Alcuni anni fa la stampa internazionale si è occupata di Mons. O’Flaherty, pubblicando il testo di un telegramma di Kappler, inviato a Berlino il 19 ottobre 1943 e intercettato dagli Alleati tramite la decodifica di “Enigma”. La notizia fece scalpore. Si parlò di “gola profonda dei nazisti in Vaticano”, di “nazista sotto la tonaca”.
Il messaggio tedesco in relazione ad O’Flaherty risulta piuttosto vago. Nel mese di ottobre c’era già stato l’armistizio e Roma era già in mano ai tedeschi. Di uno sbarco nei dintorni di Roma si parlava da tanto. Avrebbe dovuto aver luogo proprio in difesa di Roma, in contemporanea con l’annuncio dell’armistizio, per contrastare la presumibile occupazione tedesca. Cosa che avvenne rapidamente. Mentre lo sbarco alleato avverrà dopo alcuni mesi, ad Anzio il 22 gennaio 1944. Le generiche informazioni di O’Flaherty servivano piuttosto a tenersi buoni i tedeschi e farsi accettare come un loro informatore, in modo da avere mano libera nel poter nascondere e aiutare i prigionieri alleati.
Definito “Scarlet Pimpernel of the Vatican” (Primula rossa del Vaticano), dal titolo del libro che J. P. Gallagher ha pubblicato nel 1967 e tradotto in italiano nel 1973 nelle edizioni Mursia, sulle sue imprese durante la guerra, Mons. O’Flaherty aiutò numerosi anglo-americani nascosti a Roma. Sono parecchie le testimonianze dei collaboratori e di quanti lo conobbero e apprezzarono la sua azione pastorale, rivolta a nascondere e a sfamare migliaia di ex-prigionieri alleati.
Hugh Joseph O’Flaherty era nato a Killarney, in Irlanda, il 28 febbraio 1898. Di lui Gallagher scrive: «O’Flaherty, il sacerdote geniale, cortese, schietto, era la Primula Rossa del Vaticano, vestita di scarlatto e nero: un uomo stranamente paradossale, che per anni aveva odiato gli inglesi e che tuttavia, durante la seconda guerra mondiale, doveva salvare più alleati di qualsiasi altro. Manovratore, dall’interno stesso del Collegio Teutonico, di una stupefacente rete di salvataggio e con una sua ‘linea’ segreta che arrivava al quartier generale delle SS, egli girava per la città, di giorno e di notte, sfidando apertamente i tedeschi».
Nel 1983 esce un film del regista Jerry London sul personaggio e sulle imprese eroiche di O’Flaherty, interpretato da Gregory Peck, dal titolo “The Scarlet and the Black”. «Alla liberazione di Roma – scrive ancora Gallagher – l’organizzazione aveva la responsabilità di 3925 prigionieri di guerra evasi e di uomini che erano riusciti ad evitare la cattura. Di questi 1695 erano inglesi, 896 sudafricani, 429 russi, 425 greci, 185 americani e gli altri appartenenti a 20 nazionalità diverse».
Ma le testimonianze più pregnanti e decisive sono quelle dei collaboratori che lo aiutarono nella difficile e delicata opera per nascondere e sfamare le migliaia di ex-prigionieri alleati fuggiaschi. John Furman, ebreo, ex-prigioniero e uno dei collaboratori, ha raccontato l’azione di O’Flaherty nel volume “Be Not Fearful” (Antony Blond 1959, London), tradotto e pubblicato in italiano nel 1962 presso le edizioni Garzanti, con il titolo “Non aver paura”. Concludendo le sue memorie e ricordando il giorno della liberazione di Roma, Furman scrive: “Non c’erano autobus né tram, ma le strade erano piene di gente che si affollava in direzione di San Pietro, dove andava a esprimere la propria gratitudine per la liberazione della città. Vidi John May e monsignore O’ Flaherty. Era bello vedere la gioia sul loro volto e sul viso di tutti, in piazza San Pietro”.
Nel 1995, William Simpson, ufficiale inglese, uno dei maggiori collaboratori di O’Flaherty e responsabile, dopo la liberazione d’Italia, dell’Allied Screening Commission, pubblica il libro di memorie dal titolo “A Vatican Lifeline ’44. Allied Fugitives aided by the Italian Resistance foil the Gestapo in Nazi-occupied Rome” (Leo Cooper, London). Il libro è stato tradotto in italiano, con la presentazione di uno dei massimi storici dell’aiuto ai prigionieri di guerra, Roger Absalom, autore del volume “A Strange Alliance” (Olschki, Firenze 1991), tradotto in italiano con il titolo “L’alleanza inattesa: mondo contadino e prigionieri alleati in fuga in Italia (1943-1945)”.
Il libro di Simpson è stato tradotto con il titolo “La guerra in casa. La Resistenza Umanitaria dall’Abruzzo al Vaticano” a cura dell’Associazione Il Sentiero della Libertà /Freedom Trail, (Qualevita, 2004) e sintetizzato nel volume “Terra di libertà, storie di uomini e donne nell’Abruzzo della seconda guerra mondiale” a cura di Maria Rosaria La Morgia e Mario Setta (Tracce, Pescara 2014). Il libro narra le vicende dell’autore, fuggito dal campo di concentramento, nascosto e aiutato in un povero borgo di Sulmona e condotto con altri a Roma, con l’intervento di una coraggiosa donna del popolo, Iride Imperoli Colaprete. A Roma Simpson incontra monsignor O’Flaherty e ne diventa stretto collaboratore. Catturato dai tedeschi e rinchiuso a Regina Coeli, vi rimane fino alla liberazione di Roma.
L’opera di Simpson, che si inserisce nella collana di memorialistica dal titolo “E si divisero il pane che non c’era”, è un omaggio alla gente del popolo ed è una testimonianza straordinaria dell’azione pastorale di Mons. O’Flaherty. Se fosse stato una spia dei tedeschi, migliaia di persone non sarebbero sopravvissute. L’accusa di “gola profonda” a favore dei nazisti, stando ai fatti, risulta assolutamente infondata. Più correttamente, un giudizio obiettivo non può che scaturire dal ruolo e dalla missione sacerdotale del monsignore di curia che, come tanti altri sacerdoti nel periodo della guerra e dell’occupazione tedesca, hanno tentato sì di “giocare” sui due fronti contrapposti, ma per salvare “l’uomo”: inglese o tedesco, americano o russo, ebreo o protestante, in nome dei valori umani ed evangelici.