Il fuoco è protagonista nei riti natalizi abruzzesi con la “farchia”, un tronco alto fino a 20 metri che viene bruciato (Ph Francesco Paggiaro da Pexels)
Il ciclo natalizio, che parte dal solstizio d’inverno e termina con l’Epifania, celebra la festività  in cui viene ricordata la nascita di Gesù che, nella cristianità occidentale cade  il 25 dicembre in quella orientale il 6 gennaio. Ma la data della nascita di Cristo non è nota e i Vangeli non ne indicano né il giorno né l’anno. Le fu probabilmente assegnata la data del solstizio d’inverno perché, nel giorno in cui il sole comincia il suo ritorno nei cieli boreali, i pagani celebravano il dies natalis del Sol Invictus. Dunque l’origine della natività potrebbe essere collegata con la festa del dio del sole e signore dei pianeti. Il Vangelo stesso parla del Messia descrivendolo come Sole di giustizia.
 
La preferenza per il 25 dicembre sarebbe derivata dalla necessità di contrapporre una festa cristiana ad una pagana nel momento in cui si diffondeva il Cristianesimo. La data del 25 dicembre prima di diventare il “compleanno di Gesù” era un giorno di festa per i popoli del periodo primitivo in quanto la loro esistenza dipendeva dal “ciclo della natura” che aveva al centro il Sole, astro indispensabile per  la  sopravvivenza.  
 
Nell’antica Roma dal 17 al 24 dicembre, nel periodo in cui si viveva in pace, si festeggiavano anche i “Saturnali” in onore di Saturno dio dell’agricoltura, ci  si scambiava doni e si facevano luculliani banchetti abbandonando ogni divisione sociale. 
Ma le verità storiche sulle origini del Natale spaziano dagli antichi culti pagani ai culti  orientali del dio indo-persiano Mitra, ai Saturnalia romani fino alla varie metamorfosi di Babbo Natale: dallo sciamano tribale custode del fuoco al vescovo cristiano San Nicola, al testimonial per la propaganda pubblicitaria.
 
 NATALE DI UN TEMPO
Per ricchezza di simbolismo e antichissimi riti, il Natale in Abruzzo è stato da sempre celebrato con  una eccezionale solenità.  Il nuovo anno nella regione comincia proprio col Natale, il Capo d’anno è quasi un’appendice e l’Epifania chiude il ciclo delle feste. 
 
Un tempo  nella nostra regione  i preparativi che precedevano il Natale erano festosi e lunghi: novene dell’Avvento nelle chiese, allestimento dei presepi, dolci e cibi tipici, l’accensione del  ceppo nelle case, e nelle vie il suono caratteristico delle zampogne con l’antica usanza della  “Squilla” nel pomeriggio dell’antivigilia di Natale. 
Un miscuglio di tradizioni pagane e cristiane che con le luci e i colori conferivano  un’atmosfera di suggestione in particolar modo ai piccoli paesi arroccati sui cocuzzoli delle montagne.
 
IL RITO DEL CEPPO
Il ceppo  o “tecchie” era il tronco che, al momento della provvista della legna, veniva messo da parte per essere bruciato la notte di Natale e rimaneva nel camino ed ardeva dalla sera della vigilia di Natale sino a Capodanno. 
 
Ogni famiglia si riuniva davanti  al camino e vi metteva il ciocco dicendo: “Si rallegri il ceppo, domani è il giorno del pane. Ogni grazia di Dio entri in questa casa. Le donne facciano figlioli, le capre capretti, le pecore agnelletti, abbondi il grano e la farina e si riempia la conca di vino”. Poi i bambini, con gli occhi bendati, dovevano battere sul ceppo con un bastone recitando una canzoncina detta “Ave Maria del Ceppo” che aveva la virtù di far piovere su di loro dolci e regalini.
Sul ceppo acceso, si aggiungeva sempre altra legna che doveva bruciare lentamente per la durata di dodici giorni che stavano a significare i dodici mesi dell’anno ed erano in analogia al sole che, nascendo al solstizio d’inverno, avrebbe nutrito la terra per un anno intero. Per questo motivo si diceva “domani è il giorno del pane” e si festeggiava mangiando dolci a base di farina.
 
Nel rito dell’accensione si fondono due elementi propiziatori: il valore del fuoco, immagine del sole e della vita, e il simbolico consumarsi del tronco che voleva significare la fine del vecchio anno con tutto ciò che di negativo ha portato. 
 
Al culto del sole si è sovrapposta nella liturgia cristiana la figura di Cristo che si è incarnato e sacrificato per salvare l’umanità e sostenere l’uomo nel suo viaggio terreno. Per questo, al ceppo si aggiungevano dodici pezzi di legno in memoria degli apostoli  oppure gli si posavano accanto porzioni di cibo. I carboni del ceppo, considerati sacri, la mattina di Capodanno venivano riaccesi nelle campagne poi una volta spenti venivano sparsi nelle zolle a scopo propiziatorio.
 
LA FARCHIA DI TUFILLO
Nel borgo di Tufillo, Chieti,  paese sulla sponda abruzzese del fiume Trigno, il fuoco è protagonista della vigilia di Natale, o meglio lo è la “farchia”, un tronco lungo e diritto che può arrivare anche a venti metri, intorno al quale vengono inseriti altri tronchi minori, fino a formare un grosso fascio, tenuto insieme da cerchi di ferro. Il pomeriggio del 24 dicembre davanti alla chiesa di San Vito, la farchia viene “vestita” dagli abitanti del paese che, sfilando in corteo, procedono tra i vicoli del centro storico, a torcia spenta, facendo tappa  nei vari  punti di ristoro a base di vino e dolci  tipici di Natale: torcinelli, cagionetti, biscotti di mandorle e pizzelle. A mezzanotte il rito si compie: davanti alla chiesa di Santa Giusta viene appiccato il fuoco alla farchia  mentre i visitatori intonano i canti natalizi. 
 
 ‘NTOSSE’ A S.STEFANO
La notte del 24 dicembre, poco prima della mezzanotte a Santo Stefano di Sante Marie in provincia de L’Aquila, si svolge una processione con le fiaccole accese, “ntosse”, che anima le vie del piccolo borgo. Le torce, realizzate con querciole spaccate, riempite con stecche o fasci di ginestre essiccate, vengono poi deposte davanti alla chiesa per alimentare un grande fuoco. 
 
La processione ricorda il cammino dei pastori che si recavano alla capanna di Betlemme e, in passato, quando non c’era la pubblica illuminazione, le “ntosse” illuminavano la strada ai fedeli che si recavano in chiesa per la messa di mezzanotte.
 
 LA SQUILLA A LANCIANO
Il 23 dicembre a Lanciano si ripete da secoli un’antica e originale usanza che continua a conservare il fascino di un tempo. 
Nel pomeriggio dell’antivigilia  il dolce e ripetuto rintocco di una campana,“La squilla”, apre le feste natalizie in un rituale di pace e concordia. I fedeli portano in mano delle candele, le cui  fiammelle illuminano il corteo che avanza col sottofondo musicale della magica campana. Chi non partecipa al corteo può accendere una candela nella propria abitazione. Secondo la tradizione, la squilla ricorda il viaggio che l’arcivescovo di Lanciano Tasso, compiva ogni anno dal 1588 al 1607, a piedi scalzi, dal suo palazzo alla chiesetta dell’Iconicella (3 km) in segno di penitenza e per ricordare il viaggio dei pastori verso la grotta di Betlemme.
 
Molti fedeli lo accompagnavano per ascoltare la sua  predica di pace. Durante il pellegrinaggio la campanella suonava senza mai fermarsi, si fermava soltanto al rientro del vescovo nel suo palazzo. Oggi per i lancianesi la campanella della squilla è il simbolo ed il rito del Natale. 
 
PRESEPI IN ABRUZZO
Il Presepio nella nostra regione ha una tradizione antichissima.  Si ricorda il primo esemplare di  di presepe domestico presso la casa della nobile famiglia Piccolomini di Celano in quanto la  sua esistenza viene menzionata in un Inventario proveniente dal Castello di Celano redatto  nel 1567 che enumera gli oggetti appartenenti alla duchessa Costanza Piccolomini.                                                        
 
Alla tradizione del presepe popolare è collegato il Presepe vivente di grande contenuto mistico. Tanti “presepi viventi” vengono allestiti. Il primo e più famoso è quello che ha luogo a Rivisondoli il 6 gennaio. 
Ambientato in un suggestivo scenario pastorale naturale, fa rivivere in una magica atmosfera il grande evento della natività. Tra i più antichi d’Italia, si svolge per quadri che ripercorrono fedelmente il racconto evangelico. Tradizione vuole che Gesù Bambino sia impersonato dall’ultimo nato del paese. 

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