimo splendore in epoca augustea, e che almeno dal 465 fu sede della ecclesia cathedralis Sabinorum fino al 1733.
 
Usellus, comune di 934 abitanti della provincia di Oristano in Sardegna. 

 Il ponte romano di Usellus sul rio Forraxi  

 Il ponte romano di Usellus sul rio Forraxi  

 
Particolarmente suggestivo e denso di scenari caratteristici, Usèddus (in sardo) custodisce un immenso patrimonio naturale e storico-archeologico. Situato nella parte centro occidentale della Sardegna questo piccolo centro collinare, ebbe il privilegio di ospitare le diverse fasi non solo della cultura indigena (merito della presenza di ossidiana, vero “oro nero” dell’antichità, impiegata per l’utensileria e le armi nell’età neolitica), ma momenti caratteristici delle culture che hanno scandito le tappe della sua evoluzione storica senza soluzione di continuità.
 
A cominciare dalla civiltà romana nella quale la comunità di Usellus assurse il rango di colonia civium romanorun col titolo di Colonia Julia Augusta Uselis. Condizione per cui i cittadini potevano esercitare il diritto di voto nei comizi elettivi, rivestire cariche pubblico statali e percorrere il cursus onorum, e dovevano adempiere all’obbligo della leva militare. Tra le testimonianze di questa epoca, il ponte romano edificato in località ”Su Forraxi”, ben conservato, il frammento di epigrafe latina utilizzata come pietra di riporto nel muro di una vecchia abitazione privata, la rete viaria ”via (lapidus) strata” anch’essa ben conservata, la quale attesta la centralità di Uselis quale snodo nevralgico perché collegata a sud con Aquae Napolitanae (Terme di Sardara), a nord con Forum Traiani (Fordon-gianus) e mediante una terza di-ramazione con Neapolis (S. Maria di Nabui presso Capo Frasca).
 
Con la caduta dell’impero Romano di Occidente, come le altre città che furono centri militari, politici, amministrativi e giudiziari, Usellus perde queste funzioni avviandosi verso un’inesorabile decadenza. Nel III secolo la città diventa sede vescovile conservando sino ad oggi la Diocesi. Ancora ora il vescovo viene chiamato “Epi-scopus Usellensis”. Nel centro urbano sorge la chiesa parrocchiale di San Bartolomeo, edificata nel XVII secolo in marna giallastra e trachite. Al suo interno è presente un altare marmoreo di un certo pregio. 
 

Receive more stories like this in your inbox