Bambole, non c’è una lira. Cadono a pezzi i muri dell’antica Pompei. Lo stesso accade per preziosissime reliquie, sparse in tutta Italia. Il paese più bello del mondo, ormai da diverso tempo, purtroppo, non possiede più i fondi per salvaguardare il suo passato.
Bisogna escogitare nuove idee, aprendo spazi ai privati. Non è forse vero che sono stati i giapponesi a restaurare la Cappella Sistina? Non è forse vero che l’imprenditore calzaturiero Diego Della Valle riammodernerà il Colosseo, l’anfiteatro che ha fatto restare a bocca aperta, due settimane fa, anche il Presidente Obama?
E così il Sindaco Marino ha steso sul tavolo del suo ufficio, in Campidoglio, davanti ai Fori romani, l’atlante provando a gettare un’ancora verso la penisola arabica. Iniziano i contatti, le prime email, in rete viaggiano slides, messaggi, approfondimenti. Poi la decisione da parte della famiglia reale dell’Arabia Saudita, una delle più ricche del mondo. Nababbi che, ogni minuto, alimentano i propri conti in banca perché, in quello stesso momento, in ogni parte del globo, vendono greggio a peso d’oro.
Ecco il piano, allora: grazie a un finanziamento filantropico della famiglia reale saudita Roma vedrà salvaguardati i suoi monumenti più leggendari. Il Sindaco, dopo opportuni approfondimenti svolti dal Ministero dei Beni Culturali, ha presentato a Riad una lista di siti che necessiterebbero degli interventi più urgenti. Il Mausoleo di Augusto, ad esempio, proprio nel bimillenario della morte dell’imperatore, la Cisterna delle Sette Sale, al Colle Oppio, le terme di Traiano, il Celio, la splendida Via Alessandrina, la Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, il Palazzo delle Esposizioni, in via Nazionale.
A quanto ammonta il budget messo a disposizione dagli opulenti palazzi di Riad? La cifra non è stata resa nota ma non saranno certo quisquilie. Tanto che, per ogni cento euro donato dall’Arabia Saudita, il Comune ha deciso che una percentuale sarà donata alle periferie. Per creare nuove aree verdi o per alimentarle, dandole nuova linfa.
Cosa offrirà in cambio l’Amministrazione di Roma ai sultani arabi? Si è impegnata a esportare a Riad – per qualche settimana o per qualche mese, perché no? – singole mostre. Di sculture, ad esempio, ma, più probabilmente, di pitture visto che proprio la sequenza di quadri e dipinti necessitano di ampi spazio e di un allestimento maniacale. Un modo intelligente per esportare la magia di Roma antica nel cuore della penisola arabica. Un’idea lungimirante per far lievitare il valore del brand di Roma, forse più amata fuori dai confini.
Un’operazione intelligente che consolida due risultati: mettere in sicurezza, valorizzare e promuovere, in un’area opulenta del mondo, l’inestimabile patrimonio artistico e culturale del Belpaese, creando un ponte tra l’Italia e Riad. E fare in modo che l’arte diventi uno strumento di dialogo e di vicinanza tra popoli diversi.
Ecco l’ausilio decisivo dei privati, insomma, per bloccare l’incuria che avvolge – ormai troppo spesso – chiese, monumenti, gallerie d’arte. Mancano i soldi, non ci sono fondi per rimettere in sesto i nostri patrimoni culturali. La ciambella di salvataggio, stavolta, è venuta dalla lontana Riad: vagoni di euro per il restauro in cambio di mostre d’arte e di pittura.