Ricordando Rino Gaetano a 32 anni dalla tragica morte, non si può non pensare ai grandi sacrifici compiuti da chi ha lasciato la propria terra per cercare altrove ciò che il luogo natio non poteva, non sapeva, non voleva dare.
Colpa, ieri come oggi, delle disastrose politiche dell’abbandono che umiliano e mortificano regioni ai limiti della sopravvivenza come la Calabria, fanalino di coda dell’Italia e Sud del Sud dell’Europa.
I dischi del grande crotonese, definito “il figlio unico della canzone”, proprio per la singolarità delle sue composizioni e interpretazioni, sono di straordinaria attualità. Osservatore e lungimirante. Figlio della terra di Pitagora, arricchito dallo splendore dell’azzurro Mar Jonio decantato da Omero. È cresciuto guardando quelle acque che riflettevano un “cielo sempre più blù”, titolo poi di una sua canzone di grande successo.
Testo di denuncia e di speranza: “Chi vive in baracca, chi suda il salario /chi ama l’amore e i sogni di gloria /chi ruba pensioni, chi ha scarsa memoria… chi suda, chi lotta, chi mangia una volta /chi gli manca la casa, chi vive da solo /chi prende assai poco, chi gioca col fuoco /chi vive in Calabria, chi vive d’amore /chi ha fatto la guerra, chi prende i sessanta / chi arriva agli ottanta, chi muore al lavoro”.
Rino Gaetano ha introdotto nella musica italiana un lampo di creatività.
Non è stata facile la sua breve ma intensa vita di artista “contro”. Fuori dai luoghi comuni. Oltre i logori schemi. Non cercava il successo a tutti i costi. Non cedeva ai compromessi. Schiena dritta. Mai servo del potere. Critico sì. Sempre. I più “aperti” alle innovazioni l’avevano ammirato da subito. Sostenuto nel suo impegno. Altro che canzoni “non-sense” come qualche “benpensante e malfacente” definiva i contenuti, cercando goffamente di sminuirne la portata.
Avevano, sì avevano un grande senso. Erano scomode. Rino era un interprete genuino della realtà. Chiaro, altro che! Testi graffianti, denunce coraggiose. Dalla parte degli ultimi. Controcorrente. Sfidava i potenti. Dava dignità agli emarginati. Ogni canzone è un in fondo una spinta verso una vita migliore, senza più sfruttati, senza più sfruttatori. Purtroppo il 2 giugno 1981 il suo sogno si è bruscamente interrotto. Un incidente d’auto ha spento a 31 anni il suo talento.
A Roma, sulla Nomentana, ha perso il controllo dell’auto, è finito nella corsia opposta. Contromano. Terribile schianto contro un camion. Gravissime ferite. Impatto fatale. La corsa disperata verso l’ospedale. Ma serviva una struttura specializzata. La vana ricerca di un ospedale che potesse compiere l’estremo, miracoloso tentativo di salvezza: non si è trovato un posto.
Dopo cinque no, Rino è morto. L’ultimo respiro all’alba. Come era accaduto undici anni prima ad un suo amico, Renzo, al quale aveva dedicato questa ballata: “Quel giorno Renzo uscì, andò lungo quella strada /e una Ferrari contro lui si schiantò/ il suo assassino lo aiutò e Renzo allora partì/verso un ospedale che lo curasse per guarir/ Quando Renzo morì io ero al bar/ La strada era buia si andò al San Camillo/ e lì non l’accettarono forse per l’orario /si pregò tutti i Santi ma s’andò al San Giovanni/ e lì non lo vollero per lo sciopero/ Quando Renzo morì io ero al bar/ era ormai l’alba andarono al Policlinico/ ma lo si mandò via perché mancava il vicecapo/ c’era in alto il sole si disse che Renzo era morto/ma neanche al Verano c’era posto/ Quando Renzo morì io ero al bar/al bar con gli amici bevevo un caffè”.
Sensibile. L’amicizia. Il contatto con la gente. Gli anni iniziali sulle piazze abruzzesi. L’emigrazione e l’amore. Riascoltando “E cantava le canzoni”, la mente ritorna proprio alle serate che Rino ha trascorso anche in riva all’Adriatico. Ha cantato in una delle prime radio private abruzzesi. Nel 1978 ha interpretato “E cantava le canzoni” proprio a Pescara in occasione del Cantagiro. Tanti applausi. Un altro brano che fa molto riflettere sulla solidità dei sentimenti. Emozioni forti. Cantava Rino:
“E partiva l’emigrante ritornava dal paese /Con la fotografia di Bice bella come un’attrice /E cantava le canzoni che sentiva sempre a lu mare/E partiva il mercenario con un figlio da sfamare/e un nemico a cui sparare /E partiva il mercenario verso una crociata nuova /Per difendere un effigie e per amare ancora Bice /E cantava le canzoni che sentiva sempre a lu mare/E partiva il produttore con un film da girare /e un azienda da salvare/E partiva il produttore con un copione scritto in fretta Cercava qualche bella attrice ma lui amava solo Bice/E cantava le canzoni che sentiva sempre a lu mare ” .
Rino era un grande. Resta un grande. Nel cuore dei giovani degli anni Settanta. Ha conquistato i giovani del nuovo millennio. Tanti ragazzi e tante ragazze conoscono ed apprezzano Rino. E ballano e si divertono con le sue canzoni.
Questo voleva Rino. Divertirsi e far divertire gli altri. C’è riuscito. Sicuramente continuerà ad essere ascoltato ed apprezzato in futuro. Perché non è stato un cantautore “non-sense”, ma un autore geniale. E i talenti non si dimenticano. Rino, “figlio unico della canzone”, ci ha lasciato in eredità “pezzi unici della canzone”. Come “Nuntereggaepiù”.
Quanta attualità: “Abbasso e alé con le canzoni/senza fatti e soluzioni /la castità /la verginità /la sposa in bianco il maschio forte/i ministri puliti i buffoni di corte /ladri di polli /super pensioni /ladri di stato e stupratori /il grasso ventre dei commendatori /diete politicizzate /evasori legalizzati /auto blu /sangue blu /cieli blu /amore blu /rock and blues/Nuntereggaepiù..”.
L’onestà intellettuale. La denuncia degli stupri, oggi devastante “femminicidio”, l’arroganza e le ruberie dei politici, prima della scoperta di “tangentopoli”.
Rino Gaetano era e resta la voce dei buoni e dei giusti, contro le odiose emarginazioni e le palesi ingiustizie!