Recenti studi scientifici sulle mutazioni genetiche ipotizzano che il desiderio di viaggiare e di fare esperienze nuove, risiedano in un gene – il Drd4-7r del nostro dna. Si tratta dunque di una strana malattia, la Wanderlust – dal tedesco wander (vagabondare) e lust (ossessione, desiderio), in italiano dromomania – per la quale chi ne soffre non riesce mai a riporre la valigia in un armadio e forte e irrefrenabile è il desiderio dell’altrove.
È una visione fiabesca dell’andare che poco c’entra con le motivazioni alla base dei migranti anche se dai recenti studi condotti dalla Fondazione Migrantes molti degli attuali migranti non riescono né a concepirsi né a definirsi tali, ma parlano di sé come di viaggiatori.
E’ una prospetiva insolita quella presentata dalla Fondazione Migrantes che ha illustrato l’annuale rapporto sugli Italiani nel mondo.
I NUMERI
Sono oltre 107 mila gli italiani espatriati nel 2015. A iscriversi all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) sono state 6.232 persone in più rispetto all’anno precedente, con un incremento pari al 6,2%. Hanno fatto le valige soprattutto i giovani tra i 18 e i 34 anni, le regioni con le maggiori partenze sono Lombardia e Veneto. Ma sono soprattutto le regioni meridionali quelle che, in rapporto alla popolazione, conoscono il travaso più consistente: sono meridionali il 50% degli italiani residenti all’estero.
In totale ci sono quasi 5 milioni gli italiani all’estero. Dal 2006 al 2016 la mobilità italiana è aumentata del 54,9% passando da poco più di 3 milioni di iscritti all’Aire a oltre 4,8 milioni. Su 107.529 espatriati nell’anno 2015, i maschi sono in leggera maggioranza, oltre 60 mila (56,1%). L’analisi per classi di età mostra che la fascia 18-34 anni è la più rappresentata (36,7%) seguita dai 35-49 anni (25,8%). I minori sono il 20,7% (di cui 13.807 mila hanno meno di 10 anni) mentre il 6,2% ha più di 65 anni (di questi 637 hanno più di 85 anni e 1.999 sono tra i 75 e gli 84 anni).
CHI PARTE E DOVE VA
A livello continentale, oltre la metà dei cittadini italiani (+2,5 milioni) risiede in Europa (53,8%) mentre oltre 1,9 milioni vive in America (40,6%) soprattutto in quella centro-meridionale (32,5%). In valore assoluto, le variazioni più consistenti si registrano in Argentina (+28.982), in Brasile (+20.427), nel Regno Unito (+18.706), in Germania (+18.674), in Svizzera (+14.496), in Francia (+11.358), negli Stati Uniti (+6.683) e in Spagna (+6.520).
Il 50,8% dei cittadini italiani iscritti all’Aire è di origine meridionale (Sud: 1.602.196 e Isole: 842.850), il 33,8% è di origine settentrionale (Nord Ovest: 817.412 e Nord Est: 806.613) e, infine, il 15,4% è originario del Centro Italia (742.092).
A livello regionale le percentuali più incisive riguardano la Lombardia (+6,5%), la Valle d’Aosta (+6,3%), l’Emilia Romagna (+6,0%) e il Veneto (+5,7%).
A livello provinciale torna il protagonismo del Meridione. Tra i primi dieci territori provinciali, infatti, sette sono del Sud Italia. Ad esclusione della Provincia di Roma, in prima posizione, seguono Cosenza, Agrigento, Salerno, Napoli, Milano, Catania, Palermo, Treviso e Torino.
LA MOBILITA’ ITALIANA
Dal 2006 al 2016 la mobilità italiana è aumentata del 54,9% passando da poco più di 3 milioni di iscritti a oltre 4,8 milioni.
Da gennaio a dicembre 2015 le iscrizioni sono state 189.699. Di queste oltre la metà il 56,7% sono avvenute per solo espatrio. In altri termini, nell’ultimo anno, 107.529 italiani hanno lasciato il Paese alla volta dell’estero.
Rispetto al 2015 si registrano 6.232 partenze in più. Il 69,2% (quasi 75 mila italiani) si è trasferito nel Vecchio Continente: l’Europa, quindi, si conferma essere l’area continentale maggiormente presa in considerazione dai trasferimenti degli italiani che vanno oltre confine. In brusca riduzione, invece, l’America meridionale (-14,9% di variazione in un anno ovvero più -2.254 italiani in meno nell’ultimo anno). Stabile l’America centro-settentrionale e solo 352 connazionali in più in un anno per le altre aree continentali: Asia, Africa, Australia, Oceania, Antartide.
Su 107.529 espatriati nell’anno 2015, i maschi sono oltre 60 mila (56,1%). Tutte le classi di età sono in aumento rispetto allo scorso anno tranne gli over 65 anni (erano 7.205 nel 2014 sono 6.572 nel 2015).
Oltre alla riduzione degli italiani che si allontanano dall’Italia in tarda età occorre sottolineare la loro specificità di genere: se per tutte le altre classi di età, infatti, prevalgono i maschi, in questo caso – complice probabilmente la superiore aspettativa di vita femminile – le donne, soprattutto di età superiore agli 85 anni, sono il 62,6% rispetto ai maschi loro coetanei.
Si tratta, probabilmente, di donne che, dopo un periodo di emigrazione vissuto all’estero con i mariti e un rientro in Italia dopo la pensione, rimaste sole alla morte del coniuge, raggiungono i figli e i nipoti nati, cresciuti e pienamente inseriti fuori dei confini nazionali. Il 60,2% di chi è andato all’estero nel 2015 è celibe o nubile, il 33,0% è coniugato.
ROTTE MIGRATORIE
Da gennaio a dicembre 2015, gli italiani sono andati in 199 Paesi differenti partendo da 110 province italiane diverse. La Lombardia, con 20.088 partenze, e la prima regione in valore assoluto seguita da una importante novita ovvero il balzo in avanti del Veneto (10.374) che fa scendere la Sicilia (9.823) alla terza posizione – era la seconda nel 2015 – seguita dal Lazio (8.436), dal Piemonte (8.199) e dall’Emilia Romagna (7.644).
ITALIANITA’
Che si autopercepisca o meno per ciò che davvero è, il migrante italiano è da sempre col suo migrare “portatore sano di italianità” e l’italianità la si è esplicata in modi molto diversi tra loro: il gusto, la lingua, il business, la sensibilità artistica e, quindi, la moda e il design, la musica, la pittura e così via.
LINGUA-CULTURA-ECONOMIA
Dopo anni negativi, ad esempio, la letteratura italiana sta ottenendo un riconoscimento internazionale che tocca l’Asia e il mondo arabo. L’export dei titoli tra il 2014 e il 2015 ha fatto segnare un +11,7%, complice sicuramente un migliore atteggiamento degli stessi autori che si sono maggiormente uniformati al genere e agli stili internazionali. La parte da leone la fa la narrativa che rappresenta oltre un terzo della vendita di diritti alle case editrici straniere (il 36,2%), con un incremento del 251,9% (nel 2007 era il 17,2%). Un altro terzo è in mano alla letteratura per l’infanzia (36,1%).
La vecchia Europa ha acquistato più della metà (il 50,8%) dei diritti di edizione e si stanno aprendo nuovi mercati come quello asiatico fino a qualche anno fa off limits. Dal 2007 al 2015 l’export verso Oriente, soprattutto grazie alla Cina, e in anni in cui l’afflusso di italiani verso questa nazione è stato notevole, è cresciuto di oltre il 111% mentre quello verso il Medio Oriente addirittura del 321,2%.
Oltre ai testi di autori classici famosi, il discorso di oggi vale per scrittori moderni cosa che lascia ben sperare per il futuro e sprona ad adoperarsi per la promozione linguistica e culturale dell’Italia all’estero, affinché diventi effettivamente reale e concretamente vissuto che i migranti italiani sono i primi ambasciatori per il Paese.
Per questo vanno incentivate, promosse e diffuse operazioni istituzionali quali la Settimana della lingua italiana nel mondo e gli Stati generali della lingua italiana nel mondo che devono diventare occasioni utili e vitali per far incontrare studiosi italiani o di Italia, che lavorano nel Paese o fuori dei confini nazionali, al fine di ripensare strategie didattiche o di coinvolgimento della lingua italiana in tutti i processi di apprendimento o nelle strategie delle industrie culturali e/o economiche.
Ripartendo dal rapporto tra lingua italiana e mondo culturale, economico e delle imprese sarà possibile dare un proficuo contributo al cambio di direzione
dell’Italia, alla sua uscita dalla recessione e al renderla appetibile e attraente per la trasformazione della migrazione da “a direzione unica” a “circolare”.
IL CASO NEW YORK
Durante il Grande esodo diretto a New York la maggior parte degli gli italiani tendeva a radunarsi nelle città e nelle periferie urbane, dando vita alla tipologia urbana di Little Italy al centro delle quali c’era sempre una chiesa. La prima parrocchia italiana e la più maestosa era la Chiesa Monte Carmelo che si trova ancora oggi nell’East Harlem. Nel corso degli anni gli italo-americani, facilitati da un aumento di reddito e tenore di vita, non solo hanno lasciato le enclave per vivere nei sobborghi di Long Island, Connectitcut, New Jersey e Staten Island ma sono riusciti ad entrare tra le università élite della città, Columbia, Fordham e New York University e a promuovere un interesse scientifico verso gli studi italo americani.
Nel 1966 nasce l’American Italian Historical Association (AIHA) e nel 1975 la National Italian American Foundation (NIAF), fondata per promuovere la cultura italo americana e il suo patrimonio di valori. Negli ultimi vent’anni sono arrivati professori universitari, imprenditori, rappresentanti di grandi gruppi finanziari, ristoratori alla moda, galleristi, artisti, scienziati e top managers a rafforzare l’immagine dell’Italia a New York.
Gli italiani a New York sono oggi una realtà molto variegata e non è da sottovalutare il numero di irregolari di origine italiana presenti, gente che vive una realtà di lavoro piena di privazioni e sofferenze, soprattutto per il fatto che non possono tornare in Italia e devono mancare a feste di famiglia e lutti stretti.
Sono giovani che vengono in cerca di lavoro e affrontano enormi rischi e sacrifici. Per lo più, hanno fatto scadere i tre mesi di visto turistico e vivono da anni senza documenti, senza poter guidare l’auto, senza assicurazione medica, senza possibilità di tornare in Patria.
I nuovi arrivi si dislocano nei vari quartieri della città non in base all’appartenenza etnica o regionale com’era avvenuto nella Grande emigrazione, ma secondo logiche dettate dai campi di attività dove operano: banche, tribunali, università, ospedali, ristoranti e pizzerie.
LA MOBILITA’
“La mobilità – si legge nell’introduzione del Rapporto 2016 – è una risorsa, ma diventa dannosa
se è a senso unico, quando cioè è una emorragia di talento e competenza da un unico posto e non è corrisposta da una forza di attrazione che spinge al rientro.
Solo con il giusto equilibrio tra partenze e rientri avviene la “circolazione”, che è l’espressione migliore della mobilità in quanto sottende tutte le positività che derivano da un’esperienza in un luogo altro e dal contatto con un mondo diverso”.
In occasione della presentazione del Rapporto ecco quanto detto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella:
“Il nostro Paese ha una storia antica di emigrazione. Una storia di sofferenze e di speranze. Una storia di riscatto sociale, di straordinarie affermazioni personali e collettive, ma anche di marginalità patite e di lacerazioni. Oggi il fenomeno degli italiani migranti ha caratteristiche e motivazioni diverse rispetto al passato. Riguarda fasce d’età e categorie sociali differenti. I flussi tuttavia non si sono fermati e, talvolta, rappresentano un segno di impoverimento piuttosto che una libera scelta ispirata alla circolazione dei saperi e delle esperienze.
La mobilità dei giovani italiani verso altri Paesi dell’Europa e del mondo è una grande opportunità, che dobbiamo favorire, e anzi rendere sempre più proficua. Che le porte siano aperte è condizione di sviluppo, di cooperazione, di pace, di giustizia. Dobbiamo fare in modo che ci sia equilibrio e circolarità. I nostri giovani devono poter andare liberamente all’estero, così come devono poter tornare a lavorare in Italia, se lo desiderano, e riportare nella nostra società le conoscenze e le professionalità maturate.
I flussi migratori che guardano oggi all’Europa e agli Stati Uniti hanno una portata di durata epocale. Affrontarli con intelligenza e con visione è necessario per costruire un mondo migliore con lo sviluppo dei Paesi di origine. La conoscenza e la cultura hanno un grande compito: aiutarci a vivere il nostro tempo cercando di essere costruttori e artefici di uno sviluppo sostenibile, che ponga al centro il valore della persona umana.
La nostra cultura è anche l’immensa ricchezza che gli italiani, nel tempo, hanno seminato nel mondo, abbellendo e rendendo più prosperi tanti territori nei diversi continenti. E questa cultura è poi tornata, accresciuta, nella nostra comunità.