Come per le persone, così mi sono affezionato anche ai luoghi. E come in gioventù ho sognato di ritrovare un possibile ascendente nel Casale Luigi chimico che ha escogitato il modo di produrre l’ammoniaca per sintesi diretta, così in età matura mi sono lusingato di avere avuta qualche provenienza piemontese, dalle parti di Casale Corte Cerro. Nella realtà però conservo la consapevolezza che solo la casualità ci ha fatti incontrare. 
 
Dei Casali del Piemonte conoscevo Casale Monferrato; un po’ dalla storia, un po’ dalla lettura de I promessi sposi; in seguito per aver avuto un amico casalese: il buon Ariolfo. Ma soprattutto per  tutte le burle che mi toccavano a scuola dove non appena gli insegnanti sentivano il mio cognome: da Casale ero già divenuto Casalemonferrato. Solo uno, per ovviare alla banalità del luogo comune di un ritrovato tanto facile e scontato, e altrettanto stupido, aveva voluto aggiungevi il suo tocco di originalità, chiamandomi Casale-ben-ferrato.  Ed era evidente che non volesse riferirsi ad un cavallo! Per parte mia, pensando all’uso che all’epoca si faceva del termine “ferrato” in ambiente scolastico, da farlo entrare nei giudizi di profitto, non solo nella comunicazione orale, ma nelle carte ufficiali, ho sempre pensato che quell’insegnante volesse riferirsi al mio rendimento nelle materie scientifiche, e in particolar modo alla matematica.  
La prima volta che soggiornai a Casale Corte Cerro fu nel 1966. Avevo ventidue anni, e fui ospite di una magnifica struttura d’accoglienza: il Getsemani, una casa di spiritualità, aperta ai congressi, alle associazioni, ai gruppi di lavoro, alle altre attività di carattere associativo e formativo. 
Le mappe geografiche lo indicano come “Santuario di Gesù agonizzante”. Non sono in grado di farne la storia tuttavia mi piacerebbe sapere se è sempre funzionante, aperto alle stesse finalità sociali ed educative, e in grado di offrire accoglienza alle famiglie. Quello che oggi si dice: turismo sociale e religioso, e che io ho inventato 38 anni fa per esigenze familiari e in parte la condizione economica.
 
Vi ritornai nel 1977, questa volta con la famiglia già formata. E per tre anni di seguito colà trascorremmo la vacanza estiva. Era il tempo in cui lavoravo a Roma, ed avevo già tre figli.
A causa della nostra frequentazione a Casale Corte Cerro e per la facilità con cui gli amici, in ragione della omonimia, ricordavano la sede delle mie vacanze, un po’ per scherzo un po’ per fantasia, mi compiacevo nel dire che la vacanza la trascorrevamo nei “nostri possedimenti d’origine” (se è vero, com’è vero, che dal dato topografico ci viene il cognome). 
 
A questo punto qualche lettore un po’ superficiale o forse già annoiato (oppure severo?), potrà pensare che il mio esercizio di scrittura sia solo una forma di esibizione, vuota ed artificiosa. Ebbene, per rispetto a chi una volta mi confidò di trovare una certa godibilità nelle mie scritture, andrò avanti; e persisto, sperando di riuscire a comunicare (oltre alla godibilità) qualcosa che possa salvarsi come mera informazione. E un poco-poco, se me lo consentite, di pedagogia, di formazione della persona, di educazione. 
Perché dei miei soggiorni a Casale Corte Cerro non vi parlerò se non in funzione di quella grande  opera pittorica che si vede sull’esterno dell’abside della chiesa, la parte più interessante dell’intera architettura. Premesso che la ricercatezza estetica è diffusa in tutte le parti dell’opera mi limito a citare l’affresco (forse è una tempera) che gira intorno alla grande parete cilindrica (l’esterno dell’abside) che accoglie il visitatore e il pellegrino che si reca al santuario, sul viale d’accesso alla “casa”. Si tratta de la passione del Cristo (o la via crucis) di Théodore Strawinsky (1907-1989). 
 
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