Sappiamo dalla storia che, superata la fase mitica delle origini (leggendarie) della città, quella dei sette re, a Roma non c’è mai stata una magistratura civile chiamata con questo nome. Anzi, proprio in riferimento ai sovrani orientali, in qualsiasi epoca era viva nella coscienza del cittadino romano l’avversione verso chi cercasse di instaurare un regime personale assoluto.
 
L’astuzia politica di Ottaviano Augusto, fondatore dell’Impero, fu proprio di non accentuare questo aspetto del suo potere, definendosi “privato cittadino” dopo le guerre civili e la restaurazione della Repubblica (a sue spese); nello stesso tempo si faceva attribuire dal Senato, a vita, l’imperium dei Consoli (quello di condurre in guerra le legioni) e la potestas dei Tribuni (quella di porre il veto alle leggi del Senato, insieme alla sacrosanctitas, la prerogativa dell’intangibilità, che non permetteva a nessuno di toccarlo.
 
Egli resta il Princeps, il primo dei cittadini, il più importante (che non è una magistratura costituzionale), anche se si fa attribuire il titolo di Augustus  (autorevole persona di riguardo; neppure questa, una magistratura).
 
L’Impero Romano, per quanto sia soggetto all’arbitrio del sovrano, non è esattamente quella che si chiama “monarchia”. Quanto ai sette Re delle origini di Roma, la critica storica concorda con le conclusioni di Benveniste.
 
Infatti essi, senza mettere in discussione il fondamento storico del racconto leggendario, effettivamente sembrano più sacerdoti che sovrani monarchici. La stessa analisi dei loro nomi ce li mostra come personaggi simbolici che proprio nei nomi sintetizzano alcune caratteristiche del periodo storico attribuito ad ognuno. Romolo (da Roma), Numa (la legge), Ostilio (lo scontro o l’ospitalità), Marzio (il guerriero), Tarquinio (periodo estrusco), Servio (origine plebea), Tarquinio (nuova egemonia etrusca). 
 
Intanto, però, la figura del Rex è presente a Roma durante tutta la sua storia, ed è un personaggio che nulla ha a che fare con la vita politica, ma esercita esclusivamente una funzione religiosa.  
 
Ed ecco le parole latine formate dalla radice reg. Oltre a rex, c’è il verbo rego (it.: reggere) che significa: tener diritto, guidare, condurre, dirigere, il cui participio è rectus (= retto, diretto, diritto, in linea retta). Da rex deriva il femminile regina (= regina, principessa, guida), l’astratto regnum (= regno, governo, ecc.), il diminutivo regula (= riga, squadra, strumento che fa andare diritto; e anche regola), regio (= direzione, linea; e anche regione). 
 
Da “rego”  si formano i composti dìrigo (de+rego) e còrrigo (cum+rego) che significano rispettivamente: dirigere e disporre in linea retta, il primo; raddrizzare e correggere, l’altro. I loro participi  sono: directus (diretto) e correctus (corretto). Oltre a corrigia (correggia, cinghia).
 
Prima di passare al lessico italiano voglio segnalare i fenomeni fonetici per cui alcune consonanti si sono trasformate. In particolare:
– La gutturale sonora (g), davanti alla dentale sorda (t), diventa sorda come la dentale, cioè “c” (suono: k). La stessa cosa succede quando si trova davanti alla “s”.
– Per apofonia la vocale “e” (della radice reg-) si trasforma in “i”.
– Il composto corrigo (cum+rego) diviene còrrigo: oltre all’apofonia c’è l’assimilazione della m davanti alle r di “rego”.  
 
Ed ora, finalmente, passiamo alla sfera lessicale delle parole italiane:
re, regina, regno, reggere, retto, retta, rettore, regione, regola, riga, righello, 
dirigere, diretto, diritto, dritto, direttore, direzione, dirigibile, correggere, corretto,  correzione, correttore, correggia; … e il napoletano curreja (cinghia), che i nostri padri usavano come “strumento di correzione”.
(II parte, la prima parte dell’articolo sull’etimologia del termine Rex è stata pubblicata la scorsa settimana) 
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